Elsie si trovava con il paziente che assisteva, un uomo affetto da insufficienza renale, quando l’ex marito la chiamò per dirle che la sua fidanzata Olivia era stata vittima di un sequestro di persona a Port-au-Prince. Elsie aveva appena finito di dare da mangiare a Gaspard, quando il telefono cominciò a squillare. Gaspard, con i suoi reni guasti, era a letto, la testa premurosamente poggiata su due guanciali di gommapiuma, la faccia gonfia e butterata che a volte gli prudeva era inclinata verso il vetro grigio del lucernario della camera da letto, attraverso il quale vedeva, un po’ di sbieco, la gigantesca palma da cocco che da anni dominava la sua casa in riva al lago nel complesso di villette monofamiliari.
Elsie prese il piatto vuoto dal comodino di Gaspard e gli pulì via dal mento un ostinato filo di spinaci. Agitando le mani come un conduttore d’orchestra, Gaspard la invitò a non uscire dalla stanza, e di rispondere alla chiamata. Spostando velocemente l’attenzione da Gaspard al telefono, Elsie si avvicinò il microfono alle labbra e disse: «Ki lè?».
«Stamattina.» Farfugliò con voce roca e stanca Blaise, l’ex marito di Elsie. Non parlava con la sua tipica cantilena che forse, pensava Elsie, gli derivava dal fatto di essere un cantante. La sua voce ora era un sussurro quasi inudibile. «Era appena uscita da casa della madre» spiegò. «Due uomini l’hanno afferrata e spinta in una macchina, e poi sono ripartiti.»
Elsie immaginava Blaise seduto, oppure in piedi, con il telefono infilato tra il collo e le spalle, tutto preso a pulirsi le unghie. Avere le unghie pulite era una delle sue tante ossessioni. Le unghie sporche, immaginava Elsie, lo innervosivano così tanto perché era stato cresciuto da una madre che faceva la venditrice al mercato e da un padre meccanico: in pratica era cresciuto con le dita perennemente sporche.
«Ma tu non eri con lei?» gli chiese Elsie.
«Hai ragione» rispose lui tirando un sospiro lunghissimo tra i denti serrati, o così Elsie immaginava. «Avrei dovuto essere con lei.»
Gli occhi del paziente di Elsie scesero dal soffitto, dove la palma in fiore aveva cosparso il vetro del lucernario di una spolverata di semini marroni. Fingeva di non ascoltare, ma guardava Elsie dritto in faccia. Continuava a spostare il peso del corpo da un lato all’altro del letto, con qualche pausa per prendere fiato. Chiaramente voleva che Elsie riagganciasse.
Proprio quel giorno Gaspard compiva settant’anni e prima del pranzo aveva richiesto una bottiglia di champagne a sua figlia, champagne che in teoria non poteva bere, ma per il quale aveva insistito così tanto che la figlia alla fine aveva ceduto a condizione che lui ne sorseggiasse solo qualche goccia dopo il brindisi. La figlia, Mona, che era di una decina di anni più giovane di Elsie, che di anni ne aveva trentacinque, era venuta in visita da New York e ora era in giro per cercare la più costosa bottiglia di champagne che potesse trovare. Di colpo, eccola di ritorno.
«Elsie, ti devo chiedere di riagganciare» disse la figlia in creolo mentre disponeva tre flûte di cristallo su un tavolino pieghevole accanto al letto.
«Richiamami dopo» disse Elsie a Blaise.
Chiusa la telefonata, Elsie si avvicinò alla figlia del malato, una ragazza alta e sottile, e la guardò mentre infilava con delicatezza una flûte tra le dita di suo padre.
«À la vie.» Mona decise di fare il brindisi in francese. «Alla vita» aggiunse poi. Anche se di vita, a suo padre, ne rimaneva ben poca.
Quel pomeriggio, Blaise richiamò Elsie per dirle che la madre di Olivia aveva sentito i rapitori. Aveva chiesto di poter parlare con Olivia, ma i suoi carcerieri non avevano voluto passargliela.
«Chiedono cinquantamila.» Blaise parlava rapidamente e con voce nasale tanto che Elsie dovette chiedergli di ripetere la cifra.
«Dollari americani?» gli chiese per essere sicura.
Quando le rispose «wi» se lo immaginò che annuiva lentamente muovendo su e giù quella sua testa a forma di uovo.
«Ovviamente sua madre non ce li ha» disse Blaise. «Non è gente ricca. Tutti dicono che dovremmo negoziare. Cercare di riuscire a scendere a dieci. Magari una cifra del genere riesco a farmela prestare.»
Per un attimo Elsie immaginò che intendesse dieci dollari, cifra che effettivamente avrebbe reso tutto più facile. Dieci dollari e la sua ex amica e rivale sarebbe stata libera. L’ex marito avrebbe smesso di telefonarle e di interromperla mentre lavorava. Ovviamente Blaise intendeva diecimila dollari in valuta statunitense.
«Gesù, Giuseppe e Maria» disse Elsie mormorando una breve preghiera sottovoce. «Mi dispiace» disse poi a Blaise.
«Una situazione infernale.» In quel momento le parve quasi fin troppo calmo. La cosa non la sorprese più di tanto perché quando era preoccupato Blaise finiva per tirare i remi in barca. Dopo essere stato cacciato dalla popolare band di musica konpa che aveva fondato e di cui era il cantante solista, era rimasto chiuso in casa per settimane, e ogni volta che lei aveva cercato di parlargli lui la guardava con gli occhi persi nel vuoto. Anche in quell’occasione si era mostrato esageratamente calmo.
L’ex amica di Elsie, Olivia, era una donna molto seducente. Chiunque la conoscesse non poteva fare a meno di riconoscerlo. Olivia – dalla pelle color castagna, e una criniera che teneva a bada con il gel e raccoglieva in uno chignon – era bellissima. Ma la prima cosa che Elsie aveva notato quando si erano conosciute era stata la sua ambizione. Erano coetanee, ma Olivia era molto più espansiva e simpatica di lei. Quando parlava, le piaceva toccare la gente sul braccio, sulla schiena o sulle spalle, che si trattasse di pazienti, medici, infermieri, o altri aiutoinfermieri come lei. Nessuno sembrava infastidito da questo suo modo di fare, il suo tocco diventava non solo qualcosa che da lei accettavi di buon grado, ma addirittura non vedevi l’ora che lo facesse. Olivia era una delle aiutoinfermiere abilitate più popolari dell’agenzia per cui lavoravano. Grazie alla sua bellezza e alla sua conoscenza pressoché perfetta dell’inglese, spesso le venivano assegnati i pazienti più facili nei quartieri più ricchi.
Elsie e Olivia si erano conosciute a un corso di aggiornamento di due settimane per assistenti domiciliari, e dopo la fine del corso avevano continuato a frequentarsi. Quando era possibile, chiedevano all’agenzia di mandarle insieme nelle stesse case di riposo, dove perlopiù si prendevano cura di pazienti anziani allettati. Di notte, dopo che i loro pazienti avevano preso le medicine e si erano addormentati, Elsie e Olivia rimanevano sveglie a spettegolare a bassa voce, giudicando e condannando i figli e i nipoti dei loro pazienti, le cui foto incorniciate campeggiavano vicino ai flaconi di medicine sui comodini, ma che gli anziani sentivano di rado al telefono e che non vedevano quasi mai di persona.
La mattina dopo Elsie portò a Gaspard lo spazzolino e il dentifricio e lo aiutò a togliersi il pigiama e a mettersi i pantaloni e la camicia. Ormai gli andavano stretti, ma lui ci teneva a indossarli anche a letto durante il giorno. Come aveva fatto ogni mattina nel corso degli ultimi sette-otto giorni, Gaspard allungò una mano verso Elsie e le sfiorò gli zigomi con i polpastrelli sussurrandole: «Elsie, fiorellino mio, credo di essere prossimo alla fine».
In confronto ad alcune mattine, quando Gaspard si fermava per riposare anche mentre faceva i gargarismi, quel giorno sembrava alquanto stabile. Il corpo però continuava a gonfiarsi, diluendo i suoi lineamenti e facendoli apparire sempre più indistinti. Elsie temeva che presto la faccia di Gaspard sarebbe diventata simile a un pallone ogni volta più scuro su cui qualcuno aveva tratteggiato dei puntini semitrasparenti. Con grande disappunto di sua figlia e di Elsie, Gaspard continuava a rifiutare la dialisi, che invece era l’unica cosa che avrebbe potuto salvarlo.
«Dov’è Nana?» chiese, usando il nomignolo della figlia.
La figlia di Gaspard stava ancora dormendo nella sua camera da letto di un tempo, con le finestre coperte da semplici tende bianche che la donna teneva aperte per lasciare entrare la brezza mattutina di aprile. Elsie sapeva poco sul suo conto, se non che viveva a New York e che lavorava per una famosa compagnia di cosmetici, per la quale disegnava saponi, creme per la pelle e lozioni che riempivano ogni scaffale di ogni armadietto di ogni bagno della casa. Non era sposata e non aveva figli e in passato doveva essere stata una reginetta di bellezza, a giudicare dalle foto in giro per casa che la ritraevano con abiti di paillettes oppure in bikini con delle fasce. In una di queste, portava la fascia con il titolo mai sentito prima di Miss Haiti-America.
Inoltre Elsie aveva captato da conversazioni che aveva sentito per caso che qualche anno prima la moglie di Gaspard, la madre di Mona, aveva chiesto il divorzio ed era tornata ad Haiti. (Una volta Elsie aveva sentito Gaspard dire a un amico durante una telefonata: «Mia moglie quando se n’è andata si è portata via due reni funzionanti».) La figlia era disposta a donargli un rene, ma Gaspard non aveva mai nemmeno voluto prendere in considerazione la cosa.
Ogni tanto Gaspard le faceva qualche confidenza per giustificare – così Elsie sospettava – come mai sua figlia non potesse lasciare la città in cui si era trasferita dai tempi del college e tornare a Miami per prendersi cura di lui. Quando sua figlia si presentava il venerdì sera e ripartiva la domenica pomeriggio, spesso Gaspard diceva che Mona stava vivendo la vita che lui e la madre avevano sempre sognato per la loro unica figlia, una vita libera in cui guadagnava abbastanza da non dover volere mai chiedere niente a nessuno.
«Non voglio che tu pensi che lei mi abbia abbandonato, come succede a tanti anziani da queste parti» le aveva detto.
«Ma viene comunque a trovarla molto spesso, mesye Gaspard» gli aveva detto Elsie. «È questo che conta.»
Escludendo quelle di sua figlia, lui odiava le visite. Quando qualcuno lo cercava, specialmente se si trattava dei clienti e dei suoi colleghi commercialisti con i quali aveva lavorato nell’agenzia multiservizi di consulenza fiscale, diceva senza giri di parole che non voleva che nessuno di loro lo vedesse in quello stato.
Appena sveglia, la figlia andava subito in camera di Gaspard. Non parlavano molto, per evitare che lui si stancasse, ma per gran parte della mattina lei gli leggeva un vecchio romanzo haitiano dal titolo premonitore, L’Espace d’un cillement (In un battito di ciglia).
Blaise chiamò di nuovo quel pomeriggio, mentre Elsie preparava un’insalata di cuore di palma e avocado che Gaspard le aveva espressamente richiesto. Aveva detto che sua moglie gliela proponeva spesso, e ora lui aveva voglia di mangiarla insieme alla figlia, che stavolta sarebbe stata lì con lui un’intera settimana.
«Credo che le abbiano fatto del male, Elsie» disse Blaise. Parlava lentamente e in modo confuso, come se si fosse appena risvegliato da un sonno profondo.
«Perché lo pensi?» gli chiese Elsie. Il pollice le scivolò accidentalmente sulla lama del coltello che stava usando per tagliare i cuori di palma. Strinse i margini della ferita tra i denti e il sapore dolce del suo stesso sangue le riempì la bocca.
«Non lo so» disse lui, «me lo sento. Lei non cederà facilmente, la conosci. Si opporrà con tutte le sue forze.»
La sera in cui Olivia e Blaise si erano conosciuti, Elsie l’aveva portata a sentire la band di Blaise, i Kajou, che suonava al Dede’s Night Club di Little Haiti. Il proprietario del locale si chiamava Luca Dede, un uomo di quarantacinque anni e passa ma con la faccia da ragazzino, un haitiano con origini in parte ghanesi e in parte, attraverso la madre, della città meridionale di Les Cayes, proprio come la famiglia di Elsie. Il padre di Luca Dede era un promoter musicale e aveva scoperto Blaise a Port-au-Prince e gli aveva procurato un visto per fare un tour negli Stati Uniti. Blaise era rimasto oltre la scadenza del visto, aveva continuato a suonare, e non era più tornato ad Haiti. Elsie era talmente abituata ad andare da Dede, il locale dove Blaise suonava più spesso, che quella sera non si era nemmeno preoccupata di agghindarsi più di tanto. Si era messa una camicia bianca e un paio di pantaloni casual scuri come se stesse andando a lavorare in ufficio. Olivia invece, che moriva dalla voglia di uscire, indossava un abito da cocktail strettissimo con le paillettes che aveva comprato in un negozio di seconda mano.
«Era l’abito più elegante che avessero» aveva detto Olivia quando Elsie l’aveva raggiunta all’ingresso del locale. «A me sarebbe tanto piaciuto un vestito rosso, ma non ce l’avevano. Volevo il fuoco. Volevo il sangue.»
«Hai bisogno di un uomo»...