La vita è un viaggio (VINTAGE)
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La vita è un viaggio (VINTAGE)

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La vita è un viaggio (VINTAGE)

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Informazioni sul libro

L'Italia è un paese al valico, incerto tra immobilità e fuga, in attesa di ritrovare una propria identità forte. E gli italiani sono viaggiatori solitari, ansiosi di capire dove dirigersi. Dopo il grande successo di Italiani di domani, Severgnini torna a parlare delle ansie e delle possibilità del nostro Paese con implacabile lucidità, ofrendo ai suoi lettori un libro da usare come una bussola: una guida che si articola in venti parole, che ci conducono a un futuro migliore.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
ISBN
9788858680834
Categoria
Sociologia

1

Atlante

Lasciamo sempre qualcosa di noi,
quando ce ne andiamo da un posto.
Restiamo lì anche quando siamo andati via.
Amadeu de Prado,
nel film Treno di notte per Lisbona
Il treno per Londra è pieno di studenti e di sole. Lascio Oxford con un libro in mano, il regalo di partenza di Guido e Caterina. Atlas of Remote Islands, atlante delle isole remote. Fifty Islands I Have Not Visited and Never Will, cinquanta isole che non ho visitato e non visiterò mai, informa il sottotitolo.
L’autrice si chiama Judith Schalansky. Tedesca, nata dal lato sbagliato del Muro di Berlino, da bambina ha potuto viaggiare soltanto sulle pagine di un atlante, e s’è costruita un pianeta su misura, sorretta da una grande immaginazione e da un esotismo artigianale, ma efficace. Tristan da Cunha, Iwo Jima, Takuu, Banaba, Sant’Elena! La giovane berlinese si emozionava tra le sue isole e le sue mappe, preparandosi a non partire mai.
Non c’erano muri e reticolati che m’impedivano di andare via, quand’ero ragazzo. C’era, anzi, qualcuno che m’invitava a farlo. Non avevo Tristan da Cunha e Sant’Elena sul mio orizzonte mentale, ma la costa della Manica, tra minigonne, mare scuro e skinheads. La Sardegna all’alba, sbarcando in Vespa dal traghetto. Il Circolo polare artico, raggiunto con cinque amici diciottenni e un furgone Volkswagen poco più giovane di noi. L’America, attraversata due volte in due mesi, con determinazione camionistica. E poi Berlino Est, la città-prigione di Judith Schalansky.
Dicembre 1979, dopo un concerto dei Talking Heads al Metropol di Berlino Ovest. Il mondo che frenava e il mondo che correva, spalla a spalla. Questi posti devo raccontarli, ho pensato. La laurea in legge e il concorso notarile possono aspettare.
Trentacinque anni dopo, non ho dubbi. Non viaggio perché sono uno scrittore e un giornalista. Sono diventato un giornalista e uno scrittore perché sognavo di viaggiare.
Voglia di andare ne ho sempre avuta, e mi è rimasta. Stavo bene in casa con i genitori e i fratelli, da ragazzo; sto bene in famiglia, oggi. Torno volentieri, ma poi devo ripartire. Dopo due settimane – mia moglie Ortensia lo sa – comincio a maneggiare borse e giacconi (ne ho di ogni foggia, peso, colore e dimensione). Al rientro da un viaggio – mia moglie Ortensia non lo sa – spesso mi scappa l’occhio sul tabellone delle partenze, in aeroporto, e mi torna la voglia. L’elenco delle destinazioni è ipnotico. C’è qualcuno, presto, che scenderà nella sera di Buenos Aires o nel mattino di Shanghai.
I viaggi sono il mio calmante e il mio stimolo. Non mi dispiace ritrovarmi solo in un’anonima stanza d’albergo: lo considero un luogo adatto alla lettura, alla posta elettronica e all’introspezione. Non m’immalinconisce cenare da solo in una città sconosciuta; mi spaventa cenare in gruppo, nei soliti posti, con gente che conosco e magari non stimo. Non mi affatica lavorare a un libro come questo su un treno o in una sala d’aspetto; non riesco, invece, a starmene fermo cercando di inventare personaggi e trame. Il mondo là fuori ne offre di migliori.
Nel 1979 non ho conosciuto soltanto Berlino Est e i Talking Heads. Ho visto anche, per la prima volta, la mia firma su un giornale e il mio nome su un campanello (6, avenue de la Renaissance, Bruxelles). Viaggio – e scrivo – da allora. Scrivo – e viaggio – con ogni pretesto e in ogni occasione: giornalismo e passione (ammesso che esista una differenza), residenze e visite volanti, conferenze e convegni, libri e incontri, guerre e olimpiadi, università e televisione, vacanze di famiglia e pizze con i lettori (104 in altrettante città, dal 1999 al 2010: 56 in Europa, 19 in America del Nord, 6 in America Latina, 3 in Africa, 15 in Asia, 5 in Australia e Nuova Zelanda). Negli ultimi quattro anni, in treno e in seconda classe, ho attraversato l’Italia da Trieste a Trapani; l’Europa da Berlino a Palermo e da Mosca a Lisbona; l’America da Portland nel Maine a Portland nell’Oregon e da Washington D.C. allo Stato di Washington.
Non sono frenetico: sono curioso.
Viaggiare è istruttivo. Un luogo nuovo difficilmente genera vecchi pensieri. Muove la mente, invece. Se da giovani viaggiare è utile, da meno giovani diventa fondamentale. La curiosità è l’antiruggine del cervello, e a una certa età bisogna applicarne in abbondanza.
Viaggiare rende umili. Perché significa sbagliare, e ammettere i propri errori. Secondo Paul Theroux, citato nell’esergo di questo libro, «i turisti, purché siano comodi, sono disposti a credere quasi ogni cosa». I viaggiatori – spero di essere incluso nella categoria – apprezzano la comodità, ma non la idolatrano. Tra una settimana sorprendente e sette giorni in spiaggia, io scelgo la prima. E voi?
Viaggiare vuol dire allungarsi la vita, riempiendo il passato di ricordi e il futuro di progetti. Solo chi si muove apprezza le soste e non conosce la noia. L’irrequietezza non è un vizio o un vezzo: è una condizione umana. «So bene quel che fuggo, ma non quello che cerco» scriveva Montaigne.
Eppure lui non era destinato a fare il notaio a Crema, che io sappia.
I viaggi sono come i cieli, mai uguali: incontri e nuvole li rendono irripetibili. Peccato che spesso ci dimentichiamo di alzare lo sguardo. Lin Yutang – un autore cinese divenuto popolare in Occidente intorno alla metà del secolo scorso – scrisse un libro (Importanza di vivere) in cui, tra le altre cose, si occupava del piacere di viaggiare. Il capitolo ha per titolo «Sul girare il mondo e vedere molte cose». Sostiene l’autore: «Il viaggiatore autentico è sempre un vagabondo, con le gioie, le tentazioni e il senso di avventura del vagabondo. O viaggiare è un vagabondaggio, o non è affatto viaggiare».
La saggezza cinese, unita al buon senso americano, non sbaglia. Buon viaggiatore è chi non sa esattamente dove andrà (i programmi potrebbero cambiare), né cosa farà (le circostanze non sono mai certe). Tutto questo non piace all’industria del turismo, che ha bisogno di prevedibilità; e ciò è normale. Ma disturba anche tanti di noi. E questo è più grave.
Il viaggio di gruppo è un tranquillante. Deleghiamo ad altri l’ansia della preparazione, della partenza e dell’organizzazione. Ma in questo modo rinunciamo all’eccitazione che questi momenti comportano.
L’ossessione fotografica è una richiesta d’aiuto. Chiediamo allo smartphone un occhio e la memoria; pretendiamo le prove di aver vissuto, e le conserviamo.
La bulimia chilometrica è una forma di assicurazione. Nelle tante ore di volo, nelle molte strade che percorriamo, nelle cento città che visitiamo, nelle mille cose che vediamo, speriamo di trovare qualcosa che risvegli il nostro interesse.
La dipendenza da TripAdvisor, Booking.com, Expedia e simili è un’ammissione: non sono certo di saper riconoscere la qualità – la bontà, la bellezza, la gioia – e vorrei che qualcuno me la indicasse. Non sono più capace di trovare il piacere nelle cose normali; mi auguro di sperimentare lo stupore nelle cose eccezionali (o almeno segnalate come tali dagli utenti).
Solo viaggiando s’impara a viaggiare. S’impara guardando, parlando, ascoltando, aspettando. E scrivendo, se uno lo sa fare. Alla cerimonia di premiazione del Man Booker International Prize 2009, assegnato a Alice Munro, la giuria spiegò così la scelta: «La narrativa, come sarebbe stato felice di dirvi Cervantes, è e deve essere geografica. La storia del romanzo, dal Don Chisciotte in poi, è una storia di dispersione geografica: autori in luoghi sempre più lontani si assumono il compito di osservare se stessi e le persone intorno a loro, e i lettori viaggiano da quel puntino sulla mappa del mondo…».
I puntini sulla mappa del mondo sono infiniti e istruttivi. Occorre osservarli con gli occhi con cui Alice Munro osserva Huron County, Ontario – e non è facile. Occhi attenti, pazienti e capaci di meraviglia. Talvolta è utile ritornare e riguardare gli stessi luoghi. La bellezza di un viaggio non si misura con i fusi orari, come sembrano pensare in molti, suggestionati dai racconti degli amici o dalle agenzie di viaggio. Si possono scoprire cose meravigliose anche vicino a casa.
Il viaggio non finisce mai. […]
Bisogna vedere quello che non si è visto,
vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate,
vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva,
vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era.
Bisogna ritornare sui passi già dati,
per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.
Ha ragione José Saramago. Non esiste un luogo che non nasconda sorprese. È una questione di testa, di cuore, di occhi, di orecchi. E di naso: per capire un Paese straniero serve fiuto. L’odore uniforme dei detergenti e dell’aria condizionata rassicura, certo; ma non aiuta a comprendere un luogo.
Ogni città ha il suo profumo, diverso per ciascuno di noi. Lisbona, per me, sa di carta. Bruxelles di tappeti. Londra di vernice. Parigi di pietanze. Berlino di similpelle. Atene di motori. Mosca di sottoscala (un aroma lievemente rancido, che sa di gelo e disgelo). New York ha odore di senape e di vento. Pechino di umanità, Delhi di spezie, Hanoi di verde, Buenos Aires di pelle, Gerusalemme di attesa.
Provate a elencare gli accoppiamenti olfattivi. È un buon esercizio. Scoprirete che il vostro naso ha più fantasia di voi; e vi affiderete a lui fiduciosi, nel prossimo viaggio.
Asterischi di stacco
Se avete letto il sintetico Barzini o l’avventuroso Pasolini, il meticoloso Chatwin o il romantico Kapuściński, il metodico Piovene o il prensile Parise, lo stoico Rumiz o lo storico Magris, il feroce O’Rourke o il ferroviario Theroux, il fluviale Moravia o l’asciutto Corradi, il sensibile Raban o l’ironico Bryson, lo ieratico Terzani o il motociclistico Bettinelli, l’implacabile Praz o l’ineffabile Manganelli, l’impeccabile Morris o il fantasioso McCarthy, l’esotico Greene o il classico Newby, l’incosciente Danziger o il filosofico Pirsig, sapete qual è la prima regola del viaggio: uscire di casa e guardarsi intorno.
Ne esistono altre? Regole valide per ogni viaggiatore e in ogni luogo? Provo ad aggiornare il mio decalogo, uno dei tanti possibili. Criticatelo pure; ma usatelo per preparare il vostro.
1 NON ESISTONO POSTI BANALI. Esistono posti più o meno adatti al nostro umore. E l’umore del viaggiatore dipende da molte cose: stanchezza, compagnia, episodi, coincidenze, preparazione e alimentazione, abbigliamento e atteggiamento, sole e pioggia (ma solo gli sciocchi la ritengono responsabile di una vacanza mal riuscita). Certo, esistono città attraenti e città complesse. Le prime sono facilmente godibili, le altre richiedono un po’ d’impegno.
Se dicessi che Sheffield è spettacolare come Seattle, e Manila accogliente come Mantova, mentirei. Neanche un santo (e un polacco) come Karol Wojtyła avrebbe negato che Roma è meglio di Katowice. Ma Katowice ha il suo fascino. Arrivando nell’estate del 1982, con due motociclette e due amici, mi era piaciuta. Non si trovava da mangiare, ma l’aria sapeva di carbone e le ragazze avevano occhi color dell’acqua.
2 VIAGGIATE CON I CINQUE SENSI (VIETATO LASCIARNE UNO A CASA). Il turista è masochista, lo sappiamo. Ma se esagera, e poi si lamenta, è uno sciocco. Per capire un posto occorre ascoltare (soprattutto i residenti); guardare (tutto quello che succede, e anche quello che non succede); toccare (le superfici del mondo riservano sorprese); e annusare, come dicevamo. Occorre anche saper mangiare: tra incoscienza alimentare e digiuno esiste una ragionevole via di mezzo. Cerca guai chi mangia e beve ogni cosa per strada in Paesi lontani e diversi; è patetico chi riempie la valigia di biscotti e snack. Voler mangiare sempre all’italiana, d’altro canto, è irritante (e impossibile). Dovunque servono piatti gustosi. Ma se non si gustano, che gusto c’è?
3 ORGANIZZATEVI, MA NON TROPPO. I viaggi vanno preparati. Se per un fine settimana a Copenaghen bastano una guida, tre app e una cartina, una visita a Kabul richiede qualche sforzo in più (soprattutto se si vuole tornare indietro). Evitate però di pianificare tutto, riempiendo ogni momento della giornata. Il senso del dovere turistico è ridicolo e controproducente. Siete viaggiatori, non uomini d’affari in missione. Se non lasciate spazio alle coincidenze e alle sorprese, queste e quelle si guarderanno bene dal farvi visita.
4 RILASSATEVI: NON ESISTE UN VIAGGIO SENZA UN INCONVENIENTE. Le perplessità dei viaggiatori potrebbero riempire un’antologia: da Ulisse a Fabio Volo, da Alpitour a William Shakespeare («Quand’ero a casa, ero certo in un posto migliore. Ma i viaggiatori debbono restar paghi della loro sorte»). Ogni viaggio è soggetto a contrattempi: tutto dipende dall’atteggiamento con cui li affrontiamo. Guardatela, la coppia che si aggira nevroticamente per il terminal all’annuncio di un ritardo, maledicendo la compagnia aerea, i servizi aeroportuali, il mondo moderno, il coniuge (nell’ordine). State certi: la vacanza sarà un disastro.
Motivi per lamentarsi si trovano sempre. Le persone intelligenti, invece, affrontano le piccole difficoltà con leggerezza. Così, se arrivano le grandi difficoltà, hanno riserve fisiche e nervose per superarle. Non esiste un viaggio senza inconvenienti. E, se esistesse, sarebbe noioso.
5 NON DISTRAETEVI: ATTENTI ALLE PAROLE. Nel turismo, come nella vita, c’è di tutto: anche parecchio cinismo (da una parte) e molta ingenuità (dall’altra). L’esclusività di massa è una contraddizione in termini, ma è il sogno di chi vende. Permette di fare pagare molto a tanti. Alcuni operatori utilizzano astutamente espressioni come ZONA VIP, ÉLITE CLUB, EXCLUSIVE. L’ansia d’essere riconosciuti, vezzeggiati, adulati e promossi è, per molti, una tentazione irresistibile. Attenzione, quindi. Nel dubbio, ponetevi una domanda: come possiamo avere tutti il «Trattamento Élite Exclusive», in un resort da mille camere? Chi escludiamo, se siamo tutti VIP (a pagamento)?
6 PRENDETEVI UNA PAUSA, CONCEDETEVI IL GIUSTO SONNO. Tutti conosciamo i forzati del museo: finché non hanno esaurito le sale, non se ne vanno. Le tipologie – scusate: le patologie – sono molte, e tutte insidiose. Un consiglio, dunque. Concedetevi pause durante la giornata, serate vuote, lunghe dormite, giorni tranquilli; anche – anzi: soprattutto – nei viaggi più intensi e movimentati. Restare seduti al tavolo di un caffè guardando la gente che passa è il modo migliore per capire un popolo e una città.
7 CERCATE POSTI NUOVI, E IMPARATE A GODERVI QUELLI CHE GIÀ CONOSCETE. Scoprire un posto nuovo è eccitante. Stimoli insoliti, interessi diversi, passioni impreviste. Ho viaggiato molto fin da ragazzo, come ho raccontato; ma sono andato per la prima volta in Sudamerica nel 2002, a quarantacinque anni. Scoprirlo è stato emozionante, anche per un assiduo frequentatore dell’America del Nord, innamorato dell’Europa, appassionato dell’Asia, buon conoscitore dell’Australia (meno dell’Africa, e mi dispiace). Ma anche ritornare è un’arte, come ci ha ricordato Saramago. Rivedere i posti ha un fascino speciale. Ricordi e confronti aiutano la mente e scaldano il cuore. C’è chi, arrivato a una certa età, fa solo questo: non vuole vedere, preferisce rivedere. Il ritorno è un’arte, ma non tutti sono artisti.
8 FATE QUEL CHE VI PIACE. Per molti, l’unica vacanza è al caldo, sdraiati su una spiaggia tropicale. Li chiamo i «palmofili»: il loro appetito turistico scatta solo di fronte a un’immagine precisa, sempre la stessa (palma, sabbia bianca, mare verde, cielo azzurro). Confesso: ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Rizzoli Vintage
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Dedica
  6. Gli italiani viaggiano soli
  7. 1 Atlante
  8. 2 Brevità
  9. 3 Empatia
  10. 4 Incoraggiamento
  11. 5 Insegnamento
  12. 6 Inseguimento
  13. 7 Irregolarità
  14. 8 Ispirazione
  15. 9 Paternità
  16. 10 Paura
  17. 11 Personalità
  18. 12 Politica
  19. 13 Precisione
  20. 14 Resilienza
  21. 15 Rinuncia
  22. 16 Rispetto
  23. 17 Semplicità
  24. 18 Sensualità
  25. 19 Servizio
  26. 20 Sipario
  27. Storie e musiche che girano intorno