I sopravvissuti
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I sopravvissuti

  1. 216 pagine
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I sopravvissuti

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Tre fratelli tornano al cottage in riva al lago dove, più di due decenni prima, una tragedia ha cambiato il corso delle loro vite per sempre. Sono venuti a spargere le ceneri della loro madre, il cui ultimo desiderio era di riposare da sola in riva al lago.

Viaggiano attraverso un paesaggio familiare, ma anche attraverso il tempo: eccoli bambini, gambe abbronzate e occhi affamati, abbandonati a se stessi in una famiglia dove gli adulti sono crollati; eccoli giovani uomini, estranei ma nello stesso tempo legati l'uno all'altro dalla storia che li definisce.

C'è Nils, il maggiore, che da ragazzo non vedeva l'ora di fuggire da quella casa soffocante, e Pierre, il più piccolo, vittima degli altri e sempre pronto a scatenarsi. E poi c'è Benjamin, il pacificatore, perennemente alla ricerca di una via d'uscita. Si pone tra i suoi fratelli come caposaldo della famiglia, in guardia per le discussioni che incombono tra di loro. Ma con il passare degli anni è cresciuto sempre più svincolato dalla realtà, come bloccato, mentre la vita intorno a lui continua a scorrere.

Benjamin guida l'auto lungo la vecchia strada sterrata, i suoi fratelli sono accanto a lui, tra di loro scorre una corrente pericolosa, si è arrivati alla resa dei conti.

Cos'è successo davvero quel giorno d'estate in cui tutto è andato in pezzi?

I sopravvissuti è la storia indimenticabile di una famiglia che si sgretola e la splendida cronaca di una mente che si disfa sulla scia di una tragedia.

Alex Schulman dà vita a un'opera letteraria sbalorditiva, calando alla fine il sipario con un colpo di scena sconvolgente. Al tempo stesso una storia di formazione e un confronto col passato, I sopravvissuti mescola l'acutezza emotiva di Edward St Aubyn e la verve letteraria di Ian McEwan con echi toccanti di un classico come Stand by Me.

Alex Schulman (1976) è nato a Skåne, nel Sud della Svezia, ed è cresciuto a Farsta, un sobborgo di Stoccolma. Giornalista, blogger, conduttore televisivo e radiofonico, ha prodotto diversi spettacoli teatrali. Dal 2012 gestisce il podcast settimanale più popolare della Svezia, Alex & Sigge, con diverse centinaia di migliaia di ascoltatori ogni puntata.

Ha scritto quattro opere autobiografiche di grande successo, una delle quali è stata nominata libro dell'anno in Svezia nel 2017. Con I sopravvissuti, il suo primo romanzo, Schulman ha debuttato sulla scena letteraria internazionale. Venduto in trentatré paesi e pubblicato con grande successo di critica in tutto il mondo, questo romanzo ha incoronato il suo autore come un'importante voce letteraria della scena globale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835715986
Prima parte

LA CASA DI CAMPAGNA

1

Ore 23.59

Una volante della polizia attraversa lentamente la boscaglia azzurra, percorrendo lo stretto sentiero sterrato che porta al giardino. Lì, solitaria sul promontorio, si trova la casa di campagna, nella notte di giugno che non diventa mai del tutto nera. È una costruzione di legno semplice, dalle proporzioni sballate, un po’ più alta di quanto dovrebbe essere. I profili bianchi sono sbiaditi, il legno rosso sul lato meridionale è bruciato dal sole. Le tegole sono coperte di vegetazione, il tetto come la pelle di un animale preistorico. Adesso non c’è vento e fa un po’ freddo, condensa in basso sui vetri. Un solitario bagliore di un giallo accecante da una finestra al piano superiore.
Più giù c’è il lago, limpido e fermo, circondato da betulle fino alla riva. E la casetta in cui i bambini facevano la sauna nelle sere estive con il padre, poi zampettavano in acqua sui sassi appuntiti, in fila indiana, allargando le braccia come crocifissi per mantenere l’equilibrio. «È bellissima!» gridava il papà dopo essersi tuffato e la sua voce risuonava sull’acqua, poi calava un silenzio che esisteva solo in quel posto così lontano da tutto il resto, un silenzio che a volte spaventava Benjamin, ma che altre volte gli faceva sentire che tutto era in ascolto.
Più in là lungo la riva si trova una rimessa per le barche; il legno è marcio e la costruzione pende ormai verso l’acqua. Salendo c’è il fienile, con milioni di buchi di termiti nelle travi e le tracce di settant’anni di escrementi di animali sul pavimento. Tra il fienile e la casa il praticello dove i bambini giocavano a calcio. Il terreno è in pendenza, chi gioca spalle al lago ha il campo in salita.
Questa è l’ambientazione, pochi piccoli edifici su una piana erbosa con l’acqua davanti e il bosco dietro. Un luogo inaccessibile, solitario adesso come tanti anni fa. Anche mettendosi sulla punta della lingua di terra non si scorgevano tracce di vita umana. Qualche rara volta sentivano passare una macchina sul sentiero dall’altro lato del lago, il rumore lontano di un motore a giri bassi; nelle afose giornate estive riuscivano a vedere la nube di polvere che poi si levava dal bosco. Ma non incontravano nessuno, erano soli in quel posto che non lasciavano mai e in cui non veniva nessuno. Una volta videro un cacciatore. I bambini stavano giocando nel bosco e all’improvviso eccolo lì. Un uomo vestito di verde con i capelli bianchi a venti metri di distanza, che scivolava silenzioso tra gli abeti. Superandoli guardò senza espressione i bambini portando l’indice alla bocca per poi proseguire tra gli alberi e svanire. Rimase sempre nell’ombra, come un misterioso meteorite che passava vicino attraversando la volta celeste senza colpire. I bambini non ne parlarono mai e a volte Benjamin si chiedeva se fosse successo davvero.
Sono passate due ore dal tramonto. La volante della polizia viaggia con cautela lungo lo sterrato. Il guidatore guarda inquieto davanti al cofano per vedere cosa lascia sotto di sé nella discesa, si china sul volante e alza lo sguardo, ma non riesce comunque a scorgere la cima delle chiome degli alberi. Gli abeti che si levano sopra la casa sono incredibili. Erano enormi già quando i bambini erano piccoli, figurarsi ora. Si stagliano a trenta, quaranta metri d’altezza. Il padre dei bambini era sempre orgoglioso della fertilità del luogo, come se fosse merito suo. Piantava germogli di ravanello all’inizio di giugno e dopo soltanto un paio di settimane portava i figli nell’orto per mostrargli la fila di puntini rossi che sbucavano dal suolo. Ma non ci si può fidare della fertilità intorno alla casa, qua e là il terreno è completamente morto. Il melo che il papà regalò alla mamma per il suo compleanno è ancora dove lui lo ha piantato, ma non cresce e non dà frutto. In certi punti la terra è priva di sassi, nera e pesante, in altre parti la montagna è vicina, proprio sotto l’erba. Quando il papà decise di montare un recinto per le galline, in alcune zone la barra di ferro penetrava nel terreno morbidamente e con un suono attutito nell’erba pesante di pioggia, in altre faceva rumore appena sotto terra e lui gridava, le mani vibravano per la resistenza della montagna.
Il poliziotto scende dalla macchina. I movimenti abitudinari mentre abbassa il volume dell’apparecchio sulla spalla che trasmette il caratteristico cinguettio. È un omone. Gli strumenti del mestiere rovinati e di un nero sbiadito che pendono dalla vita lo fanno apparire in qualche modo ben piantato; il loro peso lo tira in basso verso la crosta terrestre.
I lampeggianti sopra gli alti abeti.
C’è qualcosa in quella luce, le montagne tendenti al blu sopra il lago e i lampeggianti della volante, che chiede di essere messo su una tela.
L’agente fa qualche passo verso la casa e si ferma. Di colpo sembra perplesso e osserva la scena. I tre uomini sono seduti uno accanto all’altro sui gradini di pietra che conducono alla porta d’ingresso. Piangono, si abbracciano. Indossano giacca e cravatta. Di fianco a loro c’è un’urna funeraria. L’agente cerca il contatto visivo con uno dei tre, che si alza. Gli altri due restano seduti, ancora abbracciati. Sono fradici e malmessi, il poliziotto capisce perché è stata chiamata un’ambulanza.
«Mi chiamo Benjamin. Ho dato io l’allarme.»
Il poliziotto cerca un taccuino nelle tasche. Non sa che è quasi impossibile appuntare questa storia su un pezzo di carta, lui arriva alla fine di un racconto lungo diversi decenni, quello di tre fratelli che una volta, molto tempo fa, furono strappati via da quel posto e ora ci sono dovuti tornare; non sa che qui tutto è collegato, nulla sta per conto suo o può essere spiegato a sé. Il peso di ciò che sta accadendo è grande, ma ovviamente la maggior parte è già successa. Quello che si svolge sui gradini, il pianto dei tre fratelli, le facce gonfie e il sangue sono soltanto l’ultimo anello nell’acqua, il più esterno, il più lontano dal punto di impatto.
2

La gara di nuoto

Ogni sera Benjamin si piazzava in riva con il retino e il secchio, proprio sopra il punto inclinato della spiaggia dove stavano la mamma e il papà. Seguivano il sole che scendeva, spostavano tavolo e sedie di qualche metro appena finivano all’ombra e continuavano così, muovendosi lentamente nell’imbrunire. Sotto il tavolo c’era Molly, il cane, che guardava svanire il suo tetto stupita, per poi accodarsi alla carovana nel viaggio verso la riva. I genitori di Benjamin erano arrivati alla stazione finale e fissavano il sole abbassarsi lentamente sopra le chiome dall’altro lato del lago. Stavano seduti uno accanto all’altra, spalla contro spalla, perché entrambi volevano osservare l’acqua. Le sedie di plastica bianca conficcate nell’erba alta, un tavolino di legno sbilenco sul quale i bicchieri di birra pieni di ditate scintillavano al sole della sera. Un tagliere con un fondino di salame, mortadella e ravanelli. Una borsa frigo sull’erba in mezzo a loro per tenere in fresco la vodka. Ogni volta che il papà si versava un goccio diceva un breve “cin” e sollevava il bicchiere in direzione del nulla per poi bere. Quando il papà tagliava i salumi il tavolo tremava, la birra schizzava, una rapida irritazione passava sul volto della mamma che con una smorfia sollevava il bicchiere finché non aveva finito. Il papà non si accorgeva minimamente di queste cose, Benjamin invece sì. Notava ogni sfumatura, si teneva sempre un po’ distante in modo da starsene in pace, ma abbastanza vicino da poter seguire le conversazioni, controllare l’atmosfera e gli umori. Sentiva i loro soliti borbottii, le posate contro i piatti, il rumore di uno dei due che si accendeva una sigaretta, un flusso di suoni che indicava che tra loro era tutto a posto.
Benjamin camminava lungo la riva con il suo retino. Osservava l’acqua scura, ogni tanto gli capitava un riflesso del sole e gli occhi gli facevano male come se si fossero rotti. Stava in equilibrio sui sassi più grandi, esaminava il fondale a caccia di girini, quei meravigliosi animaletti, neri e apatici, piccole virgole nuotatrici. Ne raccoglieva qualcuno con il retino e li imprigionava nel secchio rosso. Era una tradizione. Collezionava girini con i genitori sullo sfondo, e al calare del sole, quando si alzavano per tornare in casa, li ributtava nel lago e risaliva con loro. E la sera dopo ricominciava. Una volta dimenticò i girini nel secchio. Quando se ne accorse il pomeriggio seguente erano tutti morti, sterminati dal calore del sole. Nel terrore che il papà lo scoprisse, Benjamin versò il secchio in riva, e anche se sapeva che il papà era in casa a riposare sentiva il suo sguardo bruciargli sulla nuca.
«Mamma!»
Benjamin alzò gli occhi verso la casa e vide il fratellino scendere lungo il pendio. Riusciva a cogliere la sua irrequietezza fin da lì. Quello non era un posto per persone impazienti. In particolare quell’estate: quando erano arrivati, una settimana prima, i genitori avevano deciso che non avrebbero guardato la televisione per tutta la vacanza. La cosa era stata comunicata solennemente ai figli e soprattutto Pierre aveva preso male il fatto che il papà avesse staccato il cavo del televisore e avesse piazzato dimostrativamente la spina sopra l’apparecchio, come una pubblica esecuzione in cui il corpo doveva rimanere appeso come avvertimento, in modo che tutta la famiglia ricordasse ciò che succedeva alla tecnologia che minacciava la decisione di trascorrere le estati all’aperto.
Pierre aveva i fumetti, che la sera leggeva lentamente e mormorando ad alta voce tra sé sdraiato con la pancia sull’erba. Alla fine però gli passava la voglia e scendeva sempre dai genitori, e Benjamin sapeva che la mamma e il papà potevano reagire in modo diverso; a volte era possibile accoccolarsi in braccio alla mamma e lei ti accarezzava piano la schiena. Altre volte manifestava irritazione e il momento andava perso.
«Non ho niente da fare» disse una volta Pierre.
«Non vai a raccogliere girini con Benjamin?» chiese la mamma.
«No» rispose lui. Si mise in piedi dietro la sedia della mamma e socchiuse gli occhi verso il sole basso.
«E Nils? Non potete trovare qualcosa da fare?»
«Tipo?»
Silenzio. La mamma e il papà se ne stavano lì, praticamente senza energie, sprofondati nelle loro sedie di plastica, appesantiti dall’alcol. Guardavano il lago. Era come se riflettessero sulle cose da dire, sulle proposte di attività, ma non uscivano le parole.
«Cin» borbottò il papà vuotando un bicchierino, poi fece una smorfia e batté le mani tre volte. «Bene» esclamò. «Voglio vedervi tutti e tre in costume qui tra due minuti!»
Benjamin sollevò lo sguardo, si allontanò di qualche passo dalla riva. Lasciò cadere il retino nell’erba.
«Ragazzi!» gridò il papà. «A raccolta!»
Nils ascoltava la musica con il walkman sull’amaca appesa tra due betulle accanto alla casa. Mentre Benjamin tendeva l’orecchio verso i suoni della famiglia, Nils li spegneva. Benjamin si avvicinava costantemente ai genitori, Nils cercava di staccarsi da loro. Sceglieva un’altra stanza, non partecipava. Quando i fratelli andavano a letto la sera, a volte sentivano le liti dei genitori attraverso la parete di compensato. Benjamin registrava ogni singola parola, controllava i danni prodotti dalla conversazione. Certe volte si gridavano cattiverie incomprensibili, dicevano cose così pesanti da sembrare irreparabili. Benjamin rimaneva a letto per ore a riprodurre la conversazione nella sua testa. Nils invece pareva veramente imperturbato. «Che manicomio» mormorava quando la discussione si accendeva, poi si girava dall’altra parte e si addormentava. Se ne fregava: di giorno stava per i fatti suoi senza farsi sentire, a parte gli improvvisi scatti d’ira che divampavano e svanivano. «Fanculo!» si sentiva a volte provenire dall’amaca e Nils ondeggiava sbracciandosi isterico per scacciare una vespa che si era avvicinata. «Maledette pazz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I sopravvissuti
  4. Prima parte. LA CASA DI CAMPAGNA
  5. Seconda parte. DALL’ALTRA PARTE DELLO STERRATO
  6. Ringraziamenti
  7. Copyright