Il metodo del ghiaccio
eBook - ePub

Il metodo del ghiaccio

Come attivare al massimo il tuo potenziale fisico e mentale

,
  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il metodo del ghiaccio

Come attivare al massimo il tuo potenziale fisico e mentale

,
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Questo è il libro definitivo e ufficiale del metodo che sta rivoluzionando la via al benessere fisico e mentale. Alla base del metodo c'è il potere del freddo e il suo pioniere è Wim Hof.

"Puoi letteralmente fare l'impossibile. Puoi migliorare la tua salute fisica e mentale, portare al massimo le tue prestazioni e persino controllare la tua fisiologia in modo da superare al meglio qualsiasi situazione stressante." Wim Hof è noto come "The Iceman" grazie alle sue incredibili imprese fisiche, come passare ore in acque gelide, battere record di resistenza estrema e correre maratone a piedi nudi attraverso distese ghiacciate. Eppure il suo risultato più straordinario non è una performance da record: è la creazione di un metodo che migliaia di persone nel mondo stanno utilizzando per trasformare le loro vite, scoprendo i benefici sorprendenti di bagni e docce ghiacciate e rivoluzionando il proprio rapporto con il freddo.

In questo libro chiaro e appassionante Wim Hof conduce il lettore verso i punti chiave del suo metodo: · Respiro - Cambia la biochimica nel tuo corpo, allena la tua concentrazione e rigenerati.

· Freddo - Rafforza il tuo sistema cardiovascolare e attiva la potenza non sfruttata del tuo corpo attraverso esercizi sicuri, sotto controllo e senza subire lo shock da freddo.

· Mentalità - Aumenta la tua forza di volontà, sviluppa la tua lucidità interiore, la tua consapevolezza sensoriale e l'innata gioia per la vita.

· Risveglio spirituale - Sperimenta come il respiro, il freddo e la mentalità ti indicano la bellezza della tua anima.

Un percorso provato scientificamente da numerosi studi universitari, che chiunque può utilizzare, giovane o vecchio, malato o sano, per potenziare la propria forza, vitalità e felicità.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il metodo del ghiaccio di in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Crescita personale e Salute mentale e benessere. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835716105
1

Il missionario

Il respiro è una porta. In sua assenza, che cosa altro c’è? È nel respiro che tu, io, e chiunque altro abbiamo avuto inizio. È nel respiro che ha inizio ogni forma di vita.
Io ho un fratello gemello, ma all’epoca in cui sono nato, nel 1959, nei Paesi Bassi, non esistevano apparecchiature per fare un’ecografia che consentisse di rilevare la presenza di un secondo feto nell’utero. Così, mi trovavo ancora lì dentro quando mia madre è stata riportata nel suo letto per riprendersi dopo aver dato alla luce mio fratello Andre. Tuttavia, aveva una sensazione strana. C’era ancora qualcosa lì dentro, ma non sapeva cosa fosse. E ovviamente, nell’agitazione del parto, è naturale che una donna provi molte sensazioni che la disorientano.
Ma che cosa è successo? Lei si è sentita strana dopo aver partorito Andre. E poiché aveva già dato alla luce quattro figli, sapeva di non sbagliarsi. Non aveva mai provato niente di simile durante i parti precedenti. Così, mentre si trovava in sala di rianimazione, ha detto: «C’è qualcos’altro lì, dottore». Ma lui ha minimizzato. «Succede sempre dopo la nascita» ha spiegato. «Sono solo altre contrazioni, tutto qui.» Poi se ne è andato, e mia madre è stata lasciata di nuovo sola in quella sala a riprendersi. Ma la sensazione dentro di lei non ha fatto altro che intensificarsi, e a un certo punto si è resa conto che c’era un altro bambino. Ha cominciato a chiamare a gran voce le infermiere, le quali finalmente, dopo essere passate più volte per cercare di rassicurarla sul fatto che il medico avesse ragione – erano semplicemente contrazioni e non doveva preoccuparsi, perché sarebbero finite – hanno scoperto che in effetti c’era un altro bambino. Non solo: se non fossero intervenute in quel preciso istante, sarebbe morto.
Hanno riportato il letto in sala operatoria per tirarmi fuori, perché hanno appurato che mi trovavo in un punto troppo profondo per ricorrere a un parto naturale. E questo ha fatto cadere mia madre in uno stato di coscienza alterato, nel quale era ossessionata dal pensiero agghiacciante che suo figlio sarebbe potuto morire. Appena prima di arrivare in sala operatoria ha gridato: «Dio mio, fa’ che questo bambino sopravviva! Farò di lui un missionario!». Temeva che l’aprissero in due, che non sarebbe riuscita a partorire. In quel momento, la forza della paura ha risvegliato la sua fede incrollabile. Mia madre era una donna molto forte, religiosa, intelligente. Prima di mettere su famiglia all’età di ventotto anni, faceva un lavoro d’ufficio ed era indipendente. Ma le donne, a quei tempi, non potevano più lavorare dopo aver procreato. Dovevano occuparsi della prole, ed era l’uomo a dover portare a casa uno stipendio. Lei aveva già tre figli a carico quando siamo nati noi, e ne ha avuti altri quattro in seguito – ciascuno, pensava, era stato un dono di Dio. Ha cominciato a figliare come se fosse un dovere da brava cattolica, e ha affrontato con la stessa praticità, determinazione e concretezza il compito di allevare le sue creature. Non aveva ricevuto una vera e propria istruzione. I suoi genitori erano contadini, e come i suoi fratelli aveva sofferto la mancanza della madre, che era diventata schizofrenica ed era stata internata. Suo padre aveva cresciuto i figli da solo, cosa piuttosto rara all’epoca.
A quel punto, mia madre, che credeva profondamente in Dio, stava cercando di farmi venire al mondo soltanto con la forza della fede. E nel freddo di quel corridoio, sono nato grazie a una forza che lei, o chiunque altro in quelle circostanze, non avrebbe mai pensato di avere. Molti altri bambini probabilmente sono nati e altri ne nasceranno in condizioni molto estreme – forse anche più estreme di così. Ma che cos’è il karma? Che cos’è il destino? Non lo so. E in quel momento ero solo un fagottino privo di sostanza. Ero viola, perché avevo rischiato il soffocamento. Avevo freddo. Ma mia madre mi aveva invocato con una forza così grande che da allora si è impressa nella mia anima come un tatuaggio, senza avere alcun punto di riferimento riguardo a ciò che stava accadendo. Ero solo un fagottino vuoto. Impotente. Ma poi ho cominciato a respirare.
È così che ha avuto inizio la mia vita. A malapena sono sopravvissuto. E ovviamente non ricordo davvero ciò che è accaduto, ma mia madre mi ha raccontato questa storia molte volte. Forse proprio per via del modo insolito in cui sono venuto alla luce, ho sempre provato un forte desiderio di trovare qualcos’altro, qualcosa in più, di più profondo, di mistico – qualcosa di strano. Ricordo che all’età di quattro anni ho avuto come un’epifania che mi ha costretto a fermarmi. Ho visto solo luce. Luce! Che cos’è? Ne sono rimasto sopraffatto. Non stavo pensando, ero solo immerso nella luce. Ma che cos’era? Non lo sapevo allora, e non lo so ancora oggi. Ma il ricordo è indelebile.
Andre e io abbiamo condiviso una stanza minuscola e lo stesso letto per sedici anni. Ci accomunava l’amore per le cose insolite, e risparmiavamo soldi per spenderli in piante esotiche. Ma al di là delle somiglianze tra di noi, mi sono sempre sentito diverso da lui. Ero affascinato dalle fotografie dei templi del Tibet appese alle pareti di casa. All’età di dodici anni ero già appassionato di yoga, induismo, buddismo – di quelle che si potrebbero chiamare discipline esoteriche – oltre che di psicologia. Ma non ero il miglior studente in famiglia. Mia madre era amorevole e premurosa, ma anche molto severa, molto determinata a fare in modo che sviluppassimo un intelletto acuto. Non avevamo soldi, perché mio padre aveva problemi di salute che gli impedivano di avere un impiego regolare. All’epoca l’intelligenza convenzionale era considerata merce di scambio emotiva. I miei fratelli maggiori si sono sforzati di diventare i migliori studenti della scuola, ma io non ho avuto l’opportunità di farlo. Andre e io eravamo soprannominati «i PeePee», ed eravamo inseparabili, a volte avevo la sensazione che fossimo una cosa sola. Ma io mi sono sempre sentito una specie di pecora nera, quello un po’ più strano, impressionabile, semplicemente diverso.
Ricordo che una volta, quando avevo sette anni, mi sono messo a giocare con gli amici in un pascolo coperto di neve e ho costruito una specie di igloo. Be’, diciamo quello che immagini essere un igloo a sette anni. Dopo un po’ tutti i miei amici se ne sono andati a casa, mentre io sono rimasto. E ho cominciato a provare un senso di beatitudine che mi ha spinto a sedermi nella neve. Si è fatto tardi, e i miei fratelli e genitori hanno iniziato a cercarmi perché non ero a casa. Non era insolito che io giocassi all’aperto, nel bosco vicino casa a Sittard, costruendo capanne, fingendo di essere Tarzan e cose del genere, come fanno i bambini, ma quel giorno ero in mezzo alla neve.1 La amavo allora quanto la amo oggi. Ma ero là fuori da così tanto tempo che i miei si sono preoccupati. Quando mi hanno trovato stavo già dormendo da un po’, e quando mi hanno svegliato ho opposto resistenza. In seguito ho scoperto che stavo vivendo le prime fasi della cosiddetta «morte bianca», in cui può succedere che tu ti assopisca, vada in ipotermia e poi in coma, e a quel punto è finita. Insomma, è un processo davvero irreversibile se non si viene esposti a una fonte esterna di calore.2 Così mi hanno prelevato dalla neve e mi hanno riportato a casa, e il rientro è stato piuttosto terribile perché ero congelato. Ma poi mi sono ripreso.
La stessa cosa è successa di nuovo quando avevo undici anni. Sono andato a scuola, e sulla via di casa ho deciso che volevo sedermi. Faceva un freddo gelido, e io mi sono semplicemente accovacciato sotto il portico della casa di un vicino e mi sono messo a dormire. Non so con esattezza cosa sia successo, ma a quanto pare è arrivata un’ambulanza dopo che qualcuno ha telefonato dicendo di aver visto un bambino che dormiva all’aria aperta in quel clima gelido. Mi sono risvegliato in ospedale, dove mi hanno tenuto in osservazione per una settimana. Anche in quel caso mi sono ripreso, ma ero consapevole che avrei potuto morire in uno di quei momenti se qualcuno non mi avesse svegliato e non mi avesse portato in un posto caldo. La trappola dell’ipotermia è che non vuoi svegliarti, desideri solo metterti a dormire. Il motivo esatto non lo conosco, ma questi sono stati i miei primi incontri con il freddo. E malgrado il serio pericolo che ho corso in entrambe le occasioni, per me sono stati bei momenti. Mi sono sentito beato. Ti addormenti ed è finita lì. Grazie mille vita, addio. Va bene così. Niente preoccupazioni. Niente paure. Niente di niente. Solo un piacevole senso di beatitudine.
C’è stata un’altra occasione in cui da bambino – avrò avuto sei anni – stavo giocando con gli amici vicino al bosco. Uno di loro mi ha versato addosso una bottiglia di acqua sporca prelevata dal torrente della zona; in realtà era acqua di fogna piena di batteri, e io mi sono ammalato gravemente. L’amico che mi ha fatto quello scherzo non credo avesse cattive intenzioni. Stava solo facendo il monello, ma al tempo stesso mi stava imponendo il suo volere, dicendo di fatto: «Io ho otto anni e sono molto più grosso di te, e guarda cosa posso farti». Mi ricordo ancora quel senso di impotenza. Non potevo fare nulla, solo perché lui era molto più grande e grosso di me, così non ho avuto altra scelta che subire i suoi maltrattamenti e tornare a casa. E una volta che ci sono arrivato, ho passato le due notti successive a vomitare verde, finché i miei genitori, alla fine, mi hanno portato in ospedale. Si è scoperto che avevo contratto la sindrome di Weil (o leptospirosi), una malattia rara e molto contagiosa.3 L’infezione era così grave che sono rimasto ricoverato per tre settimane, ma, com’è ovvio, mi sono ripreso bene. Quei momenti hanno segnato i miei primi incontri con la neve e con le infezioni batteriche, due cose che avrebbero avuto un ruolo importante in una fase successiva della mia vita. In questo senso, suppongo che quegli episodi siano stati un’anticipazione di ciò che sarebbe accaduto in seguito.
È da quando sono piccolo che le storie mi affascinano. Ogni volta che qualcuno iniziava a raccontarne una, storie vere, su qualcosa là fuori, qualcosa di strano, di profondo, ne ero assolutamente intrigato e non mi perdevo neanche una parola. Riuscivano a trascinarmi nel vortice del racconto. Per il resto ero un bambino molto vivace. Mi piaceva giocare a Tarzan e adoravo passare il tempo all’aria aperta, nel bosco. Ci divertivamo a costruire capanne sugli alberi, dopodiché saltavamo da un albero all’altro appendendoci a qualche «liana» fatta di vecchie ruote di bicicletta. Legavamo le ruote fra loro, le fissavamo ai rami e poi passavamo da uno all’altro imitando il grido di Tarzan a squarciagola, perché eravamo primati. Recitavamo la parte delle scimmie, e ci piaceva un sacco. Eravamo Tarzan.
Poiché amavamo così tanto stare all’aperto, ogni volta che avevamo tempo io e mio fratello gemello ci avventuravamo nella natura, nel bosco. Stavamo fuori tutto il giorno a costruire capanne, ad arrampicarci sugli alberi, a scavare buche e ad arrostire patate sui piccoli falò che accendevamo. Sono ancora convinto che quelle patate siano il cibo migliore che io abbia mai provato. Bastava metterci un pizzico di sale ed erano così deliziose, così squisite. Rappresentavano la nostra libertà, e in nessun ristorante avrebbero avuto lo stesso sapore, perché le mangiavamo sentendoci in connessione con la natura. Stare all’aria aperta acuiva tutti i nostri sensi. Penso che oggi molti bambini non godano di questo piacere. Sono così presi dai computer, dai videogiochi e dalla realtà virtuale che perdono di vista quella vera: la natura, che stimola, sviluppa e affina i sensi. La loro disconnessione dall’ambiente naturale contribuisce, credo, alla depressione e ad altri problemi, il che è spiacevole.
Se è vero che all’età di dodici anni studiavo psicologia, induismo, buddismo e yoga, è altrettanto vero che, come molti dei miei coetanei, facevo il chierichetto. Ciò era ovviamente dovuto a mia madre, una cattolica devota. Era osservante, dunque obbligava noi figli ad andare a messa con lei ogni domenica. Ma pur provandoci con impegno, per rispetto nei suoi confronti, non riuscivo a sentire un legame con la Chiesa, anzi trovavo quell’esperienza piuttosto noiosa. Per questo motivo non mi andava mai di partecipare alle funzioni religiose, ma mia madre insisteva nel dire che avevamo l’obbligo morale di farlo. E non c’era modo di sfuggire a una madre del genere. Non alla mia. Ci teneva con una presa davvero stretta, di conseguenza io e i miei fratelli eravamo obbligati a sopportare quelle domeniche in chiesa durante le quali, dal mio punto di vista di ragazzino, non succedeva un granché. Io ero fatto per il sabato. Di sabato potevo andare nel bosco, sporcarmi, imitare il grido di Tarzan a pieni polmoni. Di sabato potevo correre nella foresta, costruire qualcosa dal nulla, inventare mille giochi. Potevo perdermi nella libertà che il gioco assicurava. Una foresta è come un luogo incantato per un bambino dotato di un’immaginazione creativa. Non ha niente a che vedere con la chiesa.
A tredici anni ho deciso di sposare il vegetarianesimo, una scelta radicale per un giovane – o per chiunque – che cresceva in un contesto dove tutti mangiavano carne e la consideravano una cosa assolutamente normale. Ma poco tempo prima avevo conosciuto un anziano signore che, a suo modo, si opponeva a quella cultura. Era quasi Natale quando mi ha detto: «Se Dio ha una coscienza, e se questo è il momento di coltivare la pace sulla Terra, come può essere anche il momento della più grande carneficina di massa?». Com’era possibile? Così ho iniziato a pensare agli animali che consumiamo e al modo in cui sono trattati dall’industria delle carni, e a un certo punto mi sono reso conto della crudeltà del sistema. Animali vivi venivano trasportati a bordo di camion e consegnati per essere uccisi. Non c’era nulla di naturale in quello, nessun elemento umano legato alla nostra natura di cacciatori e raccoglitori. Era solo carneficina e crudeltà. A che pro?
Più ci pensavo, più ero determinato a ridurre la quantità di carne che consumavo ogni giorno. Ho deciso di starci attento e di perseguire il mio obiettivo, e un paio di mesi più tardi ho smesso di mangiare carne. Dato che la cultura all’epoca era quella che era, sono stato subito etichettato come diverso – malgrado la mia famiglia l’avesse accettato senza problemi, prendendola come l’ennesima mia stranezza. Mi sono ritrovato così all’improvviso a essere una mosca bianca. Sembrava che tutti mi guardassero e mi puntassero il dito contro, dicendo: «Sei diverso, sei diverso». E lo ero.
Ho coltivato la mia indipendenza, ho costruito il mio piccolo mondo. Diventando vegetariano, esplorando discipline esoteriche e portando i capelli lunghi come un hippie, ho iniziato ad allontanarmi dalla cultura corrente. Gli sforzi che avevo fatto per sopprimere la mia natura mi avevano danneggiato, come capita a molte persone. Una volta accettata la mia diversità e dopo aver fatto pace con essa, ho cominciato ad allontanarmi ancora di più, soprattutto in relazione alla mia coscienza e al modo in cui percepivo il mondo che mi circondava. Ero un ragazzo sensibile. Ho imparato a crescere a modo mio.
Non sono mai stato uno studente particolarmente bravo. In storia, grammatica, matematica, scienze e tutto il resto, i miei voti erano appena nella media. Non erano bassi, sia chiaro, ma neppure eccezionali, ed ero convinto che non sarei riuscito ad accedere agli studi superiori, come avevano fatto i miei fratelli grazie agli ottimi risultati che avevano ottenuto. Per le famiglie numerose, a quell’epoca, andare bene a scuola era una questione di sopravvivenza. Altri mi hanno messo in testa che le persone che frequentano le scuole migliori vengono poi ammesse nei migliori atenei, e di conseguenza hanno una splendida carriera e ricevono tutte le attenzioni associate a un successo di quel tipo; così mi sono iscritto a un corso che si svolgeva nei weekend, con l’intenzione di dimostrare ciò di cui ero capace malgrado i miei limiti come studente. Parlando e partecipando attivamente alle discussioni, sono riuscito a superare l’esame finale in sei settimane e sono stato ammesso agli studi superiori. Ma non ci ho messo molto a capire che quel tipo di istruzione non faceva per me, e alla fine ho frequentato solo tre quarti di un anno scolastico prima di mollare.
Proprio così, ho abbandonato gli studi, e non me ne vergogno affatto. Ho abbandonato gli studi e oggi insegno a docenti e medici di tutto il mondo. Il lavoro che sto facendo sta aprendo nuove strade, e sta riscrivendo la letteratura scientifica, almeno in parte, proprio perché ho abbandonato gli studi. Il fatto di restare fuori dal giro e di non essere informato su ciò che succedeva nel mondo accademico mi ha portato a seguire semplicemente il flusso naturale delle cose, e a cercare di sopravvivere nella società contando solo sul mio intuito e sui miei istinti. La società nel suo complesso è davvero ossessionata dal raggiungimento di risultati tangibili e dall’idea che ciascuno debba diventare qualcosa che gli altri siano in grado di definire. Un avvocato, un banchiere o qualunque altra cosa. Ma quella non era la mia strada. I miei istinti e l’intuito mi stavano conducendo in un’altra direzione, e ciò era dovuto a mia madre. Non l’aveva soltanto invocato, me l’aveva impresso nel DNA, nella parte più profonda della mia anima e del mio spirito. Sono stato destinato fin dalla nascita a compiere una missione diversa. Ciò non mi rende speciale o unico, ma sono davvero convinto che la vita sia speciale, e che dovremmo considerarla tale.
2

La nascita dell’Uomo Ghiaccio

Sittard, la mia città natale, situata all’estremità meridionale dei Paesi Bassi, si trova a meno di un chilometro dalla Germania e a una dozzina di chilometri dal Belgio, nella punta più stretta del Paese. Sin da giovane sono stato dunque influenzato sia dalla cultura tedesca sia da quella belga, dalle popolazioni di lingua francese e tedesca, e poi naturalmente dalla nostra lingua e cultura olandese. Dai dodici ai diciassette anni consegnavo i giornali, l’«Algemeen Dagblad» e il «Telegraaf», nelle prime ore del mattino. Quel momento della giornata è molto particolare, non c’è nessuno in giro e tu sei in perfetta sintonia con la tua bicicletta e gli elementi della natura.
Sono sempre stato un tipo semplice, e sono destinato a rima...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il metodo del ghiaccio
  4. Prefazione. Un incontro improbabile
  5. Introduzione. Hai già tutto a portata di mano
  6. 1. Il missionario
  7. 2. La nascita dell’Uomo Ghiaccio
  8. 3. Una doccia fredda al giorno leva il medico di torno
  9. 4. Respira, bastardo!
  10. 5. Il potere della mente
  11. 6. Olaya
  12. 7. WHM per la salute
  13. 8. WHM per le prestazioni
  14. 9. La verità è dalla nostra parte
  15. 10. Un giorno nella vita dell’Uomo Ghiaccio
  16. 11. Liberarci dal fardello ancestrale
  17. 12. Oltre i cinque sensi
  18. 13. Nella luce interiore
  19. Epilogo. Come cambiare il mondo
  20. FAQ
  21. Glossario
  22. Note
  23. Letture di approfondimento
  24. Ringraziamenti
  25. Referenze iconografiche
  26. Copyright