L’auto della polizia svoltò nella piazzetta e parcheggiò nell’unico posto libero rimasto. Dopo qualche secondo la portiera si aprì, e la vicequestora Liana Salvadori scese con circospezione.
«Buongiorno, vicequestore» disse Hassane Hosni, in piedi di fronte alla porta del ristorante.
«Buongiorno, vicequestore» fece eco un coro di voci varie, maschili e femminili.
Tutti i dipendenti del ristorante si erano radunati davanti a La lupa e la luna, dove stavano finalmente per rientrare, e c’era anche qualcuno che col ristorante in teoria non c’entrava molto. Per esempio, c’era Olga, sempre pronta a dare una mano e a prestare orecchio. Visto che la prima cosa da fare era pulire in ogni anfratto, Hosni le aveva chiesto se poteva aiutare, e lei si era presentata subito, sai mai se mentre sei lì che lucidi qualcuno dava notizie fresche. E c’erano Achille e Zoe, incuriositi da tutta quella gente. O meglio, incuriosito. Zoe in quel momento ne aveva abbastanza di ristoranti, vicequestori, pistole e altre cose su cui dare un giudizio sbagliato. Achille, invece, aveva interpretato quell’assembramento nel modo corretto: stanno per riaprire il ristorante.
«Buongiorno a tutti» disse Liana, stringendo la mano a Hosni. «Eccoci qua, allora. Tellini, ci pensi te?»
L’agente tirò fuori di tasca un taglierino e con un colpo netto tagliò il nastro bianco e rosso. Poi, con gesto meno solenne di quello che Zoe si sarebbe aspettata, cominciò ad arrotolarlo lentamente, mentre Liana Salvadori si guardava intorno.
E i due sguardi, quello giovane e quello miope, si incrociarono.
Quello era un sorriso complice.
A volte ci son tanti motivi possibili, dietro a uno stesso comportamento.
Zoe guardò Achille, che guardava il ristorante con un misto di curiosità e timore.
Lo prese per mano, come non faceva da tanto tempo.
«Dove andiamo, Oe?»
«Zitto, Achille. Fidati e vieni con me.»
«Allora, eccoci qua. Adesso il ristorante è nuovamente vostro, dico bene, signor Hosni?»
«Era ora» disse il sous chef, guardandosi intorno. «Avevamo bisogno di riaprire. Certo, nulla sarà come prima…»
Le pareti della cucina erano pulite, ma lievemente opache, come se avessero sentito la mancanza di tutte quelle persone.
Erano entrati tutti e avevano incominciato ad aprire cassetti, prendere strofinacci e spazzoloni, spolverare ovunque. Solo Hosni si guardava intorno.
«Ecco, adesso senza Visconti come vi organizzerete?»
«Be’, non cambierà molto, almeno i primi tempi» disse Hosni mentre passeggiava per la cucina, accarezzando i piani come per rendersi conto che fossero davvero lì. «Fortunato era un executive chef, inventava i piatti ma non li realizzava. Il lavoro di esecuzione lo facevamo noi.»
«No, mi scusi, intendevo un’altra cosa. Adesso che Fortunato Visconti è morto, di chi è la proprietà del ristorante?»
«Della società. Cioè, della società fondata da Fortunato, di cui io sono socio.»
«Quindi, adesso che Visconti non c’è più…»
«Io sono l’unico socio, esatto. Dovrò trovare un altro socio al più presto, non è bene essere da soli in questo genere di impresa. Non si sa mai cosa può succedere.»
«E Visconti non aveva eredi?»
«No, era solo. Era una persona un po’ così, era un gaudente, uno spirito libero.»
«Quindi adesso che è morto la sua quota societaria spetta a lei?»
Hosni non rispose. Aveva smesso di accarezzare i piani di lavoro e si era posizionato a un banco, con le braccia stese e le mani appoggiate, come per mettere un ostacolo tra lui e Liana.
«Certo. Come le ho detto, adesso cercherò un socio. Un altro socio. Non si può fare questo tipo di impresa da soli.»
«Ma che sta facendo? Chi è questo che parla?»
Inginocchiata accanto al condizionatore, con l’orecchio appiccicato alla grata, Zoe guardò il fratello, che era esattamente di fronte a lei, nella stessa posizione. Visti di lato, sembravano due leoni a guardia di un cancello antico – due leoni vistosamente spaiati. Come se per fare il secondo lo scultore avesse preso un blocco di marmo troppo piccolo.
«Si chiama Hosni. È il sous chef. Adesso è lui che comanda.»
«Quindi adesso è lei che comanda» disse Liana, mentre Hosni osservava la ciurma all’opera.
Hosni scosse la testa.
«Qui non comanda nessuno, vicequestore. Io coordino.»
«Lei coordina. Quante persone, di preciso?»
«Dodici in tutto.»
«Non deve essere facile, così tante persone. È proprio come nei programmi TV? Ognuno deve avere un ruolo preciso?»
«Un ristorante di questo tipo deve essere un meccanismo, e ogni singolo componente della brigata è un ingranaggio, con un compito e dei tempi ben precisi. Non c’è spazio per l’improvvisazione o la fantasia.»
«Quindi ognuno ha un compito preciso, giusto?»
Il sous chef strusciò una mano sul piano d’acciaio, visibilmente a disagio. Forse voleva che quel poliziotto si togliesse dalle scatole per cominciare a lavorare. O forse chissà.
«Sa, mi sta mettendo a disagio.»
«Davvero? E come mai?»
«Ho già risposto a queste domande. Sono le stesse domande che mi ha fatto quello lì.»
«Quello lì chi sarebbe?»
Finalmente Hosni sbracò.
«Quello lì, il suo collega, quello che ha ucciso Fortunato. Quello che avete arrestato.»
«Non so di che parla, signor Hosni.»
«Non faccia la finta tonta, vicequestore. Lo sanno tutti che avete arrestato Romeo.»
«Certo. Il signor Saverio Romeo al momento è in stato di arresto.»
«E allora, mi scusi ma non capisco…»
«È in arresto con l’accusa di depistaggio e appropriazione indebita di beni sotto sequestro. Non certo per l’omicidio di Fortunato Visconti.»
Hosni e tutti gli altri che erano in cucina voltarono lo sguardo sull’agente in divisa, Tellini, che si era messo spalle alla porta. Lo sguardo dell’agente diceva chiaramente che non era andato fino là solo per accompagnare la signora, il suo superiore, in automobile.
«La persona che stiamo per arrestare con l’accusa di omicidio è qualcuno che lavora nel ristorante, e che ne conosce gli orari e il funzionamento alla perfezione.»
E detto questo, Liana guardò Tellini, che si irrigidì ancora di più davanti alla porta. Nel viaggio successivo, verso la questura, sarebbero stati in tre.
Ho capito bene? disse lo sguardo di Achille. Hai capito bene, disse quello di Zoe. Che era rimasta immobile, ancora più immobile di prima, ma con gli occhi che urlavano.
«Solo qualcuno che conosce il ristorante poteva progettare questo omicidio. E Saverio Romeo non lo conosceva abbastanza. Infatti è stato costretto ad aggirarsi per tutti i locali quando era a cena qui, con la scusa di portare fuori la moglie a cena. Gli serviva un posto adatto al suo scopo.»
«E qual era il suo scopo?»
«Nascondere delle prove compromettenti in un luogo del ristorante e ritrovarle alcuni giorni dopo durante una perquisizione. Presumo fosse cocaina, era il suo metodo preferito. Lo ha già fatto altre volte.»
«Ma perché?» chiese Hosni. «Perché questo tizio ce l’aveva con noi?»
«Non con voi» corresse Liana. «Con alcuni di voi. Con quei due che all’insaputa di tutti avevano installato nel ristorante un’attività criminosa.»
Liana iniziò a camminare lungo la parete del ristorante, con i tacchi che cadenzavano i suoi passi con un ritmo incerto e, insieme, inesorabile.
«Sapevamo che all’interno del ristorante si svolgeva una qualche attività losca.»
«Noi… io non ne sapevo niente» disse Hosni.
«Nemmeno noi. Cioè, avevamo idea che stesse succedendo qualcosa, ma non sapevamo cosa. E mentre noi indagavamo, Romeo aveva deciso di dare un’accelerata alla cosa e poter arrestare Visconti con prove false, sperando che denunciasse i suoi complici.»
«Ma è una cosa illegale» disse Hosni. «È vergognoso.»
«Difatti lo abbiamo arrestato» rispose Liana. «Ma per quello che ha fatto, non per quello che eravate convinti che avesse fatto.»
«Ma c’erano le sue impronte sulla pistola» disse Paola, guardando il fidanzato che aprì le mani e annuì, senza dire niente. Con quella fidanzata, sarebbe stato superfluo. «È una prova materiale. Almeno, vuol dire che lui ha toccato la pistola. Che l’ha nascosta lui. Insomma, che in qualche modo è complice.»
«No. Vedete, le impronte erano solo sul castello della pistola.»
Liana mimò il gesto di caricare una pistola, con la mano sinistra che tirava all’indietro, il dorso verso l’alto e le dita a pinza verso il basso.
«Ma una pistola si può smontare. E questo gesto» Liana alzò la mano, sempre con le dita a pinza «non si usa solo per caricare una pistola. Serve per stringere un oggetto. Quale, lo scopriremo.»
«Allora non sapete chi è stato…» chiese uno dei cuochi. Così, da dietro il banco, con la mano mezza alzata, sembrava un alunno particolarmente distratto di una scuola serale per adulti.
Liana scosse la testa, fermandosi.
«Non sappiamo tutti i dettagli. Ma sappiamo chi è stato.»
La donna riprese a camminare su e giù. Non era una professoressa in classe, e adesso aveva l’attenzione di tutti.
Compresa la person...