C'è ancora quella voglia di cambiare il mondo?
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C'è ancora quella voglia di cambiare il mondo?

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C'è ancora quella voglia di cambiare il mondo?

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Informazioni sul libro

Con il presente libro, che presenta ancora una venatura autobiografica, l'autore ritorna sulla sua esperienza del '68, anni di entusiasmo e di voglia di cambiamento: gli anni dell'immaginazione al potere, e riflette su quella voglia di cambiare il mondo che oggi sembra persa. Racconta la storia delle grandi rivoluzioni del XIX secolo e la rivoluzione industriale, per poi analizzare la situazione dell'attuale era postmoderna, che non da molta speranza per il futuro, che è spesso percepito come una minaccia, piuttosto che come un'opportunità. Quindi passa in rassegna la storia individuando i personaggi che più hanno contribuito al progresso culturale e sociale del genere umano e a migliorare il mondo. Infine uno sguardo al futuro con ottimismo, augurandosi che non si ripetano gli stessi errori fatti nel passato. Quello che l'autore fa non è dare delle risposte, ma formulare le domande giuste, in modo che ognuno possa riflettere su quanto avvenuto e su cosa potrà ancora accadere, per trovare le proprie risposte.

Domande frequenti

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9791220398992
Capitolo 1 – Uno sguardo all’oggi
Chi ha ancora voglia, oggi, di impegnarsi per cambiare il mondo?
Non certo le persone della mia generazione - ma io non mi metto fra questi - “noi abbiamo già dato”, vi diranno! La gran parte di loro sono ormai assuefatti alla società post moderna che abbiamo contribuito a creare. Anche se non tutti - ed io fra questisono sordi e indifferenti alla speranza di un mondo migliore, se non altro preoccupandoci per i nostri figli e soprattutto per i nostri nipoti.
Nonostante le emergenze e le criticità attuali, la voglia di impegnarsi, a mio avviso, non è particolarmente sentita, soprattutto da parte della giovane generazione, che è quella cui dovrebbe stare più a cuore. La vedo per gran parte distratta, con la mente fuori dal mondo reale, in quello della rete e della realtà virtuale. E non poteva che essere così, se pensiamo che già a un anno di età, prima di imparare a parlare, i bambini digitano sul telefonino alla ricerca di video. E’ la generazione del terzo millennio, nata già digitale; la cosiddetta “millennial generation”, che ha una maggiore familiarità con la comunicazione, i media e le tecnologie digitali. La sua educazione è caratterizzata da un approccio educativo tecnologico e neoliberale, derivato anche dalle profonde trasformazioni degli anni sessanta. C’è un aumento delle tecnologie di comunicazione istantanea, resa possibile attraverso l'uso di internet, con e-mail, sms e i nuovi media utilizzati attraverso siti web come YouTube e siti di social networking come Facebook, Twitter o Whots app, che orientano allo scambio di informazioni e anche al commercio, grazie ad una più facile comunicazione attraverso la tecnologia.
Eppure mai, come in questo periodo della storia, il genere umano si trova di fronte a fenomeni che minacciano la sua stessa sopravvivenza. Il 2050, indicato come l’anno di non ritorno per fermare il processo del riscaldamento climatico globale è tremendamente vicino. Purtroppo nonostante questo, da troppi ciò non viene percepito come un problema reale.
Unica voce di rilievo è, come detto, quella del movimento giovanile “Friday for Future”, che focalizza la sua attenzione sul cambiamento climatico, che è forse la più importante, ma che certamente non è l’unica minaccia per l’umanità. Altrettanto importanti sono la sovrappopolazione del pianeta e la conseguente scarsità di acqua, cibo e risorse energetiche; la continua e inarrestabile crescita delle diseguaglianze e la migrazione a essa collegata.
Fenomeni che devono inoltre essere affrontati e risolti a livello globale, perché nessuna nazione ha la forza per farlo da sola e questo rende la loro risoluzione ancora più difficile.
La nave sta per affondare, imbarca acqua, i segnali sono evidenti, eppure c’è chi continua a lottare per avere una cabina migliore o un posto più panoramico sul ponte. Una situazione che richiama alla mente la tragedia del Titanic.
Una situazione che vediamo periodicamente con alluvioni devastanti e fenomeni meteorologici estremi e di intensità inaudita, mai avvenuti in passato in certi luoghi.
La casa sta per prendere fuoco, si sente un’evidente puzza di bruciato e si vedono rivoli di fumo, ma c’è chi ancora aspira a occupare le stanze migliori, l’attico con terrazzo, dove peraltro sarà più difficile salvarsi.
D’altronde non ci si può meravigliare se, anche difronte a una minaccia concreta e percepibile come il Covid-19, ci sono persone che nonostante il numero impressionante di morti giornaliere, nonostante gli ospedali al collasso, continuano a negarne la criticità e addirittura la sua stessa esistenza, considerandola una semplice influenza come le altre. E percepiscono le raccomandazioni e restrizioni come una minaccia alla propria libertà individuale, non considerando per nulla quella di tutti gli altri, il bene comune e la salute degli altri, messa in pericolo dal loro comportamento.
Figurarsi per le altre minacce, che danno i loro primi segnali, ma che si manifesteranno nella loro drammaticità solo tra qualche anno.
La sensazione attuale, soprattutto nel mondo occidentale e in quello dei giovani, è quella di essere in qualche modo sospesi in un presente senza tempo. Mentre nel secolo passato sono stati la categoria più importante, dove tutto si organizzava in loro funzione, perché il tempo-memoria rendeva intellegibile il passato e condizionava il presente. Nel corso del XX secolo questa idea di progresso e con essa l’interesse per il futuro è entrata in crisi e la situazione è peggiorata in questo inizio di XXI secolo. E’ stata messa in discussione l’idea che il futuro potesse essere migliore del passato; è più difficile credere al continuo progresso dell’umanità e il presente è diventato l’unico tempo possibile. L’incertezza del domani rende difficile e inutili i progetti e la capacità di proiettarsi in avanti. Quando pensiamo al futuro, lo percepiamo più come una minaccia alle nostre vite, piuttosto che come una insostituibile possibilità, come accade per l’aspetto climatico.
Una delle conferme di questo sentimento verso il futuro è il drastico calo dei matrimoni, sia civili che religiosi, registrato negli ultimi anni. I giovani non hanno il coraggio né la voglia di impegnarsi in un rapporto duraturo: “finché morte non vi separi”. Preferiscono convivere come compagni: “il mio compagno, la mia compagna” - termine che ha avuto un uso più frequente dopo essere andato in disuso nella politica: “i compagni comunisti e i compagni socialisti” ; era comunque rimasto per indicare i compagni di scuola - e magari pochi provano a mettere al mondo almeno un figlio. Ciò sta provocando questo drastico calo delle nascite, considerando solo i cittadini italiani, per cui la popolazione si sta riducendo progressivamente, nonostante il contributo degli immigrati.
Soprattutto noi occidentali crediamo di vivere in quello che è chiamato “il migliore dei mondi possibili”, ma non ci sentiamo sereni né tantomeno felici, e questo ci rende frustrati, angosciati, nevrotici e depressi. Non ci aiuta certo la nostra classe dirigente, che continua a dare il cattivo esempio, priva della dirittura morale necessaria e che pretende di imporre regole che lei stessa è la prima a non rispettare.
Appare purtroppo dominante il sentimento e il comportamento di tipo egoistico, soprattutto da parte dei più anziani, i quali fra trenta anni non ci saranno più. Allora perché preoccuparsi, non sono certo fatti loro. Perché rinunciare ai vantaggi e alle comodità di oggi per risparmiare energia? Perché non vivere invece in modo spensierato cercando la felicità oggi e nei giorni che rimangono, senza preoccuparsi d’altro?
Dovrebbero essere quindi soprattutto i giovani, che hanno un lungo cammino davanti a loro, ad aver la voglia di migliorare il mondo, con l’aggravante che bisogna agire addirittura per salvarlo evitando l’estinzione di massa del genere umano.
Quali sono i fermenti attuali? Ammesso che ce ne siano.
Provo ad analizzarli, partendo da quelli che non hanno in realtà nessun fermento e nessuna voglia di scomodarsi impegnandosi.
Gli sdraiati
Sono i giovani descritti nell’omonimo libro di Michele Serra [15], che racconta la storia del rapporto con suo figlio, facente parte della generazione degli “sdraiati”, come lui li chiama. Quelli che trascorrono tutto il giorno sul divano o sul letto. Quelli che dormono quando il resto del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo. Sono i figli adolescenti, indolenti e apatici, che forse noi adulti non comprendiamo, e ci accusano per questo - non sarebbe la prima volta-. Giovani che non si curano del loro futuro perché non credono sia utile preoccuparsene, dato che non possono fare nulla per evitare ciò che deve avvenire. Sono sfiduciati e quindi preferiscono pensare al presente, a cogliere ogni momento della loro vita per soddisfare le proprie voglie e i propri desideri immediati, che spesso neanche ci sono. Ma anche questo non è facile e troppo spesso non ci sono neanche cose da desiderare e quindi ci si arrende, ci si isola sempre di più in se stessi e si entra nel gruppo degli sdraiati.
Molto dipende anche dai loro genitori - aggiungo io - soprattutto in Italia, i quali si vantano di non far mancare nulla ai propri figli e così facendo li condannano a quella sorte di “rimbambimento”, esprimendo la loro più totale idiozia. Il compito dei genitori dovrebbe essere invece quello di far mancare qualcosa ai propri figli, di saper dire di “no”, in modo che questi aguzzino il loro ingegno e il loro talento, per ottenere ciò che desiderano, conquistandolo. I figli non devono essere serviti e riveriti, sempre aiutati, sempre accompagnati e coccolati. Un genitore dovrebbe essere come un istruttore di volo, che insegna a volare, non uno che desidera che il figlio resti in casa fino oltre i quaranta anni.
La stessa scuola, continua troppo spesso a “istruire”, e non si preoccupa abbastanza di “formare”, cioè di tirare fuori la capacità di pensare nella sua globalità. E’ quello che noi studenti del ’68 sostenevamo già allora.
Abbiamo a disposizione, oggi come non mai, un’enorme massa d’informazioni; non ci manca quindi la conoscenza. Quello che ci manca è il significato, cioè il senso e l’uso della conoscenza. Questa distinzione tra conoscenza e significato, concetto introdotto da Kant, (1742-1804) ci porta a capire che la conoscenza è opera dell’intelletto, è scienza, mentre la ricerca di senso coinvolge la totale natura umana, le sue capacità razionali e non solo, cioè la filosofia. Si possono quindi avere molte conoscenze ma non ritrovare nessun significato. Quello che accade nella nostra epoca è che sono gli interrogativi della scienza a stimolare la ricerca filosofica. E ciò si ripercuote anche nella politica, dove ognuno assegna un significato alle proprie conoscenze, ma questo significato non è il medesimo per tutti, non c’è una visione comune spendibile politicamente. Torna l’antico concetto socratico, che Kant riprende, che è impossibile fare il bene se non lo si conosce. Di ciò si occupa appunto la filosofia.
Serve un nemico comune esterno per riunirci sotto una stessa bandiera.
C’è soprattutto in Italia la forte percezione che il nostro paese non va avanti e che i nostri figli e nipoti staranno peggio di noi genitori e nonni e che per loro non ci sia spazio. Così si spiega anche il crollo del tasso di natalità, passato da 18 nuovi nati ogni 1000 abitanti negli anni ’60 ai 10 di oggi, quasi dimezzato. Per fortuna o per nostra sfortuna, non è così in tutto il resto del mondo, dove le condizioni generali sono sicuramente migliorate e sempre più paesi hanno portato fuori dalla povertà centinaia di milioni di persone, dalla Cina all’India, dal Brasile all’Indonesia, alla Turchia e ai paesi dell’Europa dell’est.
I populisti
Nascono di frequente o spesso ritornano, come sono tornati in questo periodo. Sono gli esseri ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Prefazione
  6. Premessa
  7. Capitolo 1 – Uno sguardo all’oggi
  8. Capitolo 2 - Il primo grande cambiamento
  9. Capitolo 3 - Le grandi Rivoluzioni
  10. Capitolo 4 - La Rivoluzione Industriale
  11. Capitolo 5 - I favolosi anni del sessantotto
  12. Capitolo 6 – Gli anni dopo il ‘68
  13. Capitolo 7 – L’ONU e il sogno Europeo
  14. Capitolo 8 - Le donne e gli uomini che hanno migliorato il mondo
  15. Capitolo 9 - I visionari che stanno cambiando il mondo
  16. Capitolo 10 - Cosa ci aspetta nel futuro prossimo
  17. Epilogo
  18. Bibliografia