Vivi nascosto
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Vivi nascosto

Un'indagine del club Montecristo

,
  1. 312 pagine
  2. Italian
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Vivi nascosto

Un'indagine del club Montecristo

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Informazioni sul libro

La notte sta per cedere il passo all'ennesima, caldissima giornata dell'estate emiliana quando Bruno Muta, ex enfant prodige della moda, viene ritrovato brutalmente assassinato nel garage di casa sua. Lo stilista, uscito da non molto di prigione dopo una condanna per falso in bilancio, viveva solo e senza contatti esterni, ma da alcuni dettagli nella scena del delitto la polizia deduce che conoscesse il suo assassino. Questo particolare non può non scuotere il Club Montecristo, l'associazione segreta di mutuo soccorso fra ex-detenuti in cui stava per entrare Ares Malerba, a lungo compagno di cella di Muta. Ora Malerba è scomparso, evaso dalla semilibertà nelle stesse ore del delitto, e conoscendo l'accanimento degli inquirenti contro chiunque si sia macchiato in passato di una colpa - non importa se già scontata e riscattata -, il Club teme che Ares finisca in cima alla lista dei sospettati. Urge una contro-indagine al di fuori della legge, affidata alla bizzarra coppia che ha già risolto il caso Ferrante: Arno Maletti, hacker a tempo perso, e Lans Iula, un passato da pittore e rapinatore di banche. Riusciranno i due amici a venire a capo dell'omicidio, e, ancor più difficile, dei loro guai e misteri personali?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835715696

1

Lans Iula era sull’orlo del baratro, e il baratro lo guardava negli occhi. Lo fissava con un’intensità che cresceva a ogni secondo, lo attraeva a sé come un buco nero. Il baratro era un buco nero, che si apriva nella scrivania bianca laccata e digradava rapidamente, da bianco a grigio ad antracite a nero pece, come un pozzo senza fondo proprio in mezzo a quell’ufficio immacolato.
Dall’altro lato della scrivania, anche il gallerista osservava il baratro rapito, gli occhi stretti a scrutare il buio al suo centro, come se potesse intravedere, sforzandosi, ciò che si trovava sul fondo. Ma Lans sapeva che era impossibile: quel pozzo lo aveva disegnato lui, e non aveva fine.
«Incredibile» disse Angelo Benares per la terza volta in pochi minuti. Allungò una mano verso il foglio adagiato tra lui e Lans, lo tirò a sé con un gesto delicato. «Sembra davvero che la scrivania sia forata. Viene voglia di infilarci dentro il braccio per vedere quanto è profonda…»
Lans abbozzò un sorriso. Benares era un intenditore d’arte, eppure di fronte a un’illusione ottica reagiva come chiunque, come un bambino, come un primitivo: a colpirlo era il realismo del risultato, non la tecnica dell’artista, non il suo intento, e nemmeno il senso dell’opera. Proprio per questo Lans aveva scelto il trompe-l’œil come forma di espressione: per dribblare il cervello dell’osservatore e puntare dritto allo stomaco, al cuore.
«Allora, le piace?» chiese cercando di non far trapelare la sua tensione. «Crede possa andare?»
Il gallerista esitò un istante prima di rispondere, come se staccare gli occhi dal tunnel di inchiostro che si apriva in quel foglio fosse una fatica immane. Alla fine li rivolse al suo interlocutore, ma tenendo sempre una mano sul bordo del disegno. «Certo che mi piace. È pura magia» rispose Benares. Poi sospirò, scosse la testa. «Ma per i nostri scopi temo non vada bene. Non è abbastanza.»
Lans non era preparato a quella risposta: come sempre quando si trattava della sua arte, aveva temuto che il disegno non piacesse affatto, e allo stesso tempo aveva sperato che piacesse fin troppo. Una via di mezzo non se l’aspettava, e così incassò il colpo in modo troppo visibile.
«Non ti offendere» si affrettò a dire il gallerista. «Non ho mai visto un’illusione ottica di questa finezza, fatta a penna su carta comune, poi…»
«Però non è abbastanza.»
L’altro sospirò. «No, non lo è. È perfetta, ma fredda. Le manca un’anima. Le manca una storia.»
Ora toccava a Lans sospirare. «Una storia» ripeté con tono stanco. Aveva già capito a cosa puntava Benares.
«Sì, una storia. Ormai l’arte non si vende più da sola. Non basta il quadro bello, particolare, unico. Ci vuole un contesto. Ci vuole un’origine. Un mito. Persino una favola. Qualcosa che leghi l’opera all’autore, insomma, e lo racconti.»
Lans abbassò gli occhi sul suo baratro. Nessuno poteva vedere ciò che nascondeva, ma lui sì. E se non era una favola, quella che raccontava, di certo era la sua storia. Nera, nerissima, e senza fine in vista.
«Vieni» gli disse Benares. «Ti mostro cosa intendo.»
Si alzarono dalle poltrone di design, belle e scomode, e uscirono dall’ufficio tutto stucchi e vetrate. Dopo un breve corridoio su cui affacciavano altre due porte comparve una tenda di velluto rosso, simile a un sipario. Il gallerista la scostò e fece cenno a Lans di precederlo.
La sala in cui si ritrovarono era un enorme open space senza muri, paratie, divisorie di alcun tipo. I soffitti erano bassi, poco più di due metri, ma quanto a superficie c’era di che fare invidia a una discoteca. Come nell’ufficio di Benares, il bianco era il colore dominante: quasi incontrastato, non fosse stato per la ventina di installazioni che punteggiavano lo spazio a intervalli irregolari. Lans ci mise un attimo per metterle a fuoco, e quando lo fece non poté evitare di aggrottare la fronte: scatole, scatoloni, sacche e valigie erano disseminati ovunque. Non c’era una simmetria o un disegno, ma anche a prima vista si capiva che erano state disposte in quel modo con studio, seguendo un filo logico che al momento gli sfuggiva.
«Questa è la mostra che inauguriamo la settimana prossima» disse il gallerista. «Si intitola Cenere alla cenere. Ne hai sentito parlare?»
Lans scosse la testa. Da quando era uscito dal carcere, ormai un anno prima, non aveva ancora ripreso a leggere i giornali e ascoltare i notiziari. Vivere in una bolla inattuale lo faceva sentire bene, o forse non proprio bene, ma meglio del contrario.
«L’artista è il figlio di un famoso piromane degli anni Settanta» spiegò Benares entrando in modalità cicerone. «Quello che diede fuoco alla pineta di Abetrella, hai presente? Fu preso quando l’artista aveva quattro anni, e da allora iniziò a fare avanti e indietro dalla prigione con accuse sempre più pesanti. Alla fine si beccò l’ergastolo per omicidio preterintenzionale – quei turisti tedeschi all’Ogliastra, te ne ricorderai – e così l’artista crebbe senza padre. Solo da adulto è riuscito a perdonarlo, e da una serie di colloqui con lui è nata l’idea di questa serie.»
Si fermarono davanti alla prima installazione, un baule da viaggio liso e consunto dai decenni. Il coperchio era abbassato e sulla serratura spiccava un grosso lucchetto chiuso. I libri di mio padre diceva la didascalia. Olio e fiammifero su carta.
Lans aggrottò la fronte.
Il gallerista sorrise. «Settantasei volumi. La biblioteca privata del piromane. L’artista l’ha presa, l’ha cosparsa di olio, poi ha acceso un fiammifero e l’ha incendiata. Dopo che è bruciata completamente, ha raccolto le ceneri e le ha infilate in questo baule. Non male, come storia, eh?»
Lans sgranò gli occhi, si guardò intorno nell’immenso salone. Allora tutte quelle scatole, sacche e valigie…
«… tutte piene di cenere, sì. I libri del padre. I suoi diari. I suoi vestiti. Le lettere che scriveva dal carcere. Le fotografie dei luoghi che ha distrutto. E così via. L’artista ha bruciato ogni cosa, documentando il processo con una videocamera» aggiunse Benares rivolto verso alcuni schermi su un piedistallo a centro sala, «e poi ha raccolto le ceneri e le ha messe in salvo per sempre. Perché tutto può bruciare, tranne ciò che è già bruciato.»
Passeggiarono qualche minuto fra le installazioni, in silenzio, fino a raggiungere la fine della mostra, dove sotto un faro di luce più potente degli altri troneggiava un vaso nero come la notte, dalle forme sinuose e chiuso con un coperchio sigillato.
Lans capì di cosa si trattava prima ancora di leggere la didascalia, che riportava solo quattro parole:
Papà
(cenere alla cenere)
Rimasero a guardare l’urna in silenzio per lunghi minuti, quindi senza dire nulla si voltarono e ritornarono all’ufficio del gallerista. Il baratro li attendeva docile sul tavolo, ma adesso, alla luce delle opere appena viste, anche a Lans sembrò solo un gioco di prestigio, altro che magia.
«Io ho visto le tue opere di prima» disse Benares tornando a sedersi dietro la scrivania. «Quando non avevi ancora avuto guai con la legge» aggiunse, come se Lans potesse non capire al volo a cosa si riferiva quel “prima”. «E ti devo dire che non c’è paragone.» Indicò il foglio sul tavolo. «Bello, per carità. Fenomenale. In questi otto anni non hai perso la mano, anzi. Ma a giudicare dal soggetto hai perso qualcos’altro.»
«Cosa?» domandò Lans. Non per retorica. Magari quell’uomo sapeva davvero cosa gli mancava. Di certo lui si sentiva manchevole.
Ma il gallerista si strinse nelle spalle. «Io non lo so, cos’hai perso. Lo saprai tu, e se non è così devi impararlo. Di sicuro non possiamo rimetterti sul mercato con dei disegni asettici, impersonali, per quanto meravigliosi.» Tornò a guardare il trompe-l’œil sulla scrivania, poi sospirò, girò il foglio a testa in giù. «Otto anni fa, quando non avevi fatto quello che hai fatto, avrebbero anche funzionato. Ma ora… Tu hai una storia, Lans. Una grande storia. E se vuoi fare grande arte, devi raccontarla. Anche questa cosa dello pseudonimo… Alan Luis non mi interessa. Io voglio Lans Iula. La gente vuole Lans Iula.»
Lans si irrigidì sulla poltrona. Una vaga nausea si impadronì di lui.
«Lans Iula è morto» disse, la voce strozzata. «E ha smesso di dipingere.»
Il gallerista lo guardò serio, scosse la testa. «Lans Iula è vivo, ce l’ho proprio qui davanti, e non ha perso un briciolo della sua arte. Ma si nasconde. E nell’arte vince chi si mostra.»
Allora tornò a girare il foglio verso l’alto e fece un gesto che Lans non si sarebbe mai aspettato. Dal taschino della giacca estrasse una penna nera e affusolata che catturò in un istante tutta la luce della stanza. La aprì, la appoggiò sul foglio e con un tratto netto barrò la firma “Alan Luis”.
«Esci allo scoperto» disse scrivendo al suo posto “Lans Iula”. «Racconta la tua storia» aggiunse spingendo con delicatezza il foglio verso Lans. «Racconta al mondo cos’hai fatto otto anni fa. Racconta una buona volta perché. E, soprattutto, racconta per chi
Fuori dalla galleria il caldo lo attendeva come un cane fedele. Mutina era immersa nell’estate più opprimente da molti anni a quella parte, con i termometri mai sotto i trenta gradi – nemmeno di notte – e un’umidità che corteggiava le tre cifre senza decidersi ad allungare le mani. Sarebbero bastati pochi punti percentuali perché quella cortina insopportabile si trasformasse in pioggia, portando un minimo di sollievo alla legione di mutinesi costretti a rimanere in città, chi dalle necessità del lavoro, chi dalle strettezze del non lavoro. Ma la pioggia mancava ormai da giugno, e ad agosto inoltrato sembrava sempre più probabile che per quell’estate non sarebbe arrivata. I due fiumi della città erano ridotti a rigagnoli pietrosi, l’Appennino che faceva capolino ogni tanto dalle foschie a sud si mostrava giallo come le dune di un miraggio, e l’erba nei parchi era invisibile, ricoperta da tappeti croccanti di foglie cadute anzitempo.
Deserto e arido il mio mondo,
deserto e arido il mio cuore.
Non una goccia d’acqua, intorno,
non un amore.
La poesia di Arno, il suo migliore amico, era stata scritta quasi vent’anni prima, in tutt’altra circostanza, ma sembrava parlare proprio di quei giorni, proprio di lui.
Lans sospirò. Aprì la cartellina che conteneva il suo inutile trompe-l’œil, lo estrasse per guardarlo un’ultima volta. Gli era andata male, ma doveva immaginarlo. Presentarsi così, con uno scarabocchio improvvisato. Cosa pensava di ottenere? Si può ingannare l’occhio, anche più di una volta, anche per sempre, ma non si può ingannare il cuore.
Si strinse nelle spalle. Raggiunse il primo cestino e senza pensarci due volte gettò via disegno e cartellina. Poi si guardò intorno in cerca di un orologio. Da quando era uscito di prigione non aveva più ripreso l’abitudine di indossarne uno, e quello del suo cellulare era stranamente inaffidabile. Così, quando si trovava in giro, durante una delle sue lunghe passeggiate quotidiane o nelle rare occasioni in cui usciva di casa per qualche appuntamento, doveva regolarsi con i display delle banche, delle farmacie o degli uffici postali, che purtroppo andavano scomparendo uno dopo l’altro, oppure sbirciare dalle vetrine dei negozi in cerca di quadranti appesi ai muri. Solo in casi estremi chiedeva a qualche passante, e mai alle donne. Le donne era meglio evitarle, visto l’effetto che aveva su di loro.
Questa volta fu salvato dalla radio. Un bar poco distante teneva la porta aperta, forse per attrarre clienti, o più probabilmente perché l’aria condizionata era guasta, e così lungo la strada si riversava un fiume di musica e parole. Mutina Radio City, si disse Lans riconoscendo la voce dello speaker, che, come se avesse intuito la sua necessità, annunciò l’ora: mezzogiorno in punto.
Lans annuì tra sé, si orientò e partì di buon passo, senza badare alla voce maschile che in apertura di notiziario annunciava il ritrovamento di un cadavere in una villetta della prima periferia.
“Le autorità ipotizzano un omicidio” dichiarò eccitata la radio, ma Lans non registrò la frase e passò oltre, puntando dritto verso casa. Come accade spesso, però, il suo cervello doveva averne colto il senso a qualche livello: quando dieci minuti più tardi il telefono di Lans emise un bip, la sua prima reazione fu di allarme, ansia, pericolo.
Riunione ristretta tra mezz’ora. Forse abbiamo una pista. P.
Lans aggrottò la fronte. Primo, il capo degli Ammutinati, gli scriveva solo per questioni urgenti, e certo le ricerche che stavano conducendo da due giorni avevano la massima priorità, ma una riunione ristretta? A quell’ora? Dovevano esserci novità. Novità preoccupanti.
Arrivo
rispose, e si rimise in cammino a velocità sostenuta, non più diretto a casa sua ma al Caffè Dantès, sede del circolo più esclusivo della città: il Club Montecristo.

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. VIVI NASCOSTO
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. Ringraziamenti
  30. Copyright