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Mafia e massoneria, dallo sbarco alleato al crimine globale, cento anni di trame oscure

  1. 393 pagine
  2. Italian
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Mafia e massoneria, dallo sbarco alleato al crimine globale, cento anni di trame oscure

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I membri insospettabili, i patti con lo Stato, le vendette a colpi di bombe: in un'inchiesta che attinge a documenti riservati e testimonianze di ex massoni e membri dei clan rimasti nell'ombra per decenni, Piero Messina fa luce sulla trama criminale nascosta dietro i grandi misteri della storia italiana dal dopoguerra a oggi e racconta i meccanismi che regolano la potente alleanza tra criminalità organizzata, apparati dello Stato e lobby massoniche nel nostro Paese. In un inquietante percorso che va dalle prime stragi mafiose agli scandali più recenti, passando per quella zona grigia fatta di tentati golpe, governi destituiti e politici corrotti, l'autore ricostruisce i legami inconfessabili che hanno permesso la ramificazione della "massomafia" in Italia. E nello svelare gli elementi chiave di questa struttura di potere occulta, ci costringe a guardare in faccia le perverse dinamiche criminali che da decenni minano la democrazia italiana, condannando il nostro Paese all'instabilità permanente.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858670170
Categoria
Sociologia

Capitolo 1

Sotto una cattiva stella

Possiamo forse sostenere che il nostro Paese sia nato sotto una cattiva stella? In un mondo sommerso fatto di accordi scellerati e simboli, proprio da quest’ultimi bisogna partire. Perché i simboli sono l’essenza stessa della fratellanza massonica, un linguaggio visibile ma criptato, occulto per i profani; un gioco di specchi e di riflessi, nel cui riverbero i massoni si esprimono attraverso una liturgia simbolica. Lo scopo non è tanto allontanare la gente comune dai loro presunti misteri iniziatici, piuttosto consentire una sorta di selezione naturale alla comprensione. I simboli della liturgia massonica sono dei catalizzatori in grado di avvicinare alla cerchia degli affiliati nuovi potenziali adepti, nuova linfa vitale per la comunità segreta.
Così, cercando di comprendere il pensiero e l’agire della fratellanza, fa un certo effetto scoprire come uno dei simboli più importanti dell’obbedienza massonica sia stato sempre sotto gli occhi di tutti noi, in simbiosi con l’emblema stesso del nostro Paese. Forse è proprio questo l’indizio che potrebbe aiutarci a comprendere quali siano i rapporti di forza in gioco, cosa è successo e cosa potrà accadere in Italia, e sotto la regia di chi. Perché esiste un marchio, una sorta di brand istituzionale, che dimostra quanto sia preciso e cogente il legame indissolubile e mai confessato tra le istituzioni e i «figli della luce», i fratelli massoni.
Quel simbolo è la stella a cinque punte, lo stellone raffigurato nei vessilli della Repubblica; è giunta sino al Colle più alto, al Quirinale, per ornare sempre – a eccezione di una sola presidenza – gli stendardi che contraddistinguono il mandato del capo dello Stato. Quella stella a cinque punte, iscritta all’interno di una ruota dentata e cinta da foglie di quercia e d’ulivo, altro non è che il «pentalfa» della tradizione massonica, il simbolo cui si ispira ogni aderente alle logge per cimentarsi nel difficile cammino iniziatico. Per il rito massone, è l’astro a cui fare riferimento per ascendere, per trovare la libertà individuale e collettiva. Che la forza della massoneria abbia intriso sin dai suoi primi battiti la storia repubblicana è dimostrato anche dalla genesi di quel simbolo scelto per rappresentare il Paese. Nel giugno del 1946, un paio di settimane dopo il referendum tra monarchia e repubblica, il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi stabilisce per decreto di comporre una commissione incaricata di indire un concorso per la realizzazione dello stemma repubblicano. Le procedure di selezione saranno avviate nell’ottobre dello stesso anno.
Alla prima selezione arrivano 637 bozzetti. Un disastro. Carta straccia. Palazzo Chigi è invaso da disegni in gran parte sconclusionati, con descrizioni pittoriche di scarso livello e di nessun valore «istituzionale». La fanno da padrone le vanghe e le donne che reggono i loro bambini in braccio, le spighe di grano e i torrioni.
Ce n’è abbastanza per far sbottare De Gasperi e il presidente della Costituente Umberto Terracini; sono sul punto di gettare la spugna e rinunciare al concorso per il nuovo araldo dell’Italia liberata. Le selezioni durano per oltre due anni e soltanto nel 1948 la commissione, presieduta prima da Ivanoe Bonomi e poi da Giovanni Conti (entrambi iscritti alla massoneria), fa la sua scelta. Il disegno era stato realizzato da Paolo Paschetto, un docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma: un fervente massone. Una coincidenza? Secondo gli storici della massoneria, no. Ricorda Aldo Mola, nella sua Storia della massoneria italiana, che sin dal Settecento le fratellanze avevano adottato la stella fiammeggiante per ornare le loro logge. Anche quelle italiane lo faranno, pur se soltanto qualche decennio dopo.1
Nel dopoguerra, quella stella diventa il simbolo della Repubblica. E non solo.
Nella tradizione quirinalizia, ogni presidente può decorare il proprio mandato con uno stendardo che ne rappresenti idealmente l’operato, e viene issato sul tetto del Quirinale per tutto il settennato. Alla fine del mandato, un drappo con quella stessa effigie viene donato al presidente uscente. In tutti gli stendardi è sempre stata iscritta la «stella» di origine massonica. I colori quasi sempre richiamano il tricolore. Tranne nel caso di Giuseppe Saragat, che ne sceglie una versione con la stella dorata su campo azzurro, senza il tricolore. Soltanto un presidente ha rinunciato a quel simbolo tanto caro alle logge. Si tratta di Francesco Cossiga. Nel 1990, il presidente picconatore decide di far rimuovere la stella «repubblicana» e massonica dal suo stendardo. Siamo alla vigilia della più grave crisi istituzionale del Paese, che culminerà con le stragi di mafia del 1992 in Sicilia e con il collasso della cosiddetta Prima Repubblica.
È lecito chiedersi il perché di quella scelta controcorrente, compiuta proprio dal presidente che, più d’ogni altro, ha strenuamente difeso in pubblico la massoneria. Cossiga annuncia le sue dimissioni il 25 aprile del 1992 e lascia il Quirinale tre giorni dopo. Come per vendetta, il Colle fa uno strappo alla tradizione: al momento delle dimissioni, non gli viene donato lo stendardo presidenziale. È lo stesso Cossiga a ricordare l’episodio, in un’intervista rilasciata nel maggio del 2006 al «Corriere della Sera»: «Se lo regalarono pure a me [lo stendardo, NdA]? Ma neanche per sogno. Non dimentichiamoci che io sono stato praticamente cacciato dal Quirinale a calci in culo. Soprattutto dalla Dc…».2
E se non bastasse, quando ascoltate l’inno nazionale– che forse non a caso inizia con la frase «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta» – ricordate per un attimo che è stato scritto da Goffredo Mameli, un massone. Simboli, dettagli, coincidenze, paranoie da complotto? Non dimentichiamo che la massoneria, così come le mafie e la peggior politica, si nutre proprio di questi ingredienti. In segreto.

Dentro la loggia

Ma cosa è veramente la massoneria, quali le sue regole e i suoi obiettivi? Tra teoria e prassi del dogma della fratellanza universale scorre un fiume. Sul piano dottrinale, l’obiettivo precipuo dei «liberi muratori» è creare un apparato di regole etiche, magari nascosto sotto forma di allegoria e simboli, per la creazione di un sistema morale, filosofico e filantropico. L’obiettivo ultimo è, in buona sostanza, il progresso dell’umanità attraverso l’evoluzione spirituale dell’individuo in rapporto alla comunità in cui vive. I pilastri della dottrina sono la ferma convinzione dell’esistenza di un Dio supremo e dell’immortalità dell’anima. Da questi dogmi discende una articolata «filosofia» morale, politica, culturale e religiosa. Apartitica e aconfessionale, la verità framassonica trova la sua sintesi nel motto «Libertà, Uguaglianza e Fraternità». È facile accostare, anche sul piano storico, la nascita di questa dottrina con il vento delle rivoluzioni americana e francese del Settecento, che proprio sulle orme della massoneria, e con parecchi contributi di essa, posero i pilastri per la nascita degli Stati moderni, così come oggi li conosciamo. Ma quel che più interessa è cercare di comprendere quali siano i punti di contatto tra la genesi della massoneria e la formazione dei sistemi criminali organizzati in Italia. Esistono dei contributi diretti? Si possono dimostrare? Per fare luce su ciò che vuol essere mantenuto «occulto» è necessario un salto indietro nel tempo: bisogna verificare quando è nata la massoneria italiana e quando hanno iniziato a comporsi sul territorio le associazioni criminali organizzate. Per poi passare alla disamina di come sia stata strutturata – sul piano culturale quanto su quello pratico – la fratellanza italiana. L’obiettivo è, procedendo con una sommaria analisi comparata, verificare se esista un minimo comune denominatore per organizzazioni (le mafie e le massonerie) così diverse e distanti.

Lo sbarco in Italia

La costituzione della massoneria risale all’Inghilterra del 1700. In Italia la fratellanza arrivò solo nel 1732, quando venne fondata la prima loggia a Firenze grazie al contributo di dignitari inglesi e prussiani. Le officine muratorie si diffusero in pochi anni nel Centro e nel Nord Italia, con qualche presenza anche in Sicilia. La partecipazione era molto elitaria: i primi fratelli massonici italiani erano per la maggior parte rappresentanti dell’aristocrazia, ecclesiastici, magistrati e militari, quest’ultimi abituati a riunirsi in logge specifiche. Sebbene tra i suoi membri s’annoverassero svariati dignitari, quelle officine restarono distanti dall’amministrazione della cosa pubblica e dalla politica, dedicandosi ai principi iniziatici. Un salto in avanti venne compiuto nella metà del secolo successivo, quando le logge italiane svolsero un ruolo fondamentale nei moti risorgimentali, accompagnando la nascita e la crescita di movimenti patriottici come la Carboneria e la Giovane Italia. Simbolo della massoneria, nel nostro Paese, divenne Giuseppe Garibaldi. La dottrina si diffuse a macchia d’olio, con la nascita di decine di logge in Basilicata, in Sardegna e in Lombardia. Le esperienze, tuttavia, non riuscivano a fondersi e a comunicare: serviva una sorta di camera costituente, un’unione che rappresentasse l’esperienza massonica su tutto il territorio nazionale. Al primo grande appuntamento comune, che si tenne soltanto nel 1864 a Firenze, parteciparono una quarantina di logge. Nella riunione dell’anno successivo il numero era raddoppiato. Nel 1867, poi, la massoneria italiana – su ispirazione del Gran Maestro Ludovico Frapolli, un ingegnere minerario che da giovane aveva militato come ufficiale nell’esercito austriaco – si dotò di un decalogo morale, apparso in un volumetto dal titolo La frammassoneria in dieci domande e risposte ad istruzione del popolo. Ecco i punti salienti:
Moralità: abolizione del duello; abolizione delle lotterie; dei giuochi di lotto e altri; temperanza (specie nelle bevande alcoliche); abolizione della prostituzione. Diritto: allargamento dei diritti al sesso femminile; come sarebbe da frenare l’usura; come si potrebbero diminuire le liti; utilità o nocumento della reclusione; abolizione della pena di morte e delle punizioni corporali; estensione o restrizione dell’indipendenza dei comuni dallo Stato; promozione del libero scambio; sostituzione dell’esercito di leva con la guardia nazionale; condanna del ricorso alla guerra. Polizia: abolizione dei passaporti; libertà di lavoro invece delle corporazioni privilegiate; sostituzione di guardie di sicurezza composte di cittadini volontari alle guardie di polizia e di questura. Lavoro: miglioramento delle condizioni precarie dei lavoratori in fabbrica; organizzazione del lavoro e lotta contro il pauperismo. Educazione: diffusione di libri educativi popolari; stabilimento di scuole per operai e lavoratori domestici di ambo i sessi; educazione del sesso femminile; se l’istruzione religiosa debba continuare nelle scuole o piuttosto farsi nelle famiglie; distruzione della superstizione. Scienze: convenienza di una lingua e scrittura universale; pubblicazione dei progressi delle scienze; incoraggiamento degli studi; applicazione pratica delle scienze alla vita sociale (perfezionamento della telegrafia, delle strade ferrate, delle materie che danno luce e calore, dell’agricoltura, eccetera). Arti: assistenza ad artisti di ingegno sconosciuto; incoraggiamento a invenzioni grandiose purché non siano al servizio della guerra. Religione: impedimento di qualunque persecuzione o molestia a motivo delle personali convinzioni; sforzi di rendere i diritti civili indipendenti dalla fede.
Al di là del notevole sforzo sul piano etico, le attività della massoneria italiana tracimano già nella vita pubblica e politica del Paese in costruzione. Lo dimostra proprio la biografia del Gran Maestro Frapolli. Agli inizi del 1860 era stato eletto deputato per il collegio di Casalpusterlengo. Militò sempre nella Sinistra. Nel 1866 fu inviato a Berlino in missione segreta da B. Ricasoli. Aveva il compito di concordare una spedizione di fuorusciti per sollevare l’Ungheria. Raggiunta l’Unità svolse un ruolo di primo piano nella ricostituzione della massoneria italiana, sopravvissuta in modo frammentario dopo la caduta dell’Impero napoleonico. Ricevuto in loggia il 10 dicembre 1862, a fine mese, con procedura inconsueta, aveva già percorso tutta la gerarchia dell’Ordine fino a raggiungere il 33º grado, vertice della piramide iniziatica. Diventò di lì a poco venerabile della loggia Dante Alighieri e da quel momento il suo nome è associato agli eventi fondamentali del primo decennio postunitario dell’istituzione massonica. Eletto Gran Maestro aggiunto nell’assemblea di Napoli del giugno 1867, diventò Gran Maestro quasi subito per le dimissioni di Filippo Cordova. Assurto al vertice dell’associazione, ne tenne le redini assai energicamente per più di tre anni, dandole dignità e consensi. Demolì logge irregolari e ne costruì molte nuove; stabilì fitte relazioni con le comunioni estere, intraprendendo i primi contatti con la Gran Loggia d’Inghilterra. Promosse il movimento di unificazione del variegato mosaico massonico peninsulare, concordando la confluenza nel Grande Oriente d’Italia del rito simbolico di Milano e di un gruppo consistente delle sempre ribelli logge palermitane. Durante la sua presenza nell’Ordine aderirono al gruppo che in lui si riconosceva personaggi autorevolissimi, deputati, senatori, ministri e presidenti del Consiglio come Agostino Depretis e Francesco Crispi.3
A quei tempi la massoneria poteva contare in Italia su quasi cinquemila affiliati. L’ennesimo passo in avanti verso il tentativo di controllare le leve del potere fu compiuto sotto la reggenza di Adriano Lemmi, Gran Maestro dell’Oriente d’Italia dal gennaio del 1885. Fu la sua personalità a imprimere nella massoneria una delle svolte più decise e radicali: «Lemmi amava poco i rituali massonici, semmai preferiva che i fratelli arrivassero a luoghi di potere da cui intervenire sulla vita pubblica e politica in base ai dettami della libera muratoria».4 Proprio sotto la sua reggenza venne introdotta una sorta di tassa d’iscrizione per partecipare ai lavori della comunione, pensata per creare una forza economica che aiutasse la massoneria italiana a propagarsi sul territorio nazionale. Gli affari prima di tutto. Ma come la storia insegna, da lì a breve l’etica della massoneria italiana si schiantò contro il primo grande scandalo all’italiana: il crollo della Banca romana, una bolla speculativa causata da sconsiderati investimenti nel settore immobiliare. Lemmi venne sfiorato dallo scandalo – che portò al fallimento dell’istituto creditizio e all’arresto del suo governatore Bernardo Tanlongo – e dovette cedere lo scettro del potere, rassegnando le dimissioni da Gran Maestro. Con lui si posero le basi per quella che è diventata la massoneria moderna in Italia, con un ruolo attivo nel mondo della politica e degli affari. Da quel momento in poi, ogni sforzo verrà compiuto per insinuare i propri aderenti nei gangli vitali dello Stato. Il Grande Oriente lasciò, in quegli anni, la storica sede di Palazzo Borghese a Roma per trasferirsi in Palazzo Giustiniani. Sempre in quel periodo nacquero i primi conflitti interni: da un lato i progressisti, che avrebbero voluto modulare il rito e l’attività ispirandosi ai principi umanistici e libertari, dall’altro i reazionari. Un nodo irrisolto era anche l’atteggiamento da prendere nei confronti del cattolicesimo. Queste divisioni ancora oggi sopravvivono. Nel 1908, proprio su quei temi, si registrò la prima grande scissione in seno alla massoneria italiana, con la nascita della comunione di Palazzo Vitelleschi, la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, fondata dal pastore protestante Saverio Fera. Le divisioni tra le varie comunioni, nel Ventesimo secolo, saranno la regola della massoneria italiana, che più d’una volta tenterà di ricomporsi in forma unitaria.

La massoneria italiana oggi

La passione degli italiani per il segreto non è un mistero. Nonostante scandali e inchieste giudiziarie ne abbiano minato la credibilità, la massoneria italiana gode oggi di ottima salute. I fratelli sono divisi in tre comunioni principali, ma esistono altre realtà di piccole dimensioni. In ogni caso, il fenomeno massoneria è molto più ampio di quanto si possa immaginare. Le tre associazioni maggiori sono il Grande Oriente d’Italia (Goi), la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori (Alam) e la Gran Loggia Regolare d’Italia (Glri). Il Goi è la più grande organizzazione, con quasi ventimila iscritti. Le indagini non hanno scalfito la voglia di «squadra e compasso» degli italiani: al Grande Oriente arrivano più di millecinquecento richieste di affiliazione ogni anno. Numeri consistenti anche per la Gran Loggia degli Alam, tradizionalmente indicata come «Piazza del Gesù» o «Palazzo Vitelleschi»: quasi novemila iscritti, un terzo dei quali donne. La terza comunione per dimensione è la Gran Loggia Regolare, nata dalla scissione con il Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, che conta poco più di tremila iscritti. Altre formazioni raccolgono uno sparuto numero di adesioni; fra queste si distingue il Grande Oriente Democratico (God) di Gioele Magaldi, vera e propria spina nel fianco dell’establishment massonico italiano. Ma tutti questi numeri sono da prendere con le pinze perché, se le stime ufficiali parlano di quarantamila massoni in Italia, i dati «segreti» raccontano di un esercito di oltre centomila fratelli che abitualmente frequentano le comunioni.
Ha cercato di fare luce in questa direzione il giornalista Salvo Ricco, con la sua inchiesta sulla massoneria in Italia, pubblicata nel periodico «A sud d’Europa» del Centro studi Pio La Torre.
Spiega Ricco:
Gli iscritti sono raggruppati in logge aventi base territoriale e la domanda di iscrizione a una loggia è requisito fondamentale per l’ingresso di un «profano» nella massoneria. È un ordine esoterico «riservato» che oppone ai profani il segreto iniziatico. Per formare una loggia ci vogliono almeno sette fratelli maestri. La bolla di fondazione deve ottenere il via libera del Gran Maestro nazionale e regionale. Nella richiesta, i maestri scrivono che, «avendo l’onore dell’ordine nel cuore e volendo diffondere i genuini principi dell’arte, desiderano fondare una loggia».
Secondo Ricco, soltanto il Grande Oriente conterebbe in Italia 65.688 iscritti. Così, facendo i conti, si arriverebbe ai centomila fratelli muratori italiani.5 Com’è possibile uno scarto così notevole, rispetto a dati che potrebbero essere pubblici?
Quella differenza così consistente è dovuta a una scorretta applicazione della normativa vigente, basata sulla cosiddetta legge Anselmi. La normativa prende il nome da Tina Anselmi, deputata Dc che negli anni Ottanta presiedette la commissione d’indagine sullo scandalo della loggia segreta di Licio Gelli. È composta da sei articoli, contenenti le norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e le direttive per lo scioglimento della comunità denominata loggia P2. Il primo punto spiega che:
Si considerano associazioni segrete e come tali vietate dall’articolo 18 della Costituzione quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali, ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici, anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale.
Le sanzioni sono previste dal secondo articolo: «Per i promotori di tali associazioni [è prevista] la pena della reclusione da uno a cinque anni. I semplici partecipanti sono puniti con il carcere fino a due anni». La prassi accettata funziona in maniera diversa: è sufficiente che i dirigenti delle logge comunichino il loro nominativo e la sed...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Introduzione
  5. Capitolo 1. Sotto una cattiva stella
  6. Capitolo 2. Come nasce l’alleanza tra mafie e massoneria
  7. Capitolo 3. La donazione
  8. Capitolo 4. La teoria del complotto
  9. Capitolo 5. Portella rosso sangue
  10. Capitolo 6. Libertà vigilata
  11. Capitolo 7. Soldi, grembiuli e veleni
  12. Capitolo 8. La maledetta regola del 17
  13. Capitolo 9. Scheletri in cerca di autore
  14. Capitolo 10. I fili si riannodano sempre
  15. Capitolo 11. Piccole cosche crescono
  16. Capitolo 12. Il ragioniere di Cosa Nostra
  17. Capitolo 13. L’Italia non esiste più
  18. Capitolo 14. Il Terzo Oriente
  19. Capitolo 15. Il trafficante d’armi
  20. Capitolo 16. La Giustizia massonica