Il Papa del ghetto
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Il Papa del ghetto

La leggenda dei Pierleoni

  1. 288 pagine
  2. Italian
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Il Papa del ghetto

La leggenda dei Pierleoni

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Roma, inizio del XII secolo. La vicenda è quella della lotta che culmina nella contemporanea elezione di papa Anacleto II, della ricca e potente famiglia romana dei Pierleoni, di origine ebraica, e di Innocenzo II. Tema di fondo del romanzo è il rapporto della Chiesa con lo scorrere della storia e del potere terreno. Ricca di invenzione nell'intreccio delle vicende, nei personaggi e insieme fedele nella ricostruzione dei dati storici, l'Autrice esprime la propria lucida visione della Chiesa, saldamente ancorata alla Croce di Cristo anche quando la contraddizione, dentro e fuori di sé, sembra prevalere. Scritto nel 1930, il romanzo si colloca accanto alle riflessioni di Péguy, di Claudel, di Eliot; voci dalla straordinaria capacità profetica che avvertivano il pericolo che la Chiesa stesse avviandosi su una strada ambigua, segnata dalla intellettualistica separazione tra un'azione sul piano soprannaturale e una sul piano della storia.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858670132

IL PAPA DEL GHETTO

La leggenda dei Pierleoni

NOTA DI EDIZIONE
La presente edizione si rifà a quella pubblicata nel 1952 dall’Istituto di Propaganda Libraria, con traduzione di Bice Tibiletti, a sua volta ricavata dall’edizione Ehrenwirth di Monaco del 1948.
La traduzione letterale del titolo originale risulterebbe «Il Papa dal ghetto», ma, in italiano, il senso di provenienza è insito nella determinazione, così come si suol dire «quel tale è di Parigi», indicandone anche l’origine.

Questa storia sta scritta a frammenti su piccole e grandi rovine dell’aurea città di Roma; qua e là si può leggerla o ricomporla; altrove è la notte che vi ricama attorno.
Petrus Leonis discende da Baruch Leonis e questi a sua volta da Chanoch ben Esra, che il popolo erroneamente chiama Benedictus Christianus.
Ed ecco quanto viene tramandato.
Chanoch ben Esra viveva negli anni in cui si susseguirono disastrosi terremoti. In quel tempo a Roma molti Ebrei furono trucidati perché si credeva che coi loro magici scongiuri avessero evocato le forze degli inferi per condurre alla rovina la città da cui Gerusalemme era stata vinta. (È noto infatti che, secondo una profezia di S. Benedetto, Roma non potrà cadere che per violenza di elementi ed è questo il motivo per cui i Romani s’abbandonano ad un folle e selvaggio terrore alla minima scossa tellurica ben più che alla vista di interi eserciti di barbari.)
In quei giorni, come già seicento anni prima per ottenere la cessazione di una terribile epidemia di peste, si tolse dalla cappella del palazzo del Santo Padre un’effigie di Cristo (quella che S. Luca dipinse con le sue proprie mani) e la si portò in solenne tridua processione per tutte le vie della città. Nel momento in cui la testa del corteo con la sua croce dorata usciva dai vicoli stretti e bui dirigendosi verso il bianco ponte sul Tevere detto «Pons Senatorum», la terra sussultò di nuovo così violentemente che il ponte precipitò sotto gli occhi di quelli che stavano per porvi il piede. Allora nacque tra i fedeli un tumulto spaventoso: alcuni caddero come morti per il terrore, mentre altri invocavano i Santi e altri ancora ripensavano agli Ebrei ed urlavano che bisognava punirli lapidandoli con le macerie da loro stessi prodotte. Quelli che portavano le croci e gli stendardi ne piantarono le aste nella terra, afferrarono come gli altri le pietre dei distrutti pilastri del ponte crollato e, così armati, tutti si precipitarono nelle vicine contrade degli Ebrei. (Il Pons Senatorum, come si sa, segue da vicino il Pons Judaeorum presso il quale abitano, sulle due rive del fiume, molti Ebrei.)
Uno di quelli che caddero subito nelle mani di quei forsennati fu appunto Chanoch ben Esra, un degno vegliardo che, spaventato dal terremoto, era uscito dalla sua casa. Egli poté però divincolarsi e, con le vesti a brandelli, sanguinante, orribile a vedersi, fuggì lungo la schiera dei fedeli che i moniti dei sacerdoti erano riusciti a frenare. I più vicini all’immagine sacra circondata d’ori e di candidi drappi pregavano ancora quando l’Ebreo, sempre aizzato dalle pietre lanciate dietro di lui dai suoi inseguitori, sgusciò via tra di essi. Si levò allora improvviso, quasi più per dolore che per ira, un grido: «Sacrilegio! Sacrilegio!». Chanoch ben Esra portato ben più dal terrore della morte che dai suoi vecchi piedi oltrepassò i sacerdoti le cui dalmatiche bianche e dorate formavano come un baluardo e andò a cadere tutto intriso di sangue ai piedi del Papa.
Il Santo Padre, che teneva l’immagine di Cristo tra le mani ed era perduto in preghiera e oppresso dall’oro delle sue corone e dei suoi manti così da parere egli stesso figura irreale a servizio della sacra figura, indietreggiò senza volerlo d’un passo; ma il vecchio, disperato, gli si trascinò vicino sulle ginocchia tremanti e nascose la testa nei lembi purpurei del suo mantello.
Ci fu più tardi chi affermò che il Papa per una improvvisa illuminazione riconoscesse allora, attraverso il proprio mantello, nel volto nascosto di quel vecchio Ebreo il modello originario sul quale il Creatore aveva foggiato le sembianze di S. Pietro e che questo fosse il motivo per cui aveva protetto il disgraziato. In realtà però era avvenuto il contrario, erano stati cioè l’Ebreo e il popolo romano a ritrovare per la prima volta nei lineamenti del loro Papa l’apostolica maestà di S. Pietro.
Non molto tempo era trascorso da quando la selvaggia famiglia dei Tuscolani aveva esercitato la sua criminale signoria sulla Santa Sede e questo Papa era uno dei primi usciti dalla grande riforma di Cluny. Non una visione egli ebbe, ma pensò al comandamento della misericordia cristiana e alla disposizione dei suoi santi predecessori che avevano prescritto alla Chiesa primitiva di considerare intangibili corpo e vita degli Ebrei affinché potessero convertirsi o, se ciò non avveniva, continuassero ad essere a modo loro testimonianza della crocifissione del Cristo.
I Romani non osarono toccare le sacre vesti pontificali, ma chiesero a gran voce al Papa che aprisse il suo mantello e consegnasse loro il malfattore perché cessasse il terremoto. Intanto i più lontani e più minacciosi già accusavano i più vicini di troppi riguardi e chiedevano se fossero irrigidite le mani che un tempo si erano pur levate contro Benedetto IX. Il Santo Padre sentiva il proprio cuore tremare poiché anche lui era un uomo e il popolo era sfrenato: nei tempi passati s’era visto più di un Papa percosso rudemente da laici, più d’uno vittima delle violenze subite. Molti poi gli erano avversi, lo sapeva, perché non tollerava che si vendessero le cariche ecclesiastiche. Ma portava tra le mani l’immagine di Colui che morì anche per gli Ebrei e doveva essere disposto a morire a sua volta, se era necessario, per questo Ebreo. Non pronunciò una parola, tenne lo sguardo fisso all’immagine che egli stesso reggeva e solo la sollevò un poco più in alto in modo che sovrastasse la folla e le nascondesse il suo volto. Così rimasero insieme, quasi legati ad un’unica radice, di fronte al popolo fremente, il Papa con la sua corona e il vecchio Ebreo ai suoi piedi.
La folla esitava: avrebbe sì attaccato il Papa, ma l’immagine sacra le incuteva timore. Però non indietreggiò, rimase dov’era, minacciosa, simile a una muraglia di silenzio e di corpi, che ad ogni istante può crollare addosso, uccidendo.
Ad un tratto si levò da sotto il mantello del Santo Padre la voce dell’Ebreo, quasi implorazione di pietà: «Io credo in Dio Padre, Onnipotente, Creatore del cielo e della terra».
E il Papa proseguì tranquillo, annunciando Colui di cui serrava tra le mani l’immagine (e parve che la sua voce si fondesse con quella che era venuta dall’uomo ai suoi piedi): «e in Gesù Cristo, suo Figliolo, nostro Signore, che fu concepito di Spirito Santo...».
Per un momento il silenzio all’intorno fu così assoluto come se nessuno nemmeno respirasse. Si sarebbe detto che si udiva il silenzio. Poi da esso un grido si sciolse: «L’Ebreo recita il Credo! L’Ebreo si è convertito! Un miracolo ai piedi del Santo Padre!». La muraglia cedette; il popolo s’inginocchiò. Intanto alcuni chierici trasportarono via l’Ebreo svenuto.
La sera stessa già s’era diffusa per tutta Roma la persuasione che il terremoto non si sarebbe più ripetuto, perché uno degli Ebrei che ne erano stati causa per miracolosa illuminazione s’era improvvisamente convertito a Cristo. E si diceva anche che il giorno stesso Chanoch ben Esra era stato battezzato col nome di Benedetto e quei Romani medesimi che al mattino lo avevano voluto lapidare si affollavano ora alle porte dei conventi dove supponevano fosse ospitato il miracolato per baciargli le mani, poiché credevano che proprio lui avesse liberato la città dalla piaga del terremoto. Ma trovarono ovunque guardie papali che rifiutarono di dar loro spiegazioni.
Ecco il discorso di Chanoch ben Esra col Santo Padre.
Esso ebbe luogo alcuni anni più tardi quando i Romani eccitati dalla cupidigia dei loro Capitani minacciavano di cacciare da Roma il Papa se avesse continuato ad ostacolare la vendita delle cariche ecclesiastiche. Poiché erano proprio i figli della nobiltà che profittavano di quella peste simoniaca, i partigiani di essa distribuivano grosse somme tra il popolo sempre pronto a cedere all’oro; mentre il Santo Padre se ne stava povero nella sua Leonina, protetto soltanto dall’infida spada di Cencio Frangipane, che proprio allora contrattava col nemico il prezzo di quella spada stessa.
Era quel Cencio Frangipane che il popolo chiamava Ercole per l’indomabile forza del suo gran corpo biondo nelle cui vene scorreva sangue lombardo.
Cencio aveva già più volte cercato il proprio vantaggio appoggiando la Santa Sede, precisamente come altre famiglie avevano cercato il loro favorendo i simoniaci, perché egli credeva ancora, come si era creduto fin là, che proteggere un Papa volesse dire senz’altro averlo in proprio potere. Dal momento dunque che non serviva per ubbidienza e fedeltà o per convinzione della divina missione della Chiesa, era sempre pronto a ritrarsi nei tempi di maggiori difficoltà. Il Santo Padre lo sapeva, ma sapeva anche che in un’epoca in cui l’Imperatore, consacrato e chiamato ad essere con la sua sacra spada difensore della Chiesa di Cristo, dormiva nel Duomo di Spira e l’Impero attendeva la maggiore età del suo figliolo, bisognava che la Sposa del Signore si contentasse dello scudo di questo infimo vassallo.
L’Ebreo entrando si prosternò; poi depose a terra davanti al Santo Padre due pesanti borse piene di oro e chiese di poter alzarsi di nuovo ed uscire per prenderne altre che aveva lasciato fuori, custodite da un servo perché non poteva portarle tutte in una sola volta.
Il fine e giovane Papa dal savio volto monacale chiese stupito il perché di questo tributo giacché non era l’epoca in cui gli Ebrei erano soliti versare quello che era loro richiesto. Chanoch ben Esra rispose: «Ma sì che è l’epoca poiché Vostra Santità ne ha bisogno».
«E che te ne importa, o Ebreo?» chiese il Papa sempre propenso alla ripulsa alla semplice vista del denaro, tanto lo amareggiava la lotta contro gli empi simoniaci.
L’Ebreo rispose: «Io sono Chanoch ben Esra, che Vostra Santità protesse un giorno col suo mantello dal popolo infuriato».
«Non io, figlio mio, non io ti protessi» ribatté il Papa in fretta «bensì Cristo di cui sono il rappresentante.»
L’Ebreo tacque sussultando e si vide il suo corpo quasi impennarsi, perché egli non voleva sentir parlare del Dio incarnato e crocefisso e ripensava con gratitudine solo all’atto di giustizia che il Santo Padre aveva compiuto per lui come uomo.
Il Papa indovinò le sue impressioni e ne fu turbato, ma riconobbe nello stesso tempo lui pure la nobile umanità dell’Ebreo. «Chanoch – disse – tu hai un’anima riconoscente e ciò è raro sulla terra. Ebbene, io ti dico in verità: possa Dio assistermi con la sua grazia nel mio difficile ufficio, come è vero che avrei mille volte preferito che tu mi avessi ora offerto questa tua anima anziché il tuo oro!»
«Ma egli non ha altra anima che la sua borsa» mormorò Cencio Frangipane che era accanto al Papa.
Al che il Papa pronto e sdegnato ribatté: «No, questa borsa è solo il segno della sua fedeltà». E l’Ebreo, riconoscendo quanto il Papa gli fosse benevolo e tutto pieno del desiderio di soddisfare al proprio bisogno di gratitudine, proseguì con slancio ed umilmente:
«È vero, Santo Padre, che noi Ebrei, come dice quel signore, amiamo troppo il denaro; ma i vostri Romani lo amano molto di più».
«Se lo amino più di voi non lo so – rispose il Papa sospirando – ma è certo che lo amano. E lo amano tanto che se Roma potesse sperare di trovare un compratore la offrirebbero certo in vendita.»
«Comperatela, Santo Padre – disse l’Ebreo con schiettezza – comperatela! Perché se non la comprate vi detronizzeranno e vi sostituiranno con un Papa che lasci di nuovo vendere le cariche ecclesiastiche.»
Il giovane Papa guardò pensieroso e triste l’Ebreo. «Come deve diventare umile colui che Cristo ha scelto a suo rappresentante!» esclamò. Ma il Frangipane, indovinando che la bilancia tendeva a pendere dalla parte del consiglio dell’Ebreo e tremando per il prezzo del proprio tradimento, si adirò: «Miserabile Ebreo, vuoi forse osare di vendere la nobile città dei Romani come il vostro maledetto Giuda vendette Nostro Signore?».
Il Papa ne fu una seconda volta contrariato e aggiunse una parola pungente, ma fine: «Mi si mostri una delle monete che l’Ebreo ha portate». Gli ubbidirono. «Che cosa vi sta impresso, Cencio Frangipane? L’immagine dell’Ebreo?»
Il Frangipane arrossì di collera, ma dovette rispondere: «No, è il monogramma della città di Roma».
E il Papa allora: «Si dia dunque alla città di Roma quello che è di Roma, affinché a Dio venga dato quello che è di Dio».
E così, per disposizione dell’Onnipotente, la riconoscenza di un povero Ebreo salvò il Papa, in lotta per la libertà della Chiesa, dalle mani dei Romani traditori.
Ed ecco quanto viene tramandato.
Dio benedisse la fedeltà di Chanoch ben Esra. Egli divenne ricco come a Roma nessun Ebreo né nessun altro prima di lui mai era stato, né mai lo fu in seguito. Fu come se l’oro col quale era venuto in aiuto del Papa gli si centuplicasse fra le mani sebbene egli non esigesse che l’interesse corrente e permesso. (Agli Ebrei non era proibito come lo era ai Cristiani dalla Chiesa, di esigere interessi.)
Si dice che questa benedizione decidesse suo figlio, cioè Baruch ben Baruch, che il popolo chiama Baruch Leonis per la sua nuova magnifica casa presso Porta Leone, a porre a disposizione della Santa Chiesa i suoi servigi, per quanto non lo facesse, come un tempo suo padre, per riconoscenza, perché è risaputo che egli era un calcolatore che non intraprendeva nulla senza mirare al proprio vantaggio.
Baruch Leonis era fatto così: la sua mano riconosceva con maggior sicurezza e precisione della più fine bilancia il giusto o falso peso d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Biblioteca dello spirito cristiano
  3. Frontespizio
  4. Nel mondo, non del mondo di Davide Rondoni
  5. Nota biografica
  6. Il Papa del ghetto: La leggenda dei Pierleoni
  7. Indice