Il martedì del duello era stata una giornata concitata, densa di eventi. Il mercoledì fu una giornata grigia e molto tranquilla, trascorsa semplicemente in attesa. La pioggia cadeva placida ma in gran quantità, tuttavia non era più la pioggia fredda dell’inverno: aleggiava una vaga promessa di primavera… Harley si dedicò al lavoro immerso in questo vuoto di attesa, dedicandosi doverosamente a Virgilio:
Eppur del lago, mira,
Tace appianata a te l’onda, e del vento
Lo strepito cessò.
Accompagnò Joseph Williams alla caffetteria, ma Joseph non era di buon umore. Il tempo umido lo aveva afflitto coi reumatismi.
«Ho quasi finito le Bucoliche di Virgilio» gli assicurò Harley allegramente. «Me ne manca solo una.»
«Molto rumore per nulla» osservò Joseph in tono acido. «Passa meno tempo a ficcare il naso negli affari altrui, Harley, e più sulla tua vocazione. Ne beneficerebbero le tue tasche e anche il tuo cervello.»
«La mia vocazione!» esclamò Harley. «La mia vocazione sono gli scritti per il grande pubblico, diamine! Ciò che m’interessa è ciò che interessa a tutti. Non è peccato se un uomo deve faticare per seguire la sua vocazione.»
«Simili ingerenze possono farti finire col cranio spaccato» brontolò Joseph.
«Questo sì» ammise Harley. «In questi giorno ho la curiosa sensazione d’essere osservato e sorvegliato ovunque vada. Eppure non vedo nessuno. Mi mette a disagio.»
«Consideralo l’occhio di Dio» suggerì Williams.
«L’occhio di Dio è vigile, non c’è dubbio» concordò Harley «ma questo è più fastidioso.»
Joseph lanciò un’occhiata inquieta dietro la panca, come se si aspettasse di trovare un osservatore ignoto che prendeva appunti. Poi si strinse nelle spalle. «Tu corri incontro al pericolo, Harley, e fai correre anche me. Guardati dalle Idi di Marzo.»
«Le Idi di Marzo arriveranno sicuramente» disse Harley «ma poi potremo sperare in aprile.»
«Sì» concordò Joseph seccamente. «Visto che arriva col Primo di Aprile. Una festività che alcuni di noi dovrebbero rispettare rigorosamente, bada bene.»
Più tardi in quella stessa giornata, Harley passò a casa di lady Teale per informarsi sulle condizioni di salute di lord Cuckfield. Relegato con freddezza all’ingresso della servitù, là fu liquidato con una risposta formale che avrebbero potuto dargli anche al portone principale: lord Cuckfield riposava e stava relativamente bene, date le circostanze. Nessuna breve apparizione o parola da parte di Tizzie. Lasciò Portland Place meditabondo, e tornò a casa camminando per strade che erano praticamente pozzanghere, scoprendo nuovi buchi nelle sue scarpe.
L’alba di giovedì iniziò con una luce pallida e un giornale nuovo. Harley ne comprò una copia non appena fu disponibile, avendo già appurato che conteneva ciò che voleva vedere. A casa strappò da una pagina una stretta striscia di caratteri e la chiuse in una lettera ripiegata. Si avviò verso Portland Place, ma dopo aver riflettuto un po’ si fermò e chiese a un ragazzino (dietro pagamento di due pence) di consegnare la missiva alla porta di lady Teale. Malgrado si fosse congratulato con se stesso per la propria prudenza, l’inquietante sensazione d’essere osservato non lo lasciava mai. La provava persino nella sua soffitta, mentre era doverosamente seduto al suo tavolino sgangherato a lavorare alla traduzione di Virgilio.
Una sottile striscia di sole entrò poco a poco nella sua stanza buia all’ultimo piano, portando un ricordo di primavera, di fiori ed erba morbida. Tuttavia, questo momentaneo barlume di qualcosa che ispirava felicità non riuscì a diradare il senso di attesa. Come se stesse vivendo la sua vita in un’anticamera. Fu quasi un sollievo quando l’attesa finì.
I primi suoni furono abbastanza innocui, passi che salivano le scale incespicando. Così familiari che quando Harley si voltò si aspettava di vedere Mus, il suo aiutante. E invece non era Mus bensì Chizz. Un Chizz dal viso più risoluto, più cattivo di prima. Gli occhi, come trucioli di carbone, non tradivano nulla. Harley ricordò che il ragazzo gli aveva assegnato il ruolo di assassino del suo amico (in realtà padre) Ned Manolesta. Evidentemente non glielo avrebbe perdonato.
«Un messaggio. È per voi» disse in tono scortese. «Hanno mandato me per darvelo.» Allungò sgarbatamente una mano che stringeva un biglietto.
«“Loro” chi?» chiese Harley in tono gentile.
«Lasciate stare. Lo saprete presto» rispose Chizz ritraendo la mano.
Harley era del tutto impreparato al contenuto del breve messaggio scritto su un pezzo di carta sudicia e scadente; sembrava scritto in fretta, le lettere un po’ ondeggianti e con diversi errori d’ortografia.
Il Dog and Manger
Signor Harley,
aiutatemi perchè mi hano preso e minaciano di farmi molto male se non venite. La mia vita e reputazzione sono nelle vostre mani.
Venite da solo ma venite.
Bess
Ci volle un momento per digerire la notizia. «Oh, no, qualsiasi cosa ma non questo!» esclamò. Alzò gli occhi, e con sorpresa vide un sogghigno sul viso di Chizz.
«È vero, ragazzo?»
«Dovreste vederla. Certo che è vero. Non è troppo spaventata. È fortunata che non abbiamo preso anche la sua vecchia pettegola cieca. Scommetto che avrebbe strillato, quella.»
«Tu sai dove abita, ragazzo?»
«Cercate di fingere di non saperlo? Io sono uno che sa… tutto. La sua piccola lavanderia a Salisbury Court ormai la conosco bene quanto voi, signore. La donna, però, non la conosco bene quanto voi…»
Fuori di sé, Harley diede a Chizz un bel pugno sulla mascella. «Silenzio, ragazzo! Non parlar male di chi è meglio di te. Oh, Chizz, Chizz…! Questo non servirà a Ned.»
«State zitto» ribatté astiosamente il ragazzo. «Non continuate a dire il nome di Ned invano.»
«Non dirò altro» concordò Harley. «Ma verrò. Certo. Però, ho bisogno di andare a prendere un paio di scarpe, un leggero inevitabile ritardo. Non posso andare a piedi fino al Dog conciato così» e mostrò i piedi avvolti in calze leggere e piene di buchi. «Dopo che sarò passato dal ciabattino potrò venire. Ma tu… tu devi prendere subito questo biglietto!» Scrisse velocemente, nascondendo ciò che scriveva col braccio e il gomito sinistro, mentre Chizz bighellonava inquieto per la stanza.
«Porta questo, per amor di Dio! E più veloce che puoi.» Harley ficcò il pezzo di carta (ripiegato e con l’indirizzo scritto sopra) in mano allo sgarbato messaggero. «Contiene informazioni preziose che chi ti ha ingaggiato deve sapere e comunicare subito. Se ritardi, a Gander non piacerà, te lo garantisco. Vale quanto oro nuovo di zecca per lui. Perciò non perdere tempo, mio povero Chizz, ma porta questo al Dog, e io sarò lì entro un’ora! Un’ora e mezza, insomma. Il tempo che mi serve per fare la strada dopo essere passato a prendere le scarpe.»
«Voi e le vostre scarpe» lo derise il ragazzo, prendendo tuttavia il messaggio. «Meglio che vi sbrigate. Strizzate i vostri preziosi calli. O sarà peggio per chi sapete voi.»
Chizz si dileguò scendendo rumorosamente le scale.
Harley scrisse in fretta l’indirizzo su altre due lettere; le aveva preparate insieme a quella per Gander, e per questo le aveva nascoste a Chizz. Il ragazzo non sapeva leggere. Così aveva detto qualcuno. La sua speranza si fondava su questo. Se solo Chizz avesse creduto che la lettera a Gander fosse così importante da doverla consegnare subito! Se il ragazzo avesse saputo leggere e le avesse dato un’occhiata, avrebbe capito che era solo un messaggio senza importanza. Harley pregò di averlo convinto del contrario. Tirò fuori un paio di scarpe decrepite da dietro una tenda. Erano queste ad aver avuto bisogno di una riparazione il mercoledì. Aggiustate malamente, sembravano molto più strette di prima. La scomodità di tenerle ai piedi aveva indotto Harley a stare seduto nella sua stanza con le sole calze, una circostanza che benedisse perché gli aveva fornito una giustificazione per il ritardo. Cioè, sempre che il suo ex amico Chizz se ne fosse veramente andato.
Harley si precipitò giù in strada dalla sua soffitta. Come un animale che lasci la sua tana, annusò l’aria e si guardò intorno. Nessun segno di Chizz. Cosa ancora più rassicurante, la sensazione d’essere osservato era sparita, almeno temporaneamente. Adesso doveva occuparsi della fastidiosa questione di tentare di consegnare il resto della sua corrispondenza, il che avrebbe richiesto molto tempo… Ma la fortuna finalmente lo favorì. Aveva percorso solo pochi passi quando il giovane Onesimus gli si accostò, camminando tutto allegro. Forse Harley si era sbagliato pensando di non essere osservato.
«Sei sincero, ragazzo?» chiese Harley fissando Mus dritto in faccia. Lui indietreggiò e sbatté le palpebre, ma non distolse lo sguardo.
«Quasi sempre» rispose. «Molte volte sì.»
«E se ti chiedo di consegnare due lettere per me e tu accetti, poi lo farai per davvero?»
«S-ì» rispose Mus. «Se mi pagate» aggiunse.
«Non ho denaro da darti adesso» spiegò Harley. «Se avessi avuto mezzo scellino, avrei già pagato un messaggero. Ma prometto, e anch’io sono sincero, che avrai i tuoi soldi domani. Queste lettere, però, devono essere consegnate all’istante. Da questo dipendono delle vite.»
«Delle vite?» ripeté Mus. «Come per un’impiccagione o una grazia?»
«Qualcosa di molto simile» disse Harley. «È già una questione di vita o di morte. Prendi queste due lettere, figliolo, ti scongiuro, perché rispondi all’Onnipotente, e non soltanto a me. E poi, per carità, vai dai domestici di Portland Place e informati della salute di lord Cuckfield.»
«Lo farò» disse Mus laconicamente. «Datemele. Ma non mi state dicendo niente» aggiunse offeso. «Stanno succedendo molte cose.»
«È meglio che tu non lo sappia. È meglio ed è più sicuro. Il tuo povero sciocco fratello si trova in una brutta situazione perché pensa di sapere più di quello che sa.»
«Chizz? Ah, lui.» Mus sbuffò esasperato. «Chizz sa che piove se qualcuno glielo dice.» Prese le lettere.
«Va’, sta’ attento e fai in fretta» lo esortò Harley. «Va’ prima a Bow Street, e poi a casa del signor Williams, tra le stalle di Bond Street e la Red Hart Inn.»
Harley si mise in marcia per il Dog and Manger. Aveva guadagnato tempo non dovendo consegnare le lettere di persona. Tempo prezioso, se di Mus ci si poteva fidare. Un po’ di tempo in più poteva essere di grande aiuto, sempre che non fosse troppo tardi. Il pensiero di Bess in pericolo gli stringeva il cuore e gli intasava il cervello. Con uno sforzo mise da parte queste idee. Cercò di riflettere con lucidità e astuzia, si sforzò di ragionare. Per le sue facoltà mentali il male ai piedi era praticamente un tormento, tanto quanto l’ansia nel suo cuore. Anzi, peggio. Dopo mezzo miglio gli dolevano tutte le dita. Dopo il mezzo miglio successivo gli si formarono delle vesciche, e gli parve che le estremità emettessero gridolini di dolore ogniqualvolta le poggiava in terra. Il ciabattino gli aveva fatto un torto davvero enorme.
Harley seguì il tragitto familiare. Poi, però, quando si trovò vicino al Dog and Manger, cambiò direzione. Abbandonando il percorso più diretto, procedette facendo un giro largo, dirigendosi verso l’argine del fiume. Dopo aver raggiunto la riva del Tamigi a una discreta distanza dal Dog, alzò lo sguardo con circospezione verso l’edificio, quindi avanzò lentamente seguendo la sponda del fiume. La marea si era abbassata, ma stava rapidamente risalendo. La riva era una distesa di fango. Harley avanzò cautamente sopra le tracce di un ratto e le impronte palmate di zampe di uccelli, superando lische di pesce e il cadavere di un gabbiano che altri gabbiani si stavano contendendo. Uno straccio sudicio e i resti di un giornale in decomposizione rivelarono tracce di esseri umani su quest’argine molle. Harley guadagnò il piccolo pontile oltre i gradini che conducevano al Dog, e guardò in acqua la barca che galleggiava all’ancora lontano dalla corta banchina fatiscente. La Euphrosyne, cioè la Rosy Knee. La fissò pensieroso, ma fu distratto dalle sue riflessioni quando sentì – al di sopra dello sciabordio dell’acqua e dei richiami dei gabbiani – un rumore ritmico. Gli giunse una sequenza di colpi ovattati, che poi sfumò e quindi si udì ancora.
Harley percorse in fretta il pontile e tirò la fune di ormeggio del vascello. Gli costò un enorme sforzo farlo arrivare proprio dove voleva, perché la marea lo trascinava alla deriva, ma alla fine riuscì a salire a bordo. Forzò le cerniere che chiudevano lo sportello del boccaporto, lo spalancò, e si lasciò cadere nell’angusta e soffocante stiva. Qui la Euphrosyne custodiva le sue scorte e il carico, quando ne trasportava uno. E a volte dei passeggeri, quando ne aveva. Oggi ce n’era uno.
Una donna giaceva supina su una panca. Le sue gambe erano legate strettamente tra loro e assicurate a essa da una robusta fune. Aveva appena lo spazio sufficiente a battere i piedi contro la paratia. Le braccia erano quasi invisibili, essendo state infilate a forza sotto la panca ed evidentemente legate laggiù, a giudicare dalla presenza di un’altra fune. Harley capì che era una donna perché le sue sottane erano fissate attorno alle gambe dalle spire dei legacci, ma non vide alcun dettaglio del volto. Era grottescamente coperto da un rozzo sacco, di quelli che spesso si usavano per contenere le granaglie per i cavalli. Cosa più grottesca di tutte, la base di questo cappuccio – sotto il quale avrebbe dovuto trovarsi il collo di questa persona – era serrata da una spessa fune annodata con un nodo scorsoio. Dal cappio, il lungo pezzo di fune si allungava verso l’alto, fino a una carrucola fissata a un’asse nel soffitto della stiva. Se la prigioniera avesse fatto un qualsiasi sforzo per liberarsi...