Stranieri (Il Giallo Mondadori)
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Stranieri (Il Giallo Mondadori)

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Stranieri (Il Giallo Mondadori)

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Nessuno vorrebbe vivere a Mineral Springs, sperduta cittadina del Nevada, a meno di non essere interessati a cercare l'oro. Miniere, due piccoli casinò, qualche motel. C'è poco altro in questo agglomerato di sogni e disperazione in mezzo al deserto. Solo un motivo molto serio può aver trascinato Bill fin qui dalla sua agenzia investigativa di San Francisco. Un motivo come la telefonata che ha ricevuto da una sua ex dopo vent'anni di silenzio. Un appello straziante a intervenire per salvare il figlio, diciannovenne problematico, accusato ingiustamente di avere stuprato tre donne. Come dire di no? Bill è a un passo dal ritiro, scivola sempre più verso la vecchiaia, ma la sua professione consiste nell'aiutare la gente in difficoltà. Non è solo un lavoro, è una ragione di vita. Il giovane Cody e sua madre hanno davvero bisogno di lui, tanto più in una comunità chiusa e retriva che li ha già condannati e sembra intenzionata a fargliela pagare senza aspettare le lungaggini della giustizia. Prima di partire, Bill ha promesso di stare lontano dai guai. Una promessa che non gli sarà facile mantenere, straniero in terra straniera.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835715245

1

Mineral Springs, Nevada.
Una piccola città all’uscita dell’autostrada 80, nel cuore del distretto delle miniere d’oro a nord dello Stato, sorta nel deserto e prosperata all’improvviso grazie al prezzo dell’oro (che al momento si aggirava sui milleduecentocinquanta dollari all’oncia) e a una dozzina di miniere grandi e piccole, ancora in funzione, che producevano milioni di once all’anno. Capitale della contea di Bedrock, con una popolazione di quattromilatrecento anime nell’ultimo censimento, Mineral Springs era una cittadina praticamente isolata, dato che il posto più vicino, Battle Mountain, distava più di trenta miglia. La maggior parte dei residenti, quasi tutti colletti blu, lavorava nell’industria mineraria, nell’agricoltura o nell’allevamento del bestiame. Lì sorgevano due piccoli casinò, un bordello munito di licenza e un gruppetto di motel sulla strada principale che si estendeva per sei isolati, mentre nelle vie laterali c’erano dei piccoli negozi. Un grande centro commerciale era in costruzione vicino all’autostrada, ma per il resto c’era ben poco da raccomandare a Mineral Springs, a meno che non si fosse interessati a cercare l’oro, a correre sui fuoristrada, a esplorare le rovine di vecchie città fantasma, o a fare qualche puntata nell’entroterra per giocare d’azzardo.
Quello era in pratica tutto ciò che sapevo su Mineral Springs, grazie alle ricerche fatte da Tamara su Internet, quando arrivai alle sei e mezzo di un freddo ma sereno martedì sera verso la fine dell’autunno. Il viaggio di quattrocentocinquanta miglia da San Francisco aveva richiesto più di otto ore, con un paio di soste per riposare e fare benzina lungo il tragitto, e avevo gli occhi annebbiati, mi sentivo tutto intirizzito ed ero maledettamente stanco. Troppo vecchio per fare viaggi così lunghi. Quello che adesso il mio corpo desiderava più di tutto era qualcosa da mettere sotto i denti e poi otto o nove ore di sonno ininterrotto. Ma ci sarebbe voluto ancora un po’ prima che potessi mettermi a letto. Magari anche parecchio.
Guidai per Main Street, oltre le scintillanti insegne al neon dei casinò, alla ricerca del Goldtown Motel, il migliore di Mineral Springs, secondo le ricerche di Tamara. C’erano vari segnali di stop agli incroci, ma nessun semaforo. Nemmeno parchimetri, almeno per quello che vedevo. Nonostante fosse ancora presto, quasi tutte le vetrine nelle strade laterali erano già buie. I casinò, i motel, tre o quattro bar e ristoranti, il bordello, una stazione di servizio… non sembrava ci fosse nient’altro di aperto dietro gli ammiccamenti e gli scintillii delle luci al neon e di quelle al sodio.
Come sarebbe stato vivere in un posto del genere, così isolato? Forse non male per qualcuno, ma per una donna come Cheryl…
Scacciai quel pensiero dalla testa. Adesso che ero lì, sentii crescere dentro di me una sottile tensione che non aveva nulla a che fare con le lunghe ore passate al volante, ma non intendevo affatto incrementarla con vuote speculazioni.
Il Goldtown si trovava nel quarto isolato a est, a breve distanza dal bordello con tanto di licenza statale chiamato Mama Liz. Costruito su due piani, a forma di L, sorgeva intorno a un parcheggio asfaltato che riceveva ombra da una piccola oasi di alberi; un’enorme insegna al neon sul davanti diffondeva il suo nome nel cielo notturno. Per il resto, non c’era nulla che lo distinguesse da un qualsiasi motel di una piccola città americana.
La lobby era piccola e stretta. Una donna di mezz’età con i capelli color carota cercò la prenotazione che Tamara aveva fatto a mio nome e, dopo un po’, disse con voce suadente che mi aveva registrato. — Le ho dato la numero 9, una delle nostre stanze più belle. Si trova al pianterreno sul retro. — Bene. Ma la descrizione era accurata solo se si considerava bella una stanza ammobiliata in modo alquanto spartano con un paio di crepe ai muri, un tappeto piuttosto sfilacciato e una poltrona con un taglio sul sedile riparato alla bell’e meglio con del nastro adesivo marrone.
Era pulita, comunque, ma con una profusione di disinfettante che l’aria sembrava strozzarsi da sola a quell’odore. Nel bagno mi risciacquai il viso con l’acqua fredda e mi strofinai per bene gli occhi per liberarli da quel velo di stanchezza che li opprimeva. La vasca da bagno con doccia sembrava invitante, ma non era ancora il momento per cedere al suo richiamo. Il letto a due piazze era confortevole solo per chi apprezzava dormire su un materasso duro come un muro di mattoni. Non sentii nemmeno uno scricchiolio quando mi ci stesi sopra.
Mi aspettavo che non ci sarebbe stato campo quando aprii il cellulare, ma la vita è piena di piccole sorprese. Digitai il numero di casa e, come se fosse stata vicina al telefono, Kerry rispose al secondo squillo.
— Sono a Mineral Springs — dissi.
— Bene. Stavo cominciando a preoccuparmi. — Un’altra sorpresa elettronica: la sua voce era nitida e chiara. — Com’è andato il viaggio?
— Be’, è stato lungo e tedioso, ma senza imprevisti.
— Quando si viaggia, l’assenza di imprevisti è sempre la miglior cosa. — Pausa. — L’hai vista?
— No. Sono appena entrato nel motel. Volevo prima sapere come stavi. Tutto a posto?
— Certo. — Un’altra pausa. — Spero…
— Cosa speri?
— Che tu possa fare qualcosa per aiutarla. Che non abbia affrontato un lungo viaggio per niente.
— Me lo auguro anch’io. Ma ora che sono qui… Non so, però non sono certo di avere preso la decisione giusta.
— Perché no?
— Non perché debba rivedere Cheryl, non intendevo questo. Pensavo solo alla sua richiesta di aiuto, alla situazione, alla natura dei crimini… Una città mineraria in mezzo al nulla, un posto pieno di stranieri… Qui mi sento un pesce fuor d’acqua.
— Hai lavorato in ambienti rurali anche prima — osservò Kerry. — E poi conosci gli esseri umani e conosci anche il tuo mestiere.
— Ma la cosa di cui dovrò occuparmi qui è un po’ diversa da quelle con cui ho a che fare solitamente.
— Stai cercando di convincerti che non è il caso di andare avanti? Ora, dopo aver guidato per quattrocentocinquanta miglia?
— No, è troppo tardi per rinunciare.
— Be’, però mi sembra che tu non sia tanto convinto.
— Non si tratta di questo — dissi, il che non era del tutto vero. — Sono solo stanco, tutto qui.
Kerry sapeva quando era il momento di lasciar cadere un argomento. — Richiamami appena puoi — disse. — E non dimenticare la promessa.
La promessa, una promessa solenne che le avevo fatto dopo che a settembre l’avevo di nuovo scampata per un pelo, era che avrei fatto tutto il possibile per tenermi lontano dai guai. — Non preoccuparti — dissi. — Non me ne dimenticherò.
Ci salutammo e la telefonata finì lì. Volevo dirle che l’amavo, ma non sarebbe suonato giusto date le circostanze; e poi capitava di rado che ci scambiassimo tenerezze al telefono. Lei sapeva che l’amavo, per cui non c’era bisogno che la rassicurassi costantemente, così come non c’era bisogno che lo facesse lei. Non solo: Kerry sapeva che non avrebbe dovuto preoccuparsi, ora o sempre, della mia fedeltà nei suoi confronti.
Aprii la valigia, mi spogliai, feci una doccia calda per togliermi di dosso la stanchezza e indossai una camicia e dei pantaloni puliti. Poi uscii dal bagno e mi stesi di nuovo su quel letto duro come la pietra.
“So che non ho il diritto di chiedere il tuo aiuto dopo quello che è successo vent’anni fa, ma non ho nessuno a cui possa rivolgermi e qui non conosco nessun altro. Tu sei la mia sola speranza.”
La voce di Cheryl al telefono dell’agenzia. Una voce carica d’ansia che non avevo riconosciuto fino a quando lei non aveva detto il suo nome. Cos’avevo provato a quel punto? Stupore, poi una certa incredulità e confusione che mi ero lasciato alle spalle solo quando lei mi aveva spiegato il perché della sua chiamata dopo due decenni di silenzio. Ma quello era tutto. Nessuna fitta di nostalgia, nessuna accelerazione dei battiti cardiaci, nessuna reazione emotiva di alcun genere. Era passato troppo tempo. Quello che c’era stato tra noi apparteneva a una parte della mia vita che adesso mi sembrava così remota da darmi la sensazione che a viverla fosse stato qualcun altro.
“Non te lo chiedo per me, ma per mio figlio Cody. Ha solo diciannove anni ed è tutto quello che mi è rimasto al mondo. Non è colpevole dei reati di cui lo accusano, ma non gli crede nessuno tranne me. So che sembra un po’ la fede cieca di una madre verso il figlio, ma ti giuro che è innocente.”
Solo diciannove anni e tutto ciò che le era rimasto al mondo. Doveva aver dato alla luce il ragazzo uno o due anni dopo la tragedia che aveva posto fine alla nostra relazione. Cheryl Rosmond, aveva detto al telefono usando il suo nome da nubile. Sposata e divorziata? Una madre single? Non mi aveva fornito nessuna spiegazione e io non gliel’avevo chiesta.
“Non so più cosa fare. Sono disperata. Ho messo insieme tutto il coraggio che mi era rimasto per fare questa telefonata. Non ho mai supplicato per avere qualcosa in vita mia, ma lo faccio adesso. Ti prego, ti prego, aiuta mio figlio.”
Era quel genere di appello straziante che, in una forma o nell’altra, avevo già sentito almeno una dozzina di volte, e la mia risposta era stata sempre la stessa: sì. Saggia o stupida, giusta o sbagliata che fosse, la mia risposta non era mai variata nel tempo. Mentirei se dicessi che il mio vecchio rapporto con Cheryl non aveva avuto nessuna influenza nella mia decisione, ma non era stato quello il fattore decisivo. La mia professione, per andare al sodo, consiste nell’aiutare la gente in difficoltà. E per me non è solo un lavoro; persino adesso che mi sono quasi ritirato e scivolo sempre più verso la vecchiaia, fare il detective è una ragione di vita. Ma il fattore decisivo non era stato neppure quello.
La ragione per cui avevo accettato mi era stata fornita da Kerry.
Non avevo risposto subito di sì a Cheryl. Avevo preso un po’ di tempo dicendole che dovevo vedere se sarei riuscito a organizzare l’agenda dei miei impegni e che l’avrei chiamata il più presto possibile per darle una risposta definitiva. Avevo controllato con Tamara per essere certo che l’agenzia potesse fare a meno di me per un po’, e in quel senso non c’era nessun problema, anche perché ormai lavoravo solo part-time. Poi ero passato da Kerry alla Bates & Carpenter. Per fortuna, lei non era particolarmente impegnata quando ero arrivato, e così, nella riservatezza del suo ufficio, le avevo raccontato della telefonata di Cheryl, della sua richiesta di aiuto e del dilemma in cui mi trovavo.
Non era tanto che avessi bisogno del suo permesso per aiutare una vecchia amante; la nostra relazione non funziona così. E lei sapeva già della mia breve storia con Cheryl, perché gliene avevo parlato. No, il motivo della discussione era dovuto al fatto che io volevo accertarmi di una cosa, capire cioè se lasciarla sola per un certo periodo di tempo, mentre ero impegnato in un’indagine incerta, e di carattere personale, in un altro Stato, a lei andasse bene.
Erano passati quattro mesi da quella mostruosa esperienza sulle colline pedemontane della Sierra, un’ordalia persino più terrorizzante del suo cancro al seno. Il recupero di Kerry era stato difficile e il suo stato emotivo era ancora delicato, se non proprio fragile. Solo di recente era stata in grado di uscire dal nostro condominio da sola e di riprendere a lavorare in qualità di vicepresidente della ditta direttamente dal suo ufficio, piuttosto che dal computer o dal telefono di casa. Mi aveva rassicurato dicendomi che era tutto a posto, come del resto indicava il suo comportamento. Ne eravamo convinti anche Emily e io, ma Emily è solo un’ingenua quattordicenne e io non mi fidavo completamente delle mie sensazioni, perché la prova tremenda che Kerry aveva dovuto affrontare aveva fatto soffrire molto anche me.
Avevamo parlato della faccenda, valutando i pro e i contro della mia partenza per un periodo di tempo imprecisato, in cui sarei stato costretto a ripercorrere una parte del mio passato e a intraprendere un lavoro che si prospettava difficile e, alla resa dei conti, anche probabilmente infruttuoso. I problemi del figlio di Cheryl, tra l’altro, erano di quello sgradevole genere che desta emozioni volubili in una comunità. Sembrava che ci fosse qualcosa di abbastanza solido, benché di carattere indiziario, contro di lui, e la mia licenza di investigatore rilasciata dallo Stato della California in Nevada non era valida. Valeva la pena di occuparmi di quel caso? Kerry era intervenuta prima che dessi una risposta alla mia stessa domanda dicendo che avrei dovuto tentare e che l’unica ragione per cui mi mostravo esitante era il mio timore per le sue condizioni di salute. Lei mi conosce molto bene. E così, alla fine di venti minuti di discussione, sostenuto e rassicurato in modo convincente, ero tornato in ufficio per chiamare Cheryl e dirle quello che lei sperava di sentire.
E adesso ero arrivato a Mineral Springs, uno straniero in terra straniera, non meno deciso ad assolvere il mio incarico nonostante i dubbi che ancora nutrivo. Già, ma allora cosa diavolo facevo seduto lì a indugiare, invece di mettermi subito al lavoro? Non ero riluttante a trovarmi di nuovo faccia a faccia con Cheryl… o forse sì, almeno un pochino. Incontrarla in quelle circostanze, dopo tanti anni, e dover passare necessariamente del tempo insieme a lei, sarebbe stato imbarazzante per entrambi.
Cheryl Rosmond. Una delle tre donne di cui, in tutta onestà, potevo dire di essere stato innamorato nella mia vita. Alla prima, Erica Coates, avevo chiesto di sposarmi, ma ero stato respinto perché lei odiava il mio lavoro, e così la nostra relazione era morta sul nascere. Cheryl era stata la seconda, e il nostro tempo insieme si era rivelato breve, carico di emozioni contrastanti e alla fine doloroso per entrambi. La desideravo tantissimo allora, ed ero stato molto colpito dalla fine, brusca ma comprensibile, della nostra storia. Avrebbe funzionato se il rapporto che c’era tra noi non fosse stato distrutto dalle circostanze? Forse sì, ma ormai non mi interessava più saperlo, perché avevo Kerry, il mio terzo, ultimo e unico vero amore, e lei per me era più importante di qualsiasi altra donna al mondo. Il rapporto che avevo intrattenuto con Cheryl era morto ancor prima di svilupparsi seriamente, il risultato di una tragedia che nessuno di noi avrebbe potuto prevedere o impedire, anche se avessimo capito cosa si stava profilando.
L’avevo conosciuta durante un’indagine sulla scomparsa ventennale di un maresciallo dell’esercito. Mi sarebbe difficile definire la nostra reciproca attrazione amore a prima vista, no, ma comunque si trattava di un legame abbastanza forte per suggellare un patto che si sarebbe potuto evolvere naturalmente e tranquillamente in un’unione coniugale basata su un forte sentimento comune. Invece il destino o la perversione divina, o comunque vogliate definire questa cosa, aveva stabilito che quell’evoluzione non sarebbe mai dovuta avvenire, e così noi due eravamo rimasti insieme solo per poco tempo. Il caso di cui mi occupavo mi aveva portato lontano da San Francisco, lungo un sentiero tortuoso che mi aveva condotto in Oregon, nella Germania Ovest e infine nuovamente in California, in una piccola città della parte settentrionale dello Stato dove tutto si era risolto, all’improvviso e in maniera molto amara, con la rivelazione che l’amato fratello di Cheryl, Doug, era un assassino a sangue freddo e col suo successivo suicidio.
Cosa si può dire a una donna a cui si tiene particolarmente quando succede una cosa del genere? Nulla che abbia un minimo di senso. E com’è possibile colmare l’abisso che a quel punto non può fare a meno di aprirsi? Non si può. Non avevo modo di riportare il fratello in vita, e non avevo modo di impedire gli atti criminali che ormai erano già stati commessi. Non potevo però nemmeno ignorare il fatto che lui aveva indirizzato il suo lungo e delirante biglietto di addio proprio a me, e che nell’ultima riga mi supplicava di prendermi cura della sorella. Ma la scintilla scoppiata tra Cheryl e me si era spenta con Doug Rosmond. E anche se fossimo stati capaci di riaccenderla, prima o poi il fantasma del fratello avrebbe portato alla rovina la nostra relazione, come sapevamo bene entrambi.
Però io provai egualmente. Quando si ha a cuore qualcuno, lo si fa. Tentai di rivederla, di passare da lei, ma tutto inutilmente. La morte ignominiosa del fratello, unita all’ovvio risalto che ebbe sui vari media, aveva reso impossibile a Cheryl risiedere a San Francisco, perciò lei aveva rinunciato al suo lavoro, alla ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. STRANIERI
  4. PERSONAGGI PRINCIPALI
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. BILL PRONZINI
  32. LA STORIA DEL PREMIO TEDESCHI I VINCITORI 2016/2018. di Vincenzo Vizzini
  33. Copyright