La sindrome Lolita
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La sindrome Lolita

Perché i nostri figli crescono troppo in fretta

  1. 190 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La sindrome Lolita

Perché i nostri figli crescono troppo in fretta

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Bambole in minigonna con fattezze da pin-up. Bimbe in pose sexy sulle pagine delle riviste. Ragazzi cresciuti nel mito di modelli maschili violenti. L'erotizzazione precoce dell'infanzia rappresenta un problema sempre più diffuso nella nostra società, e in questo saggio Anna Oliverio Ferraris ne denuncia i principali responsabili, nella televisione e nella pubblicità, e indica i modi più efficaci per affrontare e prevenire questo inquietante fenomeno. Esaminando le strategie con cui i media cercano di influenzare i comportamenti e i consumi dei più piccoli – e con loro quelli dell'intera famiglia –, l'autrice evidenzia i rischi che una maturità sessuale troppo precoce comporta – dall'apatia dei sentimenti alla diffusione di atteggiamenti aggressivi –, mostra con storie ed esempi concreti i danni causati nei bambini da una società appiattita sull'apparenza e sul culto del corpo e, soprattutto, spiega come proteggere i propri figli dal pericolo di un'infanzia rubata.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858669969
Categoria
Sociologia

III
CRESCERE TRA REALE E VIRTUALE

Ora che la Realtà Virtuale è qui, potremmo trovare sempre più difficile distinguere tra il nostro Io «naturale» e le sue estensioni elettroniche.
Derrick de Kerckhove
Ciò che è più terribile nella comunicazione è l’inconscio della comunicazione.
Pierre Bourdieu

Immagini dell’infanzia

A otto-nove anni molti bambini hanno visto sugli schermi più di quanto i loro nonni abbiano visto in una vita intera. Questo surplus di esperienza fa bene o fa male? Il fatto di essere immersi fin da piccolissimi nel virtuale oltre che nella realtà rende più intelligenti, più sensibili, più veloci, più in grado di capire oppure è all’origine di confusioni e insicurezze?
C’è chi sostiene che sì, i bambini di oggi, proprio perché esposti a tanti stimoli diversi e abituati a muoversi tra reale e virtuale, tra fiction e realtà, sono più rapidi, più intelligenti di quanto non fossero i loro nonni, spesso carenti in sollecitazioni. I paladini di questa tesi si spingono oltre. La mente si forma anche sulla base delle esperienze che si fanno – spiegano – cosicché i bambini di oggi sono più maturi dei bambini di una volta. La loro mente è più aperta e articolata. Prendiamo la violenza, ad esempio, proprio perché ne hanno vista tanta sugli schermi, possono discriminare e inquadrarla con occhio esperto, distinguere le violenze finte da quelle vere, interporre tra sé e le scene terrorizzanti una distanza di sicurezza. Per la pubblicità valgono le stesse considerazioni: i bambini contemporanei, secondo questa scuola di pensiero, sarebbero consumatori smaliziati, assai più di quegli adulti che tanto si preoccupano per loro. Lasciati liberi di vedere e sentire di tutto sarebbero alla fine in grado di interpretare correttamente i messaggi promozionali che ricevono e difendersi dagli eccessi. È il modello del «bambino maturo».
Sul fronte opposto ci sono invece tutti coloro che vedono con preoccupazione questa esposizione indiscriminata a messaggi d’ogni tipo. Le esperienze hanno un ruolo, ma la maturazione biologica non può essere ignorata. Ha dei ritmi che solo fino a un certo punto possono essere modificati. «Non basta tirare le foglie perché crescano! Bisogna che spingano da dentro» dice un famoso proverbio. Studiosi dell’infanzia del calibro di Jean-Jacques Rousseau, Maria Montessori e Jean Piaget hanno tutti quanti sottolineato le differenze che esistono non solo tra il corpo infantile e il corpo adulto ma anche tra la mente infantile e la mente adulta, una differenza confermata dalla neurofisiologia. Ci sono anche grosse differenze individuali e altre legate all’età. Un bimbo di tre anni è diversissimo per abilità e capacità espressive da uno di undici. La visione del mondo di un preadolescente di undici anni è molto diversa da quella di un bimbo che frequenta la scuola materna. Rispettare i tempi e le tappe dello sviluppo è indispensabile per una crescita armoniosa che tenga conto di tutte le dimensioni della personalità: è questo l’assunto di base del modello degli «stadi di sviluppo».
Chi condivide questa impostazione fa notare come i propugnatori del modello del «bambino maturo» non spieghino a quale età emergerebbe la capacità di discriminare e di orientarsi sulle questioni complesse tipiche del mondo adulto e come non si soffermino su un altro aspetto importante e cioè che maturità cognitiva e maturità emotiva non vanno sempre di pari passo. Un bambino sveglio e intelligente può capire una situazione dolorosa o spiacevole; non significa però che sia in grado di assimilarla sul piano emotivo. Proprio perché capisce, può restarne molto colpito, a volte sconvolto. Intelligenza e maturità non sono sinonimi, così come non lo sono emozione e comprensione. Dalla nascita ai vent’anni il cervello continua a crescere e con esso crescono la mente e la capacità di comprendere e controllare le emozioni. Per quanto intelligente e stimolato, un bambino non ha l’esperienza di un adulto né una visione d’insieme che consenta di dare alle esperienze il giusto valore. Le difese psichiche sono ancora insufficienti, tant’è che a volte è preferibile che non capisca, oppure si astragga completamente dal contesto, come saggiamente fanno talora i bambini stessi, quando una questione va troppo al di là della loro capacità di assimilazione o di tenuta emotiva. Considerare il bambino un adulto in miniatura può comportare qualche rischio, come nel caso che segue.
Fiorella non ha ancora tre anni e da un momento all’altro ha sviluppato una balbuzie accentuata. Tutto è incominciato la notte tra il 5 e il 6 gennaio quando la befana è arrivata «in visita» irrompendo dentro casa in maniera improvvisa e «spaventando» grandi e piccini. La vecchia signora brutta e minacciosa che inseguiva tutti con la scopa in mano e minacciava di mettere Fiorella dentro un sacco l’ha terrorizzata. Per i grandi, che fingevano di aver paura, era un gioco, per la piccola invece era la realtà. In quei momenti di panico Fiorella ha avuto la sensazione di essere completamente in balia di un essere malvagio che l’avrebbe rapita, portata lontano da casa, forse mangiata e uccisa e, soprattutto, di non poter contare in quei momenti drammatici sui propri genitori, anch’essi «terrorizzati» come lei. Quel grosso spavento le ha creato una notevole insicurezza che si è ripercossa sul linguaggio, in forte espansione in quello stadio dello sviluppo.
Un’altra critica mossa dai sostenitori dello sviluppo per stadi a coloro che invece non vedono nulla di sbagliato in una crescita accelerata è quella di confondere apprendimento con comprensione. Per una tendenza a generalizzare vengono attribuite ai bambini attitudini e capacità che essi non possiedono ancora o che possiedono soltanto in forma di abbozzo. Per esempio, nei loro discorsi possono comparire parole «difficili» come fissione nucleare, fecondazione artificiale, diritti… o anche frasi complesse che però sono frutto dell’imitazione, non il risultato di una reale comprensione dei concetti. Bambini che guardano la televisione o vanno su internet possono ripetere le espressioni che hanno udito senza tuttavia comprenderne il significato o inquadrarle nel giusto contesto. Se poi si considera che televisione e videogiochi hanno tempi veloci e non lasciano spazio alla riflessione è chiaro come i bambini possano imparare molto di più di quanto in realtà non siano in grado di comprendere. Ironicamente, questa sorta di sofisticazione, che nasce dall’accelerazione impressa dalle tecnologie, incoraggia i genitori e gli adulti a spingerli ancora di più.
Uno degli assunti fondamentali del modello della crescita per stadi è che la differenza tra adulti e bambini non è di ordine quantitativo ma qualitativo. I bambini hanno una visione del mondo e ragionano in modo diverso dagli adulti, non soltanto perché il loro bagaglio di esperienze è limitato, ma soprattutto perché i loro bisogni di crescita li rendono diversi. Ogni età ha caratteristiche che la rendono unica. Prendiamo, a titolo d’esempio, il periodo tra i tre e cinque anni. In questa fase i bambini hanno spesso crisi di opposizione dovute al fatto che il loro mondo immaginario è in conflitto con quanto impone loro la realtà esterna. Devono fare apprendimenti importanti, come imparare a tollerare l’attesa, comprendere che le loro richieste non possono essere esaudite all’istante, che tra il mondo interiore e quello esteriore non c’è una coincidenza perfetta, che la realtà può deludere. Gran parte dei capricci e delle collere, in questa fase, sono dovuti proprio al conflitto tra realtà interiore e realtà esteriore e i genitori dovrebbero sostenerli in questo lavoro di «disillusione», senza tuttavia cedere a ogni capriccio. Se non si capisce che tutto ciò è normale per l’età e si pretende invece che essi siano «saggi» come i grandi, si può ottenere di accelerare alcuni comportamenti, ma non si favorisce una maturazione della personalità.
Scheda 11. Problemi di assimilazione e ricordi contaminati
L’insorgere di emozioni, provocate dalla visione di situazioni o informazioni che sopravanzano troppo l’età dello spettatore e la sua capacità di assimilazione, può avere effetti imprevedibili.
Simone (8 anni) lamenta di non riuscire a liberarsi dal mostro di Spider-Man, una creatura cieca e distruttiva dotata di braccia meccaniche e di artigli che può inghiottire tutto ciò che gli capita a tiro. Eppure i genitori avevano sempre considerato del tutto innocua lo storia di Spider-Man: bollino verde, film per tutti, una trama semplice, dove il buono vince e il cattivo viene punito. Ma è proprio questo il punto: la trama è una cosa, la sua rappresentazione tutt’altra. Gli aspetti formali (immagini veloci, musiche incalzanti, primi piani improvvisi, zoomate, rumori sinistri, urla, esseri ripugnanti…) possono essere più incisivi del contenuto. Inoltre, più un bambino è piccolo meno collega le diverse fasi o momenti della storia con il finale edificante. Ciò che alla fine resta «stampato» nella memoria sono le scene più impressionanti che possono sembrare più vere della realtà.
Ancora più significativo è il caso di Giulio (5 anni) che accusava un prurito inspiegabile in tutto il corpo, aveva paura e non voleva più dormire nel suo letto. Per il pediatra, che l’aveva visitato, era sano come un pesce. Non aveva allergie né intolleranze ad alcun alimento. Il motivo del disagio risultò evidente soltanto quando, portato dalla psicologa, dopo avere giocato e disegnato, Giulio si decise a raccontare che all’interno del suo corpo correva veloce una navicella spaziale. Era stato suggestionato da alcune scene. In un documentario scientifico era stato simulato un viaggio all’interno del corpo umano e il piccolo, che si era identificato in quelle scene e le aveva interpretate alla lettera, ne era rimasto intrappolato. Simulazioni e metafore che noi consideriamo innocue provocano a volte reazioni imprevedibili nei più piccoli. Una cosa infatti è costruire un mondo fantastico partendo dalle proprie esperienze e dalle sensazioni fisiche che nascono dal proprio corpo impegnato in una qualche attività, un’altra è inglobare sensazioni, narrazioni e informazioni che provengono da fuori.
Il fatto che bambini piccoli possano udire racconti allarmanti o vedere scene che vanno al di là della loro capacità di comprensione – da quelle più innocue, ma non assimilabili per mancanza di esperienza, a quelle decisamente violente – favorisce una contaminazione tra ricordi di eventi reali, di fatti uditi ma non vissuti, di scene di fiction. A sua volta l’emozione può «legare» esperienze diverse e lontane, rendendo difficile, a posteriori, separare i fatti realmente accaduti da quelli raccontati.
Un terzo modello teorico ci spiega infine come i processi mentali superiori siano influenzati sia dallo sviluppo biologico che dai fattori socio-culturali, in particolare dalla cultura e dal linguaggio che – come hanno spiegato con i loro studi gli psicologi Lev Vygotskij e Jerome Bruner – una volta interiorizzato potenzia e regola il pensiero. I recenti progressi della neurofisiologia mostrano che il cervello è un organo molto plastico. Le strutture nervose e le funzioni che da esse dipendono possono non soltanto rigenerarsi in caso di danni o distruzione ma avere sviluppi diversi, maggiori o minori, a seconda degli stimoli che ricevono e del «lavoro» che compiono. Nel corso della crescita, una buona stimolazione, attraverso il linguaggio, i movimenti, le esperienze, la cultura e gli affetti è importante non soltanto per il benessere fisico e psichico generale ma anche per lo sviluppo delle potenzialità intellettuali che ognuno ha in sé.
Ovviamente ci sono esperienze più adatte a stimolare il cervello e altre che hanno un minore impatto sulle funzioni cognitive: ad esempio, attività ripetitive come certi videogiochi «spara-tutto» possono migliorare la mira ma non hanno un ritorno in termini cognitivi. Al contrario, esercizi di scrittura creativa, calcoli matematici, fare ipotesi e immaginare soluzioni impegnano le regioni della corteccia implicate nell’attenzione e nelle funzioni intellettuali e hanno una ricaduta positiva sullo sviluppo della mente, specialmente nel corso dell’età evolutiva, quando il cervello è ancora in piena crescita. L’attività cerebrale promuove lo sviluppo delle strutture attraverso la formazione di nuovi contatti sinaptici.
A questa crescita contribuiscono in maniera determinante anche il clima affettivo e i giochi spontanei. Per quanto riguarda il clima affettivo, l’essere umano è educabile grazie alla mediazione di un’altra persona (o più persone) in carne e ossa e il rapporto che si crea tra il bambino e i suoi familiari, così come tra il bambino e gli insegnanti, incide notevolmente nel creare un clima ricco di stimoli e motivazioni (o, al contrario, un’atmosfera demotivante e depressa).
Per quanto riguarda il gioco infantile, recenti studi svolti su un gran numero di mammiferi, specie umana compresa, indicano che nel corso dello sviluppo l’attività ludica aumenta sino a un certo punto per poi diminuire progressivamente, così come avviene per il processo di crescita cerebrale. Le due curve, quella del gioco e quella dello sviluppo del cervello, coincidono in tutte le specie e toccano il culmine nella preadolescenza, quando si forma un gran numero di contatti, le sinapsi, tra i neuroni e le fibre nervose che allacciano i neuroni si moltiplicano in modo consistente, facendo sì che si stabiliscano circuiti nervosi essenziali a un buon funzionamento cerebrale. Nel gioco, d’altronde, tutto il cervello si attiva: un gioco di gruppo all’aria aperta comporta sensazioni, percezioni, emozioni, movimenti e, soprattutto, un vero e proprio esercizio cognitivo.
Il fatto che nel mondo virtuale ci siano molti aspetti stimolanti non significa quindi ce ne siano di meno nel mondo reale, ma è vero semmai il contrario.

L’immaginario e l’immaginazione

Joanne Kathleen Rowling, l’autrice di Harry Potter, deve il successo alla sua immaginazione. Quando aveva nove anni, la sua famiglia si trasferì in una località al confine con il Galles, nei pressi della mitica Foresta di Dean, una zona selvaggia, ricca di leggende e relativamente isolata dalla cultura dominante. Nelle interviste rilasciate alla stampa, la scrittrice ha più volte ripetuto come la vicinanza della foresta, il silenzio carico di mistero e la mancanza di cose da fare avessero stimolato la sua fantasia di preadolescente. Harry Potter, che vediamo dappertutto e che ormai fa parte dell’immaginario dei ragazzi delle ultime generazioni, è nato, in realtà, da quel silenzio che l’autrice trovò intorno a sé e che riuscì a riempire con la sua inventiva. Un silenzio che in questo caso non è indice di solitudine, ma una dimensione necessaria affinché il pensiero possa spaziare, cuore e cervello possano percepire una vasta gamma di emozioni, la mente possa operare in piena libertà, al di fuori dei condizionamenti e degli stereotipi.
Il caso della Rowling ci dice che per poter fare un buon lavoro, l’immaginazione ha bisogno di un terreno propizio, comprensivo di spazi esterni e interiori. Gli stimoli esterni sono indispensabili ma non devono soffocare i moti dell’animo, le libere associazioni, i voli della fantasia. L’immaginazione non va confusa con l’immaginario. Quest’ultimo è indotto dall’esterno e cattura la vista. L’immaginazione è invece la capacità della nostra mente di costruire scenari che possono assumere una forma all’esterno di noi, ma che sono frutto di una nostra elaborazione interiore. Per usare una metafora, potremmo dire che l’immaginario è una specie di viaggio organizzato (da altri), mentre l’immaginazione è un percorso costruito dal viaggiatore. Costui si avvale ovviamente di ciò che trova nel suo ambiente, degli stimoli che lo raggiungono e che lo interessano; li rielabora, però, e ci mette qualcosa di suo che rende personale e gratificante il suo apporto e qualche volta tutto ciò avviene in modi originali e avvincenti come nel caso della Rowling.
Al di là della qualità del risultato, inventare una storia è diverso dal mero immergersi in un mondo fantastico costruito interamente da altri. Nel corso del processo creativo si rielaborano esperienze, ci si avvale degli apporti esterni ma, soprattutto, si mette in moto la mente, la quale non si limita a ricevere e ad assorbire ma si attiva nella ricerca di nuove possibilità. Prendiamo il gioco del teatro dove un gruppetto di bambini coopera nel creare una storia. Nel corso della rappresentazione l’idea iniziale viene rielaborata e arricchita, modificata dalle esigenze e dalla sensibilità dei bambini. A dice una battuta divertente. B esprime uno stato d’animo. C gioca con le parole e inventa un neologismo. D invita gli spettatori a fare silenzio e a prestare attenzione. A loro volta gli spettatori sono attivi, suggeriscono, si inseriscono nel processo creativo e prendono parte alla sua costruzione. Quando c’è questo tipo di partecipazione la soddisfazione che i bambini provano è di stampo diverso rispetto a quella che possono ricavare dall’assistere a uno spettacolo in cui non possono avere alcun ruolo.
Nulla vieta ovviamente che dall’immaginario di un film o di un cartone animato si passi all’immaginazione – e di fatto ciò avviene molto spesso – ma, paradossalmente, può risultare più facile tradurre in fantasia un racconto (scritto o orale) piuttosto che un film, perché nel primo caso la mente soggettiva gode di un maggiore spazio di libertà nel costruirsi un proprio film interiore in cui convergono anche ricordi ed emozioni personali, idee, parole, immagini e sensazioni che fanno capo alla propria esperienza. Le parole, diversamente, non aderiscono completamente ai personaggi, ai paesaggi e ai sentimenti che descrivono: lasciano all’ascoltatore uno spazio da riempire. Ma è proprio grazie a questa caratteristica del linguaggio che l’ascoltatore può colmare gli spazi vuoti. Un esempio paradigmatico è quello di Simona, una bambina a cui domandai se le era piaciuto il film Pinocchio della Disney. La sua risposta fu un «sìììì…» poco convinto seguito da «la voce del grillo parlante però nel libro era diversa». Simona preferiva ciò che la sua mente aveva immaginato piuttosto che l’«immaginario» del film.
Se è vero che le immagini non impediscono di pensare, anzi possono sostenere il pensiero, è però altrettanto vero che un flusso continuo di immagini (rese «pesanti» dalla velocità, dagli effetti speciali, dai trucchi e dal sonoro) crea dopo un po’ un effetto ipnotico legato a una duplice condizione fisica: quella delle onde cerebrali che si modificano a causa del carico di informazioni visive e quella connessa a un progressivo distacco del bambino dalle sensazioni fisiche dovute alla staticità del suo corpo immobile davanti allo schermo. In questo caso, i confini tra rappresentazione e realtà possono essere molto più labili e i due piani sovrapporsi. Lo spazio virtuale può invadere lo spazio interiore fino a creare una coincidenza perfetta che rende difficile frapporre tra sé e la storia rappresentata una giusta distanza. Questo è il motivo per cui si consiglia di parlare di ciò che si è visto, di analizzarlo insieme, di valutarne la resa e l...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Prefazione all'edizione BUR
  4. Introduzione
  5. I. L’INFANZIA ASSEDIATA
  6. II. PERSUASORI AL LAVORO
  7. III. CRESCERE TRA REALE E VIRTUALE
  8. Piccola guida a un buon uso dei media
  9. Bibliografia
  10. Indice