Di fronte ai Classici
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Di fronte ai Classici

  1. 304 pagine
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Di fronte ai Classici

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Chi sono per noi i classici, in particolare i greci e i latini? Quale funzione e quale spazio possono o devono avere o reclamare nella società e nella scuola italiana di oggi? A queste e ad altre domande rispondono alcuni tra i più prestigiosi intellettuali e maestri del nostro tempo: Umberto Eco, Carlo Carena, Luciano Canfora, Giuseppe Pontiggia, Gianfranco Ravasi, Edoardo Sanguineti, Massimo Cacciari, Jean Starobinski, Mario Vegetti, Paolo Mieli, Valerio M. Manfredi, Alfonso Traina, Marc Fumaroli e altri.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858655795
Categoria
Sociologia

Jean Starobinski

Virgilio in Freud

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«L’interpretazione dei sogni [...] è la Via Regia che porta alla conoscenza dell’inconscio nella vita psichica». Questa frase divenuta celebre è un’aggiunta all’edizione del 1909 dell’Interpretazione dei sogni. Essa appare nell’ultimo capitolo (VII E). Attraverso l’immagine della strada reale (che porta a Roma), Freud consacra e rende solenne l’immagine del cammino progrediente. Ora, questa affermazione, in corsivo, è posta immediatamente dopo la citazione ripetuta del verso di Virgilio (Eneide VII 312) che figurava dapprima come epigrafe sulla pagina d’apertura dell’opera: flectere si nequeo superos, Ancheronta movebo. Questo verso di Virgilio è la perfetta allegoria del cammino tortuoso che prende l’energia del desiderio quando la “via diretta” gli è “preclusa”. Siamo al punto d’arrivo del libro, sulla cima in cui l’avventuriero conquistatore pianta la sua bandiera. L’aggiunta del 1909, e l’espressione latina Via regia che fa eco al “motto” latino hanno il valore di una sottolineatura quasi enfatica. Il verso di Virgilio simboleggia il processo del sogno, cioè l’oggetto studiato, mentre la Via regia simboleggia la via d’accesso, cioè il metodo. Il verso latino e la frase aggiunta indicano, in una solenne associazione, l’oggetto finalmente conosciuto e il passo cognitivo trionfante. La strada che è stata appena attraversata è contemplata retrospettivamente come un cammino verso il sapere. E l’evidenziazione tipografica è rivelatrice. Il verso di Virgilio, ora che è ripetuto e fa da cornice a tutto il libro, non deve più apparire come un fuori-testo: il suo posto è finalmente nel testo, di cui riassume emblematicamente la dottrina centrale che concerne la rimozione. Il lettore, al termine della sua strada, capisce in modo più completo ciò che il titolo gli aveva annunciato. L’epigrafe, nell’estetica tradizionale della pagina d’apertura, ha la funzione del motto che accompagna il blasone.

Certamente, Virgilio non appartiene alla categoria degli autori che, come Goethe, Schiller e Shakespeare, forniscono a Freud le sue citazioni letterarie più frequenti. Ma bisogna fermarsi a Virgilio, perché l’Eneide è al centro delle immagini romane, così importanti nell’immaginazione e nei sentimenti di Freud. Sia che si tratti dell’ostacolo psicologico che ha ritardato il primo viaggio a Roma, o dell’attrazione che la Gradiva di Jensen eserciterà con la sua messa in scena pompeiana, oppure della collezione di oggetti antichi, gli elementi romani sono numerosi e strettamente legati gli uni agli altri. Roma fu anche il paradigma immaginifico delle sovrapposizioni e delle coesistenze che la topica di Freud scorge nell’apparato psichico. Freud riprende questo tema all’inizio di Il disagio della civiltà, a proposito del “problema della persistenza nello psichismo” (GW XIV, pp. 426-428). Egli evoca, a questo proposito, le vestigia di tutte le età di Roma, e aggiunge: «facciamo adesso la supposizione stravagante che Roma non sia un luogo di abitazioni umane, ma un essere psichico dal passato altrettanto ricco e lontano, in cui niente di tutto ciò che è successo un tempo sia stato perduto e in cui tutte le fasi recenti del suo sviluppo sussistano ancora accanto a quelle antiche». La lunga enumerazione dei monumenti simulataneamente preservati forma un paesaggio di sogno estremamente singolare: «Tutto ciò significherebbe dunque che sul Palatino i palazzi imperiali e il Septizonium di Settimio Severo si eleverebbero sempre alla loro altezza iniziale, che i merli di Castel Sant’Angelo sarebbero ancora sormontati dalle belle statue che li ornavano prima dell’assedio dei Goti», ecc. Lo spettatore privilegiato immaginato da Freud potrebbe vedere tutto della città passata e della città presente: «Basterebbe allora all’osservatore cambiare la direzione del suo sguardo, o il suo punto di vista, per far sorgere l’uno o l’altro di questi aspetti architetturali».
Cosa fu Virgilio per Freud? Fu l’autore-sorgente del paganesimo. Uno dei luoghi di passaggio obbligati per entrare nella cultura umanistica occidentale. Un autore che si legge in classe fra compagni e rivali. Un autore che canta le origini di Roma, evocando la sua rivalità vittoriosa con la Grecia, ma anche con Cartagine, i cui eroi attirano la simpatia di Sigmund. Un autore sul quale bisogna testare la propria capacità di eccellere, poiché ci si può aspettare di doverlo tradurre all’esame di maturità. Nella preziosissima lettera a Emil Fluss del 16 giugno 1873, Freud parla del suo esame, paragonando il suo risultato a quello dei suoi concorrenti! «In latino ci hanno dato un passo di Virgilio che per caso, molto tempo fa, avevo letto per conto mio; questo mi ha portato a lavorare rapidamente, impiegando la metà del tempo che ci era stato accordato, e questa sciocchezza mi ha fatto perdere la menzione di eccellente. La menzione di eccellente è stata assegnata a un altro, e io sono stato secondo con la menzione di lodevole». Sappiamo che questo passo di Virgilio era l’episodio di Niso ed Eurialo (Eneide IX 176-223). Questa versione latina non è meno carica di senso premonitore della versione greca il cui oggetto furono trentatré versi dell’Edipo Re di Sofocle. Si può leggere “per caso” l’episodio di Niso ed Eurialo? È un grande brano di poesia; Hölderlin l’ha tradotto. Fu anche un terreno di esercizio tradizionale per la gioventù delle scuole! La coppia dei giovani troiani che partono per una spedizione notturna nella quale moriranno entrambi è un archetipo del cameratismo eroico (la loro impresa è ricalcata su quella di Ulisse e Diomede nell’Iliade). Niso è il guardiano di una delle porte del campo troiano. Eurialo è il più bell’adolescente della gioventù troiana. «Essi si amavano di un unico amore; correvano insieme alla guerra. His amor unus erat pariterque in bella ruebant». Niso ed Eurialo prendono la decisione di affrontare il pericolo per compiere «una grande cosa». Qual è lo scopo che si sono fissati? Rompere, di notte, l’assedio del campo, sorprendere i nemici nel loro sonno e la loro ubriachezza, raggiungere Enea – il padre assente – che era partito per andare a concludere un’alleanza a Pallantea, sul luogo futuro di Roma. Nei versi che ha tradotto Freud, bisogna prendere in considerazione con maggior attenzione soprattutto l’apostrofe di Niso a Eurialo (Virgilio, Eneide IX 184-187):
Nisus ait: Dine hunc ardorem mentibus addunt,
Euryale, an sua cuique deus fit dira cupido?
aut pugnam aut aliquid iamdudum invadere magnum
mens agitat mihi nec placida contenta quiete est.

Eurialo, dice Niso, sono gli dèi che m’ispirano questo ardore,
o ognuno fa del suo crudele desiderio un dio?
Da molto tempo agito in me il sogno di combattere
o di intraprendere qualcosa di grande: non mi accontento
di questo pacifico riposo.
Ci si domanda in che modo questi magnifici versi e questa situazione di complicità siano stati percepiti da Freud. Né questo passo, né i nomi dei due giovani guerrieri sono stati ricordati nei testi di Freud, ma come non pensare tuttavia al modello che essi hanno rappresentato, quando si legge nell’Interpretazione dei sogni: «un amico intimo e un nemico odiato sono sempre stati per me delle esigenze necessarie della mia vita affettiva; ho sempre saputo procurarmeli di nuovo, e più di una volta l’ideale infantile si è imposto a un punto tale che l’amico e il nemico si sono confusi in una stessa persona, naturalmente non nello stesso tempo». Si impone con evidenza il confronto con ciò che Freud scrive nella sua lettera a Fliess il 3 ottobre 1897 su «quello che c’è di nevrotico e anche di intenso in tutte le mie amicizie». Ed è all’episodio virgiliano che si deve pensare soprattutto quando Freud, nella lettera a Fliess del 7 agosto 1901, prende la difesa dell’«amicizia fra uomini», e la giustifica parlando degli «adempimenti» nei quali «la tendenza androfila nell’uomo può sublimarsi». Questa confidenza risale a un’epoca in cui l’amicizia di Freud per Fliess sta per trasformarsi in conflitto aperto. Quello che mi colpisce ancora di più è che la domanda posta da Niso riappare in Freud: il progetto che noi crediamo ispirato dagli dèi, non sarebbe piuttosto il nostro «crudele desiderio» (dira cupido) che l’ha formulato divenendo un dio per noi? Freud, scrivendo a Fliess il 12 dicembre 1897, crederà di essersi molto arrischiato quando questa idea (di cui non nomina l’antecedente virgiliano) gli viene in mente, in termini più moderni. Vi si riconosce la stessa alternativa e la stessa riduzione del divino alla nostra energia passionale. Freud presenta questa idea come «l’ultimo rampollo del lavoro del mio pensiero», creando in questa occasione la nozione di «miti endopsichici»: «la percezione interiore, confusa dallo stesso apparato psichico, suscita delle illusioni del pensiero, che sono naturalmente proiettate verso l’esterno e, in modo caratteristico, verso il futuro e verso un aldilà». Riprendendo questa idea nella Psicopatologia della vita quotidiana, Freud vedrà nella scienza il modo di ri-tradurre e ri-trasformare (letteralmente ritornando alla precedente, zurückzuverwandeln) la realtà soprasensibile (übersinnliche Realität) in psicologia dell’inconscio, vale a dire tornare dal deus alla dira cupido umana. Il passo che Freud aveva tradotto due volte – prima “per se stesso” e una seconda volta il giorno dell’esame – non poteva essersi completamente cancellato. Si potrebbe parlare in questo caso di criptomnesia, riprendendo le note di Freud a proposito del saggio di Borne sulla scrittura libera.

L’Acheronte, fiume del mondo sotterraneo, fa parte dei luoghi temibili nominati da Virgilio, quando Enea scende agli inferi per rispondere all’appello di suo padre. Egli si rivolge alla Sibilla che lo guiderà (VI 106-109):
Unum oro: quando hic inferni ianua regis
dicitur et tenebrosa palus Acheronte refuso,
ire ad conspectum cari genitoris et ora
contingat; doceas iter et sacra ostia pandas.

È la mia sola richiesta! È qui, si dice, la porta del re infernale e la palude tenebrosa dove rifluisce l’Acheronte.
Possa io seguire la strada verso mio padre e vedere il suo viso. Insegnami il cammino e fa’ che si aprano i sacri battenti.
Si sa che la serie dei quattro “sogni romani” di Freud ha seguito di poco la morte del padre. Facevano parte del lavoro in occasione del lutto. Il terzo sogno ha un’evidente tonalità virgiliana (che Freud non rileva): «ma sono deluso, non vedendo paesaggio urbano: un fiumiciattolo dalle acque scure; da una parte delle rocce nere, dall’altra delle praterie con dei larghi fiori bianchi. Noto un signor Zucker (che non conosco) e decido di domandargli la strada per Roma». Freud, analizzando il suo sogno, vi ha riconosciuto degli elementi precisi: i fiori bianchi sono stati visti nelle paludi vicine a Ravenna (capitale sostitutiva dell’impero romano) e assomigliano ai «narcisi del nostro Aussee»; la roccia gli ricorda «la valle della Tepl vicino a Karlsbad». Chi penserebbe mai di contraddirlo? Ma se si formula l’ipotesi, come Freud fa costantemente, di una scena anteriore latente sotto i richiami del ricordo ridivenuti coscienti, si può immaginare che in uno strato psicoculturale sottostante, l’attitudine a meravigliarsi davanti a delle acque scure, dei fiori bianchi, delle rocce, ha potuto risvegliarsi grazie alle “rappresentazioni di parola” del grande poema fondatore. Non è necessario, tuttavia, attribuire a queste immagini una dignità di archetipi, come avrebbe fatto una lettura junghiana. Come non riconoscere, infatti, nel paesaggio sognato da Freud, la tenebrosa palus, e nel signore inatteso, al quale egli domanda la strada, una trasformazione della Sibilla? Perché il testo di Virgilio contiene tutto il repertorio dei luoghi e delle cose visti in sogno da Freud. Così succede per la roccia: a un bivio del viaggio sotterraneo di Enea appare una roccia, sotto la quale (sub rupe sinistra, v. 548) parte la strada che porta ai Campi Elisi, e arriva al boschetto del Lete, dove il padre attende il passaggio del figlio. I prati con grandi fiori bianchi appaiono quando, avendo raggiunto suo padre, avendo vanamente tentato di abbracciarlo, Enea vede accorrere alla riva del Lete il gruppo delle anime che animeranno dei nuovi corpi. Esse sono paragonate alle «api che, nell’estate serena, si posano sulla moltitudine dei fiori e volano attorno ai gigli bianchi nei prati» (VI 707-709):
... veluti in pratis ubi apes aestate serena floribus insidunt variis et candida circum lilia funduntur...
Tutto avviene come se il mito virgiliano non fosse solamente presente nella profondità del sogno, ma come se fosse attivo, già, nelle percezioni di Freud, quando visitava Ravenna, quando tentava di cogliere dei narcisi sulla riva dell’Aussee, o percorreva la valle della Tepl.

Sulla soglia del percorso iniziatico virgiliano si alza l’albero dei sogni. Il luogo inaugurale è «un olmo opaco, immenso», che «stende i suoi rami e le sue braccia secolari: i sogni vani, si dice, vi abitano, attaccati a tutte le foglie» (VI 282-284). Anche la fine del viaggio ha luogo nel segno del sogno. Enea esce dagli inferi, prima di mezzanotte, con il suo corpo di uomo vivo, attraverso la porta d’avorio che è quella «attraverso la quale i Mani mandano verso il cielo solo dei sogni falsi». Nel corso del suo viaggio nelle profondità della terra – il greco chiama questo viaggio catabasi –ha rivisto i compagni morti in battaglia e in mare, e soprattutto ha affrontato l’ombra inconsolata di Didone. Nel passare, avrà scorto la cittadella del Tartaro, dove sono rinchiusi i grandi criminali sottoposti ai castighi eterni – tra i quali figura colui che «è entrato nel letto di sua figlia» (VI 623). Perfino la bisessualità è apparsa sotto la figura di Ceneo: «un tempo essa era stata trasformata in uomo, e – essendo ritornata donna – il destino le aveva reso il suo primitivo aspetto» (vv 448s.). E soprattutto, raggiunto lo scopo del suo via...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Centro Studi - La permanenza del Classico
  4. Ivano Dionigi - Necessità dei classici
  5. Massimo Cacciari - Brevi inattuali sullo studio dei classici
  6. Giuseppe Cambiano - Schiavitù e libertà dai classici
  7. Luciano Canfora - Il fiume si scava il suo letto
  8. Carlo Carena - Trenodia sui classici
  9. Vincenzo Cerami - La cantata del Fiore
  10. Remo Ceserani - Il castello assediato
  11. Giampaolo Dossena - A ciascuno il suo
  12. Umberto Eco - Sulle spalle dei Giganti
  13. Mare Fumaroli - La scuola: contrappeso della modernità
  14. Valerio Massimo Manfredi - De imperio
  15. Paolo Mieli - I classici a(l) fronte della modernità
  16. Giuseppe Pontiggia - La rimozione dei classici
  17. Gianfranco Ravasi - Il santo Omero: teologia e classicità
  18. Lucio Russo - L'alfabeto della scienza
  19. Edoardo Sanguineti - Classici e no
  20. Marco Santagata - L'Isola Che Non C'è
  21. Jean Starobinski - Virgilio in Freud
  22. Alfonso Traina - Io e il latino
  23. Mario Vegetti - Classico o antico?
  24. Paolo Zellini - I pitagorici e il computer
  25. Profili degli Autori