Le terzine perdute di Dante
eBook - ePub

Le terzine perdute di Dante

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Le terzine perdute di Dante

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Parigi, 1309. Dante, in esilio, stanco e spaventato, vive nel terrore di essere perseguitato dai suoi numerosi nemici. Una delle sue poche consolazioni è la compagnia di una donna misteriosa, Marguerite Porete, una mistica accusata di eresia della quale Dante diventa il miglior allievo, e che lo conduce nel centro di una guerra spietata fra due ordini che agiscono nell'ombra. In gioco c'é un pericoloso segreto, una profezia di cui l'Alighieri è il depositario prescelto. Ed è il filologo medievale Riccardo Donati a mettersi sulle tracce di quel mistero centinaia di anni dopo, nella Milano dei giorni nostri: mentre esamina un antico manoscritto si imbatte in quella che ha tutta l'aria di essere la firma autografa di Dante. Sarà l'inizio di una vorticosa e inattesa avventura che stravolgerà per sempre la vita di Riccardo, e non solo. Un romanzo sospeso tra passato e presente, tra storia, letteratura e azione, per un thriller storico che si trasforma in una caccia all'uomo frenetica e appassionante.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Le terzine perdute di Dante di Bianca Garavelli in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literatura e Literatura histórica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
ISBN
9788858680179

1

La città sul fiume

Il ponte, senza una via di fuga dal gelo della notte, sembrava troppo lungo da attraversare. Ma doveva resistere. Ancora uno sforzo, ancora pochi passi nella fredda città, e il suo misero alloggio lo avrebbe accolto. Non poteva certo definirlo una vera casa, ma era all’ombra della grande dimora di Nostra Signora e in ogni caso poteva trovarvi rifugio e trascorrere qualche ora serena. Senza che volti ostili si affacciassero al suo orizzonte. Senza che voci nemiche pronunciassero con disprezzo il suo nome.
A quell’ora le strade erano sporche e deserte. L’animazione del giorno, la vita che si riversava nelle vie rendendole un brulicare di arti e teste in movimento si era spenta, lasciando il posto a un silenzio mortale. Solo qualche invisibile passante si trascinava con stanchezza interrompendo quell’eco di tomba vuota.
Di nuovo quei passi senza corpo, che lo perseguitavano nelle sue notti solitarie, che si fermavano davanti alla porta, che rispondevano ai suoi nel deserto notturno della città. Anche in quel momento aveva l’impressione che ci fosse qualcuno che lo seguiva. E non era la prima volta. Da un po’ di tempo si sentiva come un naufrago convinto di aver raggiunto un approdo sicuro, per poi scoprire che si trattava di una nuova terra piena di pericoli.
Ma per sua fortuna, o forse per intercessione di Maria madre di Dio, nei suoi giorni era entrato un angelo salvatore. Una presenza femminile da qualche tempo glieli aveva resi migliori. Più sereni, più dolci da vivere.
In pochi passi fu sul ponte. Una breve distanza lo separava dall’altra estremità. L’acqua del fiume, torbida nella sua oscurità invernale, scorreva in apparenza placida, come assecondando i suoi movimenti.
Quell’acqua, lo sapeva, non era mai la stessa. Soprattutto, era molto diversa da quella del suo fiume, l’Arno. Nonostante il freddo decise di fermarsi un istante, a contemplarla. Chiuse gli occhi. Ne sentì la forza silenziosa. Inalò l’odore della massa in lento movimento. Nell’oscurità, come avrebbe potuto riconoscere l’acqua del suo fiume, se non avesse avuto dei punti di riferimento esterni, il profilo della città sulle sponde, intorno a lui voci amiche che parlavano la sua lingua natia?
Si riscosse immediatamente. Voci amiche? Sapeva che non tutti quelli che avrebbe sentito parlare fiorentino sarebbero stati suoi amici. Di molti di loro non avrebbe potuto fidarsi.
Non riusciva ancora ad abituarsi a quella terra battuta da fredde correnti che anche in primavera si infilavano in casa dalle fessure delle porte facendolo rabbrividire e a volte gli impedivano di dormire. Oppure lo svegliavano nel cuore della notte, quando aveva appena iniziato il viaggio nel regno dei sogni.
Le frasi in quella lingua non suonavano molto diverse da quelle della Provenza, la dolce regione sul mare, piena di profumi a primavera e percorsa da venti che la inaridivano in estate, rendendola ancora più bianca delle sue rocce già candide.
In Provenza, ricordava bene, si parlava una lingua più melodiosa, diversa da quella del Nord. Bastava sentire i suoi abitanti pronunciare il monosillabo di affermazione, quello che per lui era il «sì», per capirne la freddezza, nascosta dietro un’apparenza sorridente. Oïl suonava come una specie di squittio. Aveva tentato di accettarlo, ma ancora non riusciva ad amare quello strano modo di esprimere l’assenso.
Riprese a camminare con un brivido, riscuotendosi a fatica. Non era solo per il freddo insistente che tremava. Stava succedendo di nuovo. Era qualcosa che non voleva, che temeva e non riusciva a impedire.
Un’ombra gli camminava al fianco.
Si voltò un poco a sinistra. Era un’ombra sottile, alta quasi quanto lui. Solo un istante ancora, per ricordare meglio il suo passo leggero, e la riconobbe. Si fermò di colpo e la fissò.
L’ombra nascondeva le sue vesti femminili sotto un mantello scuro, ampio e informe. Un cappuccio calato sulla fronte le nascondeva il volto, ma non la luminosa trasparenza della pelle, lo splendore invincibile dello sguardo chiaro. Gli occhi della donna gli sorridevano senza parole. Ammirò con calma il volto sereno, i tratti aperti, la fronte ampia, il naso sottile, la piccola ruga verticale tra gli occhi che lasciava immaginare il travaglio incessante del pensiero. Una donna giovane, troppo giovane per lo spirito che la scuoteva, e la portava fino ad altezze inaccessibili alla mente umana. Marguerite, la mistica, colei che sapeva liberare l’anima dai condizionamenti della ragione. Marguerite Porete. Anche lei in quell’ora di buio, nella tenebra fredda della città. Le sorrise, a sua volta. Sapeva che la sua compagnia non gli veniva proposta per caso.
«Dunque, i tuoi passi ti stanno già portando nel tuo rifugio, mio infelice amico proscritto? Già ti sottrai anche stasera alla vista del mondo, per dedicarti alle tue arti segrete, Dante?»

2

Il manoscritto

Riccardo Donati chiuse la porta dietro di sé, un po’ a fatica, impacciato per il peso dei libri. Fortunatamente per lui, la piccola sala di consultazione manoscritti era quasi vuota: poteva sperare in una mattinata di studio senza particolari disturbi. Aveva chiesto e ottenuto tutto il consultabile. Sapeva che poteva contare sull’aiuto del bibliotecario per questo: lo conosceva da tempo e ogni volta si prodigava per lui. Anche se ultimamente si era accorto che, appena lo vedeva apparire davanti alla sua scrivania, subito impallidiva: probabilmente perché lo faceva lavorare troppo. Represse un sorriso. Era diventato il terrore dei bibliotecari… Be’, almeno la sua vita di umile, e sottopagato, cultore della filologia medievale non era priva di significato. Trovò il posto più vicino e si sedette con una certa pesantezza.
Già, non si poteva dire che fosse molto in forma. Negli ultimi anni aveva abbandonato ogni tentativo di recuperare l’elasticità e l’agilità del suo corpo. Eppure, come diceva la sua amica Agostina, l’esperta karateka che conosceva dai tempi del liceo e ormai la sua più cara amica, avrebbe avuto tutte le migliori potenzialità. Aveva il baricentro giusto anche per il karate, gli ripeteva: per statura superava la media, ma non era altissimo, e i suoi trentacinque anni gli avrebbero permesso di raggiungere in breve tempo il giusto grado di tonicità muscolare.
Invece, Riccardo le rispondeva sempre di sentirsi troppo stanco per iniziare un corso nella sua palestra. Di karate, o di qualsiasi altro sport. La sala pesi poi lo annoiava. La sola vista di quei culturisti rossi in viso che grugnivano sollevando manubri lo disgustava.
L’unica prospettiva che poteva incuriosirlo era intraprendere un corso di scherma, o di qualche arte marziale che prevedesse l’uso di armi. Non sapeva neanche lui perché. Le armi da taglio lo avevano sempre affascinato, fin da quando era bambino. Però la sua pigrizia gli aveva impedito di dare seguito a questo latente desiderio.
La sua immagine riflessa sulla superficie specchiante del tavolo di consultazione lo riportò al presente: si vide con la sua espressione timida e rassegnata, gli occhiali che nascondevano la luce del suo sguardo, di una intensa tonalità azzurra, i capelli scuri ancora folti, che cominciavano a ingrigire. La sua attenzione ritornò sui codici che aveva davanti, due codici della prima metà del Trecento, due esemplari piuttosto rari. Glieli avevano concessi in consultazione in virtù della fiducia straordinaria che si era guadagnato dopo anni di frequentazione di quell’importante biblioteca. Uno proveniva da Parigi, l’altro da Ravenna. Due copie quasi concomitanti del Roman de la Rose, il trattato satirico travestito da romanzo in versi sulla difficoltà dei rapporti fra i due sessi, uno in lingua originale, l’altro in traduzione latina. Quest’ultimo, un esemplare rarissimo. Non erano note molte copie di una simile traduzione del poema, che era stato un «best seller» a suo tempo. Riccardo si sentiva eccitato.
A una veloce occhiata, il codice ravennate con il Roman tradotto in latino, era quanto di meglio potesse sperare di trovare nella sua ricerca della perfezione. Le miniature avevano colori vivi ma con sfumature pastello, verdi e rosa leggeri per descrivere la ricchezza di stoviglie e cesti pieni di frutta, pennellate di bianco che entravano nei profili, negli ovali dei volti riempiendoli di vita, e disegnavano le vesti, specialmente delle dame agghindate, con una grazia e una competenza che avrebbe detto femminile. Quei disegni gli facevano pensare alle gentili brigate di giovani nobili descritte nei sonetti dei poeti toscani del Duecento, a imitazione dei plazer provenzali; o ereditate nella «cortesia» di seconda generazione delle novelle di Boccaccio. Si chiese se lì non ci fosse la mano di una miniatrice, invece che di un miniatore. Non gli risultava che fosse attestata la presenza di molte artiste in quel campo, ma se esistevano delle apprendiste lanaiole segnalate nei registri dell’Arte della Lana in comuni come Firenze, potevano ben esserci state anche delle pittrici. A quanto ne sapeva, l’italo-francese Christine de Pizan era stata la prima copista, ma alla registrazione della storia poteva essere sfuggito qualche nome.
«Ma che cosa vado a pensare… una miniatrice non avrebbe certo apprezzato questo libro…»
Si rese conto che la sua mente stava prendendo una direzione sbagliata. Erano settimane ormai che lavorava a quella ricerca, che era in realtà solo una preparazione a un lavoro successivo, impegnativo e importante: una nuova traduzione italiana in versi del Roman de la Rose. Forse era già un po’ stanco.
Chiuse con rispetto il primo manoscritto e aprì con altrettanta devozione il secondo, quello di origine francese. Anche quello un esemplare importante, da fargli tremare le mani mentre lo toccava.
Lo stile appariva immediatamente più severo. Le pagine del codice erano come irrigidite dalle fitte righe di un inchiostro che un tempo doveva essere stato nero e si era depositato sulla pergamena con un’ostinazione che cancellava ogni possibile ricorso alla grazia. Infatti le miniature delle lettere capitali, come per un’intenzione di assecondare la severità dell’insieme, erano semplici e lineari, senza curve o fronzoli, ma comunque di una sobria eleganza. La simmetria delle righe scritte era degna di un amanuense diplomato alla scuola di Chartres, un praticante la cui preparazione e bravura potevano essere paragonate solo a quelle di un laureato e fresco detentore di dottorato o master nella disciplina.
Perciò, quando incontrò una piccola sbavatura che interrompeva la perfezione dell’insieme, la avvertì come una nota stonata ancora più stridente.
Ma lo stupore iniziale per quella che sembrava una piccola macchia, appunto una sbavatura nella riga di inchiostro che la prolungava di pochi centimetri nello spazio vuoto del margine destro, fu niente a paragone di quello che provò quando lesse il breve testo che il mozzicone di frase conteneva.
Sobbalzò sulla sedia e dovette fare un notevole sforzo per controllarsi e nascondere l’agitazione. Le telecamere del circuito interno avrebbero potuto rivelare la sua emozione, e incuriosire il responsabile della sala. Che, come quasi tutti i bibliotecari, era affetto da un’insaziabile curiosità. Inspirò a fondo, più per accumulare aria nei polmoni che per scaricare la tensione. Era il momento di pensare in fretta, concentrato. Rilesse mentalmente la frase: «Alagary lexit et emendavit».
Alagary. Prima di questa parola, che aveva tutta l’aria di rappresentare un cognome, c’era un’altra lettera maiuscola, seguita da uno scarabocchio che somigliava a un titulus, il segno convenzionale di abbreviazione in uso nel Medioevo. Non riusciva a leggere questa lettera. Tuttavia sentiva come un campanello d’allarme risuonargli negli spazi vuoti della mente. Alagary. L’iniziale maiuscola sembrò danzargli davanti agli occhi, in una sorta di richiamo muto. Gli apparve finalmente con chiarezza, perdendo i suoi contorni sfuocati e acquistando una nitidezza che proveniva in realtà dalla sua stessa mente. Era una D seguita da un punto. L’abbreviazione di un nome proprio, che precedeva un cognome: D. Alagary.
Aveva tutto l’aspetto di una firma. E quella firma doveva proprio essere, tradotta in italiano contemporaneo, Dante Alighieri.
A quanto sembrava, il manoscritto conteneva una frase autografa di Dante.
Una scoperta da primato.
Fece finta di volersi sgranchire, alzandosi di scatto. Aveva bisogno in realtà di respirare a pieni polmoni, ma soprattutto di riuscire a interrompere il tremito violento delle gambe. Sedette di nuovo, inspirò ed espirò dolcemente. Nessuno sembrava aver notato la sua agitazione. Con calma ritrovata osservò ancora il manoscritto. Lo sfogliò lentamente, sfiorò appena le pagine come temendo di fare svanire qualche altra scrittura inaspettata.
In effetti, c’era qualcos’altro di strano su quei margini. Come scarabocchi, sbaffi di penna tracciati a casaccio, sfuggiti a una mano un po’ tremante. Ma ormai Riccardo aveva lo sguardo allenato, non si sarebbe lasciato ingannare.
Infatti, con sorpresa crescente riconobbe dei segni che erano come degli indicatori, nelle forme della scrittura antica che si disegnavano sul foglio e ora gli danzavano davanti agli occhi. Erano tracciati con lo stesso inchiostro scuro e denso usato per la firma di Dante. Come grumi in rilievo che impedivano al polpastrello guantato di lattice sottile di scorrere su un foglio del tutto liscio.
Uno, in particolare, lo colpì come uno schiaffo: era quello che tradizionalmente veniva usato come simbolo della Madonna, un’alta M gotica che giaceva però non verticale ma obliqua sul foglio, con le punte rivolte verso alcune righe del testo, come se volesse indicarle. Insomma, curiosamente usata come una freccia. Tanto da ricordargli un passo del Paradiso in cui una lettera come quella, ma in versione gigantesca, appariva luccicando nel cielo di Giove.
Riccardo non aveva bisogno di sapere altro.
L’istinto di richiudere il codice e fare finta di nulla con un’espressione il più possibile neutra e serena fu seguito da quello di interrompere la sua ricerca e andarsene subito di lì. Ma non gli sarebbe bastato semplicemente uscire. Non poteva lasciare che quel tesoro di pergamena rimanesse ancora sepolto e inascoltato, dentro quei ciechi contenitori protetti ma inaccessibili. Bisognava impedire che quell’oblio potesse ancora durare. Ma non sarebbe stato facile, per lui, che era solo un insegnante di scuola superiore e collaboratore volontario al Dipartimento di italianistica dell’Università. Stimato e apprezzato, certo, ma pur sempre uno studioso per diletto, un «cultore della materia» come si diceva. Ma se avesse potuto firmare quella scoperta… forse sarebbe passato alla storia. Forse non sarebbe stato più un oscuro dilettante ignorato dal mondo accademico.
Doveva inventarsi una soluzione.
Si alzò lentamente. Si avvicinò con noncuranza alla postazione del responsabile di sala. Chiese di poter andare in bagno. In un caso del genere avrebbe dovuto consegnare i testi in consultazione al bibliotecario perché non si corresse il rischio che ne portasse qualcuno con sé in un punto della biblioteca dove non c’erano telecamere.
Così avvenne. O almeno così sembrò, perché solo il manoscritto in latino venne deposto sulla scrivania del bibliotecario. Sotto c’era solo un taccuino molto moderno. L’incaricato non notò il leggero rigonfiamento che appesantiva la sua figura in corrispondenza dello stomaco.
Una volta nella toilette, dove nessuno poteva vederlo, Riccardo tolse il codice da sotto il maglione. Tirò fuori anche l’agenda degli appunti che aveva infilato nella ci...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo
  4. 1. La città sul fiume
  5. 2. Il manoscritto
  6. 3. Dante e Marguerite
  7. 4. Riccardo e Agostina
  8. 5. Il Numenio
  9. 6. Pericolo mortale
  10. 7. La disputa sulla Trinità
  11. 8. Paura e indagini
  12. 9. Vicini non proprio vicini
  13. 10. Un vicino inaspettato
  14. 11. Una via per raggiungere Dio
  15. 12. Una festa a sorpresa
  16. 13. Nella casa dell’anima
  17. 14. Una nuova scoperta
  18. 15. Meditazioni e incontri
  19. 16. La sentinella invisibile
  20. 17. L’atleta della fede
  21. 18. Le sorprese di Genova
  22. 19. Una missione per Dante
  23. 20. Omicidi e manoscritti
  24. 21. Paradiso e ritorno sulla Terra
  25. 22. Gatti e intuizioni
  26. 23. Dubbi brucianti e visioni celestiali
  27. 24. Le terzine ritrovate
  28. 25. Una presenza notturna
  29. 26. Verso la città sotto le Alpi
  30. 27. Dentro un cuore antico e pulsante
  31. 28. Un messaggio vecchio sette secoli
  32. 29. Una notte senza consiglio
  33. 30. Ancora verso nord
  34. 31. Sulla Senna, fra i tetti
  35. 32. Nel testo segreto
  36. 33. Il cuore oscuro di Parigi
  37. 34. Per strade senza tempo
  38. 35. La minaccia dei Perfetti
  39. 36. Nel buio
  40. 37. Il libro segreto
  41. 38. La visione profetica
  42. 39. Forze avversarie in gioco
  43. 40. Sarai tu il Numenio
  44. 41. Un altro viaggio
  45. 42. Profezie e spiegazioni
  46. 43. Il manifestarsi del Divino
  47. 44. Il segreto delle Beatrici
  48. 45. Tempo di accoglienza
  49. 46. La giostra dei pianeti
  50. 47. Incubi
  51. 48. Il volto del pericolo
  52. 49. L’ultima sfida
  53. 50. Un messaggio che attraversa i secoli
  54. 51. La fine della storia?
  55. 52. Un manoscritto, ancora
  56. Ringraziamenti
  57. Indice