Colloqui
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Colloqui

  1. 336 pagine
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Schopenhauer è il migliore disinfettante per lo spirito appestato dalle ideologie e dalle giaculatorie dell'ottimismo costituito.È anche un grande guastafeste; e si capisce facilmente perché i doganieri della nostra cultura ufficiale, a cominciare da Benedetto Croce, non lo lasciassero passare. Ma è impossibile impedire il corso della verità, che prima o poi finisce sempre per travolgere le imposture. E questo è proprio il caso della filosofia di Schopenhauer, che ora, anche in Italia, costituisce un punto di riferimento per gli animi smarriti. Per giunta il grande filosofo, che osserva con distacco le miserie di questo mondo, ride e fa ridere, nobilita e diverte nello stesso tempo. Chi legge questi colloqui, presentati per la prima volta al lettore italiano, avrò modo di ricredersi sulla figura del grande filosofo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858657195

COLLOQUI

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Christoph Martin Wieland [Aprile 1811]

Schopenhauer aveva fatto visita a Wieland, quando questi aveva settantotto anni. Wieland gli aveva sconsigliato di studiare soltanto filosofia, [dicendo] che non era una disciplina solida. Risposta: «La vita è una cosa spiacevole e io mi sono proposto di passare la mia a rifletterci sopra». Alla fine, Wieland gli disse: «Sì, ora mi sembra che lei abbia fatto bene (che abbia scelto bene), giovanotto. Ora capisco la sua natura: continui con la filosofia».
Poco dopo, grande ricevimento presso il granduca: c’erano Goethe, Wieland e la signora Schopenhauer, quest’ultima per speciale concessione. La signora Schopenhauer, come borghese, veniva ammessa solo in via eccezionale. Goethe, quella sera, era di malumore, «brontolava», e scambiò solo poche parole convenzionali con Johanna Schopenhauer: forse faceva un irritato confronto tra lei e sua moglie, cui (come ex concubina e governante) non era mai permesso di andare a corte. Nel frattempo si avvicinò Wieland e disse: «Signora Schopenhauer, poc’anzi ho fatto una conoscenza molto interessante». – Con chi? – «Con suo figlio. Ah, mi ha fatto molto piacere conoscerlo: diventerà qualcosa di grande.» Goethe, a questo punto, si irritò ancora di più, perché non aveva molta stima del giovane Schopenhauer, che egli vedeva spesso in casa di sua madre, prima che [Schopenhauer] scrivesse la Quadruplice radice [del principio di ragion sufficiente]...
La signora Schopenhauer comunicò per lettera1 la cosa al figlio. Durante la visita di Wieland, questi aveva fatto venire Schopenhauer accanto a sé, per parlare un po’ di più della sua intenzione di studiare filosofia. — Alla fine disse: «Ora lei tornerà a Gottinga e poi andrà a Berlino, per studiarvi due anni. Fa bene. Sarò ancora vivo, quando lei, fra due anni, sarà di nuovo qui?». Schopenhauer: «Perché non dovrebbe vivere ancora due anni, signor consigliere aulico? Lei ha una gran bella cera». Wieland: «È vero, nella vecchiaia ci si rinsecchisce, e in questo stato di rigidezza si vive spesso ancora per molti anni». Nel 1813, Wieland era morto.2


Anche Wieland era amico di famiglia di Johanna Schopenhauer e come tale era stato consultato sulla scelta della professione del giovane Arthur. Questi si era deciso per la filosofia. Wieland cercò di dissuaderlo. Nella sua tarda età, egli, allora, aveva invero un’opinione molto modesta delle proprie opere. Così un giorno, avendo il calzolaio appena portato un paio di stivali in casa sua, egli si rivolse al suo giovane amico Schopenhauer, che era presente, con le parole: «Ora dica, caro Arthur, quest’uomo non è forse molto più utile al mondo di quel che non lo sia stato io con tutti i miei scritti? Ci rifletta e rinunci alla sua intenzione di intraprendere uno studio così poco pratico come la filosofia». Ma Schopenhauer gli fece osservare che sottovalutava del tutto i suoi meriti, che i suoi scritti avevano portato consolazione e conforto a migliaia di persone tra i dolori e le pene della vita e che, così, aveva dato loro nuovo coraggio a sopportarli. Wieland fu risollevato da questa risposta, ci rifletté per tre giorni e alla fine si dichiarò d’accordo con la decisione di Schopenhauer.3

Wilhelmine Schorcht [Aprile 1811]

Recentemente è stato per qualche tempo a W[eimar] il giovane Schopenhauer. È venuto pieno di idee filosofiche: si è dato anima e corpo a una filosofia (non so indicarla per nome), che è molto severa. Ogni inclinazione, brama e passione dev’essere repressa e combattuta. Gli auguro la forza necessaria per sostenere la lotta, poiché ci vuole certo un’anima gigantesca per adempiere a tutto ciò che si è proposto.4

Uno di Braunschweig [Inizio di ottobre 1812]

Qui, ora, c’è uno di Braunschweig... Abbiamo parlato di [Zacharias] Werner... Abbiamo parlato del giovane Schopenhauer, che il giorno prima voleva dare una dotta dimostrazione dell’inesistenza di Dio.5

Due malati della Charité di Berlino [Inverno 1812/13]

In quel tempo, egli visitò ripetutamente la Charité,6 dove il suo interesse fu attratto in modo particolare da due infelici ricoverati nel cosiddetto reparto dei melancolici. Essi erano pienamente coscienti del loro disturbo mentale, senza poterlo dominare, ed espressero a Schopenhauer, in contraccambio della profonda compassione da lui operosamente dimostrata, sentimenti e pensieri che spiegano la speciale partecipazione del «buddhista» al loro destino. Così uno [scrisse per lui] una poesia, in cui si mescolano, in maniera veramente indiana, le idee del compassionevole e del compassionato, con il titolo:
Al nobile, che appare benevolo,
Anche a lui, che piange nella cella,
Sofferente amico degli uomini.
L’altro, cui su sua richiesta egli [Schopenhauer] aveva regalato una Bibbia,7 gli comunicò, per convincerlo dell’«inesauribile contenuto della Sacra Scrittura», alcuni articoli, che secondo lui contenevano passi notevoli.8

Goethe [Novembre 1813]

Poi mi raccontò che Goethe soleva frequentare spesso la casa di sua madre [di Schopenhauer], la quale, quando viveva a Weimar, raccoglieva intorno a sé l’élite della società. All’inizio, tuttavia, egli non aveva manifestato alcuna particolare simpatia per Arthur, più giovane di ben trentasette anni. Anche questi, da parte sua, era molto riservato, quasi schivo, e aveva già una decisa inclinazione alla malinconia, per cui anche Goethe, nell’anno 1819, lo descrive come «un giovane per lo più misconosciuto, ma anche difficile a conoscersi». Così accadeva che Schopenhauer si ritirava spesso nella solitudine del suo studio, mentre Goethe, nel salotto di sua madre, attirava su di sé l’ammirazione degli ospiti con brillanti conversazioni. Un giorno, però, dopo che Schopenhauer, appena laureato, aveva mandato a Goethe, amico di casa, la sua tesi sulla Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, questi, all’entrata del giovane dottore in filosofia, si alzò subito e, facendosi silenziosamente strada attraverso un mucchio di presenti, si diresse verso Arthur e, stringendogli la mano, si prodigò in alte lodi per quella trattazione, che riteneva molto importante e che gli ispirò improvvisamente simpatia per il giovane studioso.
«Sì, sì» avrebbe detto, approvando l’opinione di Schopenhauer sulla matematica «in un principio euclideo simile uno viene preso in giro: si crede di avere qualche cosa e alla fine non c’è niente.»
Nonostante la grande differenza di età, Goethe invitò Schopenhauer a fare insieme con lui esperimenti sulla teoria dei colori, che allora era lo studio prediletto del grande poeta, e da quel momento, fra i due, si stabilì un rapporto confidenziale e si frequentarono da vicino per sei mesi. Goethe avrebbe presto scoperto che, qui, aveva da fare con uno che era molto di più che uno dei consueti pensatori; quindi, non solo voleva godersi indisturbato la sua compagnia, ma desiderava anche di essere trovato da Schopenhauer nella disposizione d’animo adeguata, perché con gli altri, pensava Goethe, egli si intratteneva, con lui, il giovane dr. Arthur, filosofava. A questo scopo propose che Schopenhauer non andasse a fargli visita in un momento qualunque, ma solo su speciale invito, come poi avvenne regolarmente una volta la settimana per tutta la durata della loro compagnia a Weimar.9


[8 gennaio 1814?]

Solo in due punti la mia tesi mi costringe ad allontanarmi da Goethe, cioè riguardo alla polarità dei colori, ... e riguardo alla formazione del bianco dai colori, cosa, quest’ultima, che Goethe non mi ha mai perdonata, senza tuttavia apportare una qualunque argomentazione contro di me, né a voce né per lettera. 10


«Ma questo Goethe», mi disse una volta Schopenhauer, parlandomi di questa lezione sulla teoria dei colori, «era così realista, che non gli voleva assolutamente entrare in testa che gli oggetti, come tali, ci sono solo in quanto essi vengono rappresentati dal soggetto conoscente. “Cosa,” mi disse una volta guardandomi con i suoi occhi da Giove “la luce ci sarebbe solo in quanto lei la vede? No, sarebbe lei a non esserci, se la luce non la vedesse”.»11


Fra le dichiarazioni degne di nota, fatte da Goethe a Schopenhauer, aggiungo ancora che Goethe, un giorno, gli disse che ogni qualvolta leggeva un paio di pagine di Jean Paul gli veniva la nausea e doveva mettere via il libro. Schopenhauer mi raccontò questo quando, una volta, si parlò dello stile schifoso di alcuni scrittori.12

Ferdinand L.K. Freiherr von Biedenfeld [1817/18]

Come figlio della stimatissima Johanna Schopenhauer, del tutto indipendente grazie a un bel patrimonio e sprofondato già per tempo negli studi filosofici, Arthur, già prima del suo arrivo a Dresda, aveva acquistato un’ampia conoscenza della vita di società in diverse parti della Germania, senza minimamente rinunciare alle proprie caratteristiche e senza adattarsi pazientemente alle debolezze altrui. Sotto questo aspetto, egli era manifestamente un po’ l’enfant gâté, di schiettissima lealtà, franco, aspro e rude, straordinariamente deciso e sicuro in tutte le questioni scientifiche e letterarie, pronto a chiamare ogni cosa con il suo giusto nome di fronte all’amico come all’avversario, molto incline al frizzo, spesso di una rusticità veramente umoristica, mentre la sua testa bionda con gli sfavillanti occhi grigio-azzurri, la lunga piega della guancia ai lati del naso, la voce un po’ stridula e i rapidi, violenti gesti delle mani, acquistava non raramente un’aria addirittura terribile. Con i suoi libri e i suoi studi, egli viveva quasi del tutto isolato e in maniera abbastanza uniforme: non cercava amicizie, né si legava in modo particolare a qualcuno, ma nelle sue lunghe passeggiate a passo svelto si faceva accompagnare volentieri, s’intratteneva molto animatamente sui singoli avvenimenti letterari, su argomenti scientifici, su spiriti eminenti e in modo particolare su dramma e teatro. Chi lo voleva gentile, seducente e istruttivo doveva andare a passeggiare con lui da solo a solo. A me questo piacere toccò spesso e tale circostanza mi fruttò la sua benevolenza, di cui egli mi allieta ancora adesso. Passava per un originale e in certa misura lo era davvero. Sebbene nemico dichiarato di quell’associazionismo dell’Abendzeitung,13 dell’Almanach e della società corale, nonché di tutti quelli che vi partecipavano, e che egli chiamava la clique letteraria, ma soprattutto di Böttiger, che scherniva apertamente chiamandolo il gatto con gli stivali,14 compariva molto spesso nei luoghi pubblici in cui abitualmente costoro si divertivano. Allora sorgeva subito, di regola, una disputa, in cui egli riusciva molto importuno con la sua franchezza, faceva il guastafeste con i sarcasmi più mordaci, dava senza soggezione libero sfogo al suo umore critico, gettava in faccia alla gente i bocconi più amari di Shakespeare e di Goethe; e, ciò facendo, sedeva con le gambe accavallate vicino al loro tavolo da whist, sì che essi facevano un errore sull’altro. Perciò egli appariva loro sempre come un orco: tutti lo temevano, senza che mai qualcuno osasse rendergli la pariglia. Per fortuna, su tali cose egli si fermava ai discorsi e serbava il suo inchiostro per altro: il cicaleccio giornalistico non era affar suo, sembrandogli troppo gretto e spregevole.15

La padrona di casa di Dresda

Era la primavera del 1818, quando egli, [che allora stava lavorando al quarto libro del Mondo come volontà e rappresentazione], ritornando tutto inebriato dall’Orangerie della fortezza che splendeva in un mare di fiori, fu accolto dalla sua padrona di casa, che aveva visto un fiore sul suo vestito, con ques...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. PREFAZIONE - I MAGLIARI DELLA FILOSOFIA
  4. PREMESSA ALLA PRESENTE EDIZIONE
  5. VITA DI ARTHUR SCHOPENHAUER
  6. BIBLIOGRAFIA
  7. BIBLIOGRAFIA ITALIANA
  8. COLLOQUI
  9. AVVERTENZA
  10. NOTE