Sarebbe stato un mese di diplomazia e morte.
Tornata da un weekend rigenerante a Windsor, la regina stava per scendere a pranzo con Filippo, Carlo e Anna, per parlare di alcune questioni attinenti alla cerchia famigliare allargata. Era deciso che quando Carlo fosse salito al trono, la Firm, la Ditta – come era soprannominata la famiglia reale –, si sarebbe snellita, perlomeno per quanto riguardava le funzioni pubbliche. Meno facce al balcone che dava sulla Torta di Compleanno, di conseguenza meno responsabili della scorta personale; più lavoro per coloro che avevano visibilità all’interno della famiglia reale. Ma i componenti di grado superiore – i suoi figli e i figli di Carlo – erano preparati. Sarebbero stati i membri di grado inferiore della famiglia a protestare con veemenza. Amavano essere visti come indispensabili, e i piaceri che ne derivavano. Sua Maestà avrebbe dovuto informarli con estrema delicatezza e Carlo aveva ancora un elenco di dettagli da discutere.
Il dignitario di corte la interruppe ai piedi delle scale per comunicarle che l’assistente del segretario privato aveva bisogno di parlarle brevemente, con una certa urgenza.
«Ha detto che c’entra con la scatolina di smalto, Maestà.»
La regina fece un piccolo sospiro.
«Riferisca di tenermi in caldo la minestra. Farò più in fretta che posso. La incontrerò nella stanza 1844.»
Si avviò a passo veloce verso la stanza libera più vicina dove avrebbero potuto chiudere la porta con la certezza che nessuno sentisse cosa dicevano. Willow, Candy e Vulcan zampettarono felici intorno alle sue caviglie. Mentre si lasciava dietro una carrellata di ritratti di avi avvolti in velluti ed ermellini, la regina ricordò benissimo il giorno in cui aveva dato a Rozie la scatolina a cui si riferiva la ragazza, in segno di gratitudine, a conclusione del primo mistero che aveva contribuito a risolvere. Sicuramente avrà avuto una buona ragione per tirarla in ballo.
La regina raggiunse la stanza 1844, che si trovava fra gli appartamenti semi-statali al piano terra. Era lì che dava udienza ai visitatori più importanti. Le pareti rosa pesca calmavano gli ospiti più nervosi, ma le sue venti colonne di marmo dorato, i candelabri di malachite e i mobili stile reggenza color azzurro e oro trasmettevano comunque un senso di formale grandiosità. Come molte sale pubbliche di palazzo, anche quella era polifunzionale. Ai suoi occhi erano tutte apparati scenici, pronti per essere trasformati a seconda dell’occasione. Filippo il giorno prima l’aveva usata per ospitare un pranzo e oggi i mobili erano accantonati da un lato mentre i facchini la preparavano per un ricevimento. Fortunatamente per il momento era libera.
«La pregherei di assicurarsi che non veniamo disturbate.»
Il dignitario di corte la prese come una conferma che la sua presenza non era gradita e rimase fuori, in corridoio. Rozie arrivò un paio di minuti dopo.
«Dovrà essere molto rapida. Ho solo qualche minuto.»
«Certo, Vostra Maestà. È a proposito di Cynthia Harris.»
«Oh?»
Rozie le spiegò rapidamente della sua breve conversazione con zio Max il giorno prima.
«Ho consultato la ricostruzione della carriera della signora Harris» continuò «ed è venuto fuori che nel 1986, all’epoca del restauro, era quasi certamente al servizio manutenzioni, come si chiamava allora. L’attuale squadra operativa mi ha suggerito di parlare con un uomo di nome Joe Flowers che lavorava lì come sovrintendente. Ma è affetto da Alzheimer. Quando sono tornata da Balmoral sono andata a parlargli nella casa di cura dove è ricoverato, ma non sono riuscita a carpire nessuna informazione sensata.»
«È possibile che non sapessero nulla della signora Harris.»
«Infatti» confermò Rozie, cercando di dominare il senso di urgenza che trapelava dalla sua voce. «Ma prima era stata assistente del vice sovrintendente alla Royal Collection, Maestà, che all’epoca a quanto pare era Sholto Harvie.»
«Sholto? Perbacco!»
«Se un quadro era sparito, di sicuro la Harris l’avrebbe saputo, ed era possibile che lo ricordasse? Potrebbe apparire un dettaglio insignificante, ma Vostra Maestà era molto sorpresa che io non riuscissi a trovare il contatto giusto per ricostruire il tragitto del quadro, e ora mi sembra che potrebbe trattarsi proprio della signora Harris. Se ora sappiamo che c’era un racket organizzato…»
«Il Breakages Business. Comincio a vederci chiaro.»
«Forse Cynthia ne era a conoscenza. Forse sospettavano che lo fosse. È che trovo…» Rozie cercò un modo ragionevole per spiegare ciò che stava prendendo forma nella sua mente, «alquanto significativo» affermò, anche se la sensazione era molto più forte di così, «che qui ci sia stato sempre qualcuno che c’era anche allora, e che nessuno mi abbia consigliato di rivolgermi alla signora Harris. Eravamo in due posti diversi durante l’estate, perché io ero in Scozia quando lei non c’era e viceversa. Quando Vostra Maestà è tornata da Balmoral, avrei avuto finalmente l’opportunità di parlare alla signora Harris di persona, se solo avessi saputo quanto sarebbe stato utile. Ma, naturalmente, non è mai successo.»
«Sì, è chiaro» disse la regina.
«Il personale tende a restare a lungo al suo servizio. Le storie circolano. Non mi pare possibile che zio Max fosse l’unico a sapere dei precedenti incarichi della signora Harris. Per non parlare del signor Harvie, che non ha neanche accennato alla sua morte. Non ha proprio senso. Quando l’ho incontrato ho pensato che volesse solo essere riservato e diplomatico, ma se Cynthia lavorava per lui, be’, c’è qualcosa che non torna. È stato quasi sempre molto affabile.»
La regina strinse le labbra. Aveva un’aria piuttosto torva. «Sa cosa sta insinuando, vero?»
Rozie rispose con un filo di voce: «Lo so benissimo, Maestà». Deglutì.
Si sentivano i cani tirare su con il naso e picchiettare con le zampette sul tappeto mentre le due donne rimanevano un attimo in silenzio, ripensando a quel corpo disteso in una pozza di sangue.
«Be’» disse infine la regina. «Sta pensando a qualcuno in particolare?»
«No. Sono tutte ipotesi abbastanza infondate.»
«Ha parlato con l’ispettore capo Strong?»
«Non ancora.»
«Mi dia un po’ di tempo per rifletterci.»
«Io… Ma certo. Come no.» Rozie si rilassò un attimo. «Non pensavo che mi avrebbe creduta. Avevo l’impressione di essermi fatta prendere un po’ la mano.»
«Eppure è venuta a cercarmi» disse la regina «e mi ha fatto far tardi al pranzo con la principessa reale. Deve aver ritenuto che fosse molto importante.»
Rozie cercò di camuffare un sorriso. La principessa Anna era nota per la sua puntualità. Perfino Sua Maestà poteva vedersi redarguita dal suo sopracciglio a triangolo. «È così. Mi dispiace.»
«Ha fatto benissimo. Ora devo proprio andare.»
E tuttavia, dopo che Rozie l’ebbe lasciata sola, la regina approfittò della calma silenziosa nella stanza per avere un momento tutto per sé.
Il giorno prima, mentre era fuori a cavalcare a Windsor, aveva pensato a Rozie. Aveva riflettuto sui biglietti anonimi. Se Cynthia Harris se li era spediti da sola, Sua Maestà si chiedeva chi avesse preso di mira Rozie e perché. Sembravano scritti apposta per sbarazzarsi di lei e la regina si era domandata se ci fosse una ragione particolare per cui qualcuno avrebbe voluto farla fuori.
E ora questo: l’idea che la signora Harris fosse stata assassinata appena rientrata a palazzo dopo la Scozia, in modo che Rozie non potesse parlarle. Perché? Perché Rozie aveva chiesto in giro notizie di un quadretto di un pittore australiano pressoché sconosciuto che era andato perduto trent’anni prima. Era decisamente assurdo. Per non dire ridicolo. Eppure…
La cosa più strana era il comportamento di Sholto Harvie, che non aveva neanche lontanamente accennato al fatto di aver lavorato a stretto contatto con una donna la cui morte era su tutti i giornali, insieme a storie stravaganti di giovani principesse e bottiglie di champagne. Perché tacere su tutta la linea, ma rivelare la storia del Breakages Business?
Sholto non poteva essere l’assassino, sempre che ce ne fosse uno. Cosa avrebbe potuto fare di male stando nelle Cotswolds? E in ogni caso, perché aiutare e ostacolare contemporaneamente?
Si sentì un colpetto sulla porta. «Maestà?»
Dannazione. La minestra sarebbe stata fredda, o stracotta, e Anna, Carlo e Filippo lividi di rabbia. Gridò che stava arrivando e seguì i cani affrettando il passo più che poteva.
Quel pomeriggio Anna si affacciò alla porta del suo studio.
«Disturbo?»
In realtà un po’ sì. La regina si stava mettendo in pari con la sua corrispondenza privata. Ma non importava. Anna, che era in città per vari impegni di lavoro, si sedette sulla comoda poltrona che usava di solito quando veniva a trovare la madre e non si scompose di fronte alla zelante curiosità di Vulcan e Candy che le si strofinarono contro con il naso e vennero ad acquattarsi ai suoi piedi. Willow rimase vicino alla padrona, ma rizzò un orecchio prendendo atto della sua presenza.
«Non è più la stessa cosa, eh?» le chiese Anna. L’aveva detto con tono pratico, ma rivolse alla madre uno sguardo molto comprensivo. «Senti molto la sua mancanza?»
Intendeva del cane. Erano passate solo quattro settimane e qualcosa da quando il veterinario aveva dovuto assolvere al suo ingrato compito con Holly, e svariate volte al giorno la regina aveva sentito un tuffo al cuore: il rumore diverso che facevano sei paia di zampe, anziché otto; domandarsi quali bocconcini avrebbero potuto convincere la cagnolina più anziana a mangiare, e ricordarsi che non ce n’era più bisogno; vedersi il corpo smanioso della corgi che camminava a papera e si dimenava lungo i corridoi, zigzagandole attorno alle caviglie, mentre lei cercava di mettersi a sedere, e si stendeva in tutti i posti più inopportuni… ora non era che un pallido ricordo.
In effetti, la regina aveva risposto a un paio di vecchi amici che le avevano fatto le condoglianze. Amavano i cani, capivano bene cosa stava passando.
«Sì, mi manca tantissimo» ammise Sua Maestà. «Ma la vita continua, no?»
«Certo, mamy, però con me puoi parlare. Ho pianto a dirotto quando è morta Mabel.»
«È vero» si rammentò la regina.
Anna era fatta così: aveva quel che si dice una scorza dura, motivo per cui non le aveva fatto un baffo che la famiglia l’avesse vista frignare per la morte di un animale domestico a cui era affezionatissima. A dir la verità, era stato a causa di uno dei suoi amati bull terrier che un corgi di Sua Maestà una volta aveva dovuto esser soppresso. Non era certo un bel ricordo.
“Ma come si può” rifletté la regina “uccidere il proprio porcellino d’india?” Stava di nuovo pensando a Peggy Thornicroft, e di conseguenza a Cynthia Harris.
«Sembri molto distratta» disse Anna. «L’ho pensato anche a pranzo. Posso fare qualcosa per te?»
Sua Maestà declinò istintivamente l’offerta. «No. Non è per Holly.»
«Oddio… non sarà per il presidente colombiano, vero? Non ha chiesto niente di inaudito nella Belgian Suite? Ti ricordi quel principe che pretendeva un fuoco aperto?»
Si ricordava eccome. L’aveva chiesto affinché il suo cuoco personale potesse cucinare piatti secondo tradizione, ma poi avevano concordato che usare quello delle cucine sarebbe stata una soluzione più sicura.
«Certo che sì. Ma non si tratta di quello.»
«Oh! Allora la governante in piscina? Ha avuto una sfortuna tremenda. Non l’ho raccontato ai piccoli. Avrebbero sclerato di brutto.»
«No, nemmeno quello» mentì la regina. «Ma in effetti ho un problema. Probabilmente dovrò allertare le autorità riguardo una certa faccenda, ma se lo faccio, una cosa molto piccola finirà per diventare subito molto grande, e non sarà in mio potere impedirlo. E potrei anche sbagliarmi.»
«Non puoi chiedere a Sir Simon di occuparsene?»
«No, non credo.»
«Davvero? Non ci sono molte cose che Sir Simon non sia in grado di fare. A parte trovare un lavoro decente per Beatrice e Eugenia, a quanto mi risulta.»
«In questo caso no.»
«Puoi aspettare? Vedere se le cose si risolvono da sole?»
La regina sorrise con affetto alla figlia. Ammirava il senso pratico di Anna, e il suo istintivo desiderio di aiutare, abbinato al tatto che derivava dall’aver sempre saputo che sua mamma aveva periodicamente a che fare con questioni segrete e che se non voleva parlarne, tu non facevi domande.
«Credo di no» rispose la regina. «Anche se lo vorrei tanto.»
Anna si alzò. «Be’, non voglio impicciarmi. Ma quando ero in difficoltà con l’organizzazione delle gare equestri a Gatcombe Park, mi ricordo che vi chiamavo tutti quanti, vi tartassavo e tormentavo non poco, e tu mi avevi suggerito di procedere un passo alla volta, e di non agire prima di avere cognizione di causa.» Si avvicinò alla madre per darle un bacino affettuoso. «Vado a cambiarmi. Cena formale nella City per raccogliere una montagna di quattrini a favore del Royal Voluntary Service. Ci vediamo domani.»
Rimasta di nuovo sola, la regina mise da una parte la lettera che stava scrivendo e prese in considerazione il consiglio della figlia. Sarebbe stato suo dovere far presente il prima possibile all’ispettore capo Strong le sue apprensioni relative alla signora Harris. Se Cynthia era stata uccisa per impedirle di parlare con Rozie di quello che era successo negli anni Ottanta, ciò significava che l’omicidio rientrava nel distretto di palazzo e naturalmente la polizia doveva esserne informata.
“Ma era andata davvero così?”
Nonostante la regina fosse stata dubbiosa fin da subito, la polizia continuava ad avallare l’ipotesi che la signora Harris fosse caduta a causa di un fatale incidente. Qualcuno aveva davvero ideato l’escamotage del bicchiere? (La regina non riusciva a vederlo diversamente.) Durante l’estate Rozie aveva solo chiesto informazioni in giro riguardo la sparizione tanti anni addietro di un quadretto a olio non certo pregiato. Era possibile che qualcuno avesse predisposto un piano e ucciso per impedirle di procedere con le ricerche? Sul serio?
Se Sua Maestà avesse deciso di parlare all’ispettore capo, lui non avrebbe potuto tacere al riguardo mentre indagava con discrezione. Non era come Billy MacLachlan, l’ex responsabile della sua scorta, che dopo il pensionamento ogni tanto le dava una mano. Strong sarebbe stato tenuto a riferire le sue scoperte ai superiori. Anche se i suoi capi avessero cercato di non lasciar trapelare la cosa, si trattava pur sempre di “un omicidio a Buckingham Palace”. La regina si immaginava benissimo i titoloni sui quotidiani e i costanti aggiornamenti al telegiornale.
Guardò fuori dalla finestra. Nel parco i lampioni a gas – retaggio dell’epoca vittoriana, anche se la sua trisavola li trovava troppo moderni per i suoi gusti – erano...