Loch Down Abbey
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Loch Down Abbey

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Loch Down Abbey

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Scozia, anni Trenta. Una misteriosa epidemia si sta diffondendo in tutto il paese, ma il nobile casato degli Inverkillen, residente a Loch Down Abbey, è molto più preoccupato dell'esaurimento delle scorte di carta igienica e di chi baderà ai bambini, ora che la Tata ha purtroppo lasciato questa vita, causando non pochi disagi. Quando lord Inverkillen viene trovato morto, dopo aver condotto un affare disastroso per vendere la sua distilleria di whisky (pessimo, tra l'altro), la polizia dichiara che si è trattato di un incidente, ma la signora MacBain, la governante, non ne è convinta. Dal momento che nessuno può entrare o uscire dalla tenuta a causa dell'epidemia, i residenti sono gli unici sospettati. Tuttavia la morte del lord è solo l'inizio dei problemi: la situazione finanziaria è disperata, la servitù si ammala, lasciando gli Inverkillen a se stessi. Orrore! (Doversi rifare i letti.) Mentre i nobili sono impegnati a non fare assolutamente NIENTE, la signora MacBain scopre invece una serie sconcertante di segreti, bugie e tradimenti.

Loch Down Abbey è una giocosa parodia della tradizione britannica di ritrarre nobiltà e domestici, con matrimoni da pianificare, pasti elaborati da servire (indossando la mascherina, ovviamente), titoli nobiliari per cui litigare, figli illegittimi, morti su cui indagare e molto altro ancora.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835715429

LUGLIO

Era martedì mattina e la signora MacBain si accingeva a incontrare come ogni settimana lady Georgina, con più apprensione del solito. Il personale aveva accumulato ore e ore di lavoro arretrato. L’ultima delle cameriere era stata sopraffatta dalla malattia una settimana prima e, con una squadra di appena sei elementi e nessuno nelle cucine a disposizione della signora Burnside, era impossibile proseguire ai soliti ritmi senza sostanziali cambiamenti.
La sera prima, durante la cena, Ollie aveva confessato a Hudson di avere sospeso la pulizia serale delle scarpe. Da qualche settimana, a dire il vero. Hudson si era infervorato.
“Ma, signor Hudson, nessuno esce mai di casa. Le scarpe non si sporcano nemmeno.”
Non aveva torto e la questione aveva fatto riflettere la signora MacBain. C’erano moltissimi compiti che non serviva espletare tutti i giorni. Desiderava poter chiudere parte delle stanze inutilizzate o perlomeno concordare le sale da usare, pulire e in cui accendere i camini.
«Quanti sono i camini accesi al momento?» chiese lady Georgina, quando l’argomento venne fuori.
«Quarantadue, camere comprese. Due volte al giorno.»
Lady Georgina inarcò le sopracciglia. «Un numero importante. Cosa proponete?»
«Direi di accendere il camino solo nelle stanze che la famiglia tende a usare più spesso: il salotto blu, la sala da pranzo, la biblioteca, questa stanza, la sala delle mappe e la sala da biliardo.»
«Ci sono centoventicinque stanze in questa casa, e noi ne usiamo solo sei?»
«Se non contiamo le camere da letto, sì.»
«E il giardino d’inverno?»
«Viene usato unicamente in autunno.»
«E il fumoir?»
«Alla vigilia di Natale. E credo che siano anni che non vedo nessuno nel salottino verde.»
Lady Georgina faticava persino a ricordare quale fosse il salottino verde.
«Avete ragione. Accendiamo solo quelli delle stanze che avete citato. E delle camere da letto, ovviamente.»
Ci fu una pausa.
«Non avrete intenzione di privarci del riscaldamento in camera da letto, voglio sperare» commentò lady Georgina, di nuovo indignata.
«No, certo che no. Non mi permetterei mai di suggerire niente del genere. Ma nelle camere da letto ci sono sedici camini, da preparare e accendere due volte al giorno. Se i signori potessero accenderli da soli almeno al mattino...» Si accorse che lady Georgina era pronta a obiettare quando Fergus bussò alla porta ed entrò senza aspettare il permesso.
La nonna lo accolse con una smorfia indignata. «La signora MacBain propone altri tagli. Siediti» ringhiò.
Fergus restò in piedi, con un’espressione divertita dipinta in faccia. «Tagli? Di che parli?»
«Si aspetta che io mi accenda il fuoco da sola al mattino.»
«Non mi sembra una richiesta irragionevole.» Fergus, al contrario, pareva bendisposto. «Quanto ci vorrà mai ad accendere un fiammifero? Per me non ci sono problemi.»
«Dopodiché dovrò prepararmi anche il vassoio della colazione?» strillò lady Georgina. «Immagino che poi ci chiederete di rifarci i letti.»
La signora MacBain lasciò aleggiare un silenzio allusivo e lady Georgina spalancò la bocca incredula.
«Non mi rifarò mai il letto da sola! Direi che è il minimo che un membro dell’aristocrazia possa esigere. Adesso stiamo superando il limite e io non ne posso più.» La situazione stava sfuggendo di mano e Fergus decise di intervenire prima che fosse troppo tardi.
«Nonna, c’è Andrew Lawlis e vorrebbe parlarci.» Allungò la mano per aiutarla ad alzarsi. «Andiamo?»
Lady Georgina uscì dalla stanza a grandi falcate, borbottando a proposito di oltraggi e offese. Fergus guardò la signora MacBain con un sorriso rassicurante e le disse: «Di questa faccenda parleremo più tardi noi due».
La governante fece cenno di sì senza dire niente e sospirò stancamente.
Lawlis e Imogen erano tornati a Loch Down Abbey, mascherine e guanti alla mano, lieti, per una volta, di portare buone notizie. Hudson li accompagnò in biblioteca, dove con estrema sorpresa trovò Cecil a trafficare alla scrivania. «Perdonatemi, signore, non sapevo che la sala fosse occupata.» Si voltò e fece cenno a Lawlis e Imogen di andare verso l’armeria.
«No, no! Entrate, stavo solo cercando.... dell’inchiostro, ecco. L’ho finito. Accomodatevi, prego» e indicò con un cenno il divano.
Hudson squadrò la scrivania, poi si rivolse a Cecil. «Vi farò mandare dell’inchiostro in camera, signore» e con un gesto elegante indicò a sua volta le porte che davano sull’armeria.
«Come? Ah. Sì. Grazie.» Cecil si affrettò a uscire; a Imogen non sfuggì lo sguardo gongolante del maggiordomo mentre chiudeva le porte.
Aspettarono per qualche minuto l’arrivo di Fergus e lady Georgina. L’avvocato seduto sul divano controllava le sue carte, mentre Imogen si avvicinò alle finestre. Al villaggio aveva sentito parlare delle rose di casa Inverkillen e voleva darvi un’occhiata. Quando Fergus entrò, la vide che osservava il giardino con aria turbata.
«Signorina MacLeod? Che succ...?»
Fergus non riuscì a completare la domanda, perché Imogen aveva iniziato a battere il pugno sulla finestra urlando: «Attenzione! Attenzione! Bambino con l’arco! Bambino con l’arco!». Fergus e Lawlis corsero alla finestra e subito si precipitarono fuori. Lady Georgina si affacciò per vedere una fila di cherubini di bronzo, tutti con la mela in testa e i bambini poco distanti, che si contendevano, presumibilmente, il primo tiro. Ollie li raggiunse giusto in tempo.
«Bene, meno male. Dobbiamo proprio trovare una nuova tata, quei bambini sono delle vere pesti. Ci accomodiamo?» Lady Georgina prese posto sul divano, come se non fosse successo nulla. Imogen era incredula. Se fossero stati i suoi nipoti...
Quando gli uomini rientrarono e tutto fu sistemato, Lawlis annunciò, con aria cerimoniosa, che avevano finalmente ricevuto un’offerta per l’acquisto di Loch Down Abbey. Decisamente ottima, da non rifiutare. Lady Georgina avrebbe avuto gli introiti dalle vendite del salmone, tutti i debiti della famiglia sarebbero stati saldati, e gli acquirenti avrebbero comprato delle case al villaggio per i membri del clan Ogilvy-Sinclair che avessero deciso di restare a Loch Down. C’era solo una richiesta peculiare da soddisfare, ma Lawlis non era certo si potesse onorare. Aveva perciò spedito una lettera interlocutoria al College of Arms.
«Il College of Arms?» chiese Fergus. «Non capisco. Cosa vi hanno chiesto?»
«Vogliono inquartare il vostro blasone.»
«Chi lo vuole?» chiese lady Georgina, con un tono molto simile a un ringhio.
«Credo che conosciate lord Eltenbrae. Ha detto di essere un vecchio amico di famiglia» rispose compiaciuto Lawlis.
«Oh, santo cielo, no. Assolutamente no. Non se ne parla» disse lady Georgina. Si voltarono tutti a guardarla. «Rifiutate.»
Fergus non avrebbe voluto, ma si obbligò a domandare: «Perché no, nonna?».
«Quella famiglia cerca di mettere le grinfie su Loch Down da generazioni! L’attuale lord ha provato in tutti i modi a soffiarci la tenuta negli anni e mai alla luce del sole.» Si spostò sul divano lisciandosi la gonna. Per lei la discussione finiva lì.
Di nuovo, Fergus si costrinse a chiedere: «Di cosa stai parlando, nonna?».
Lei gli lanciò un’occhiataccia e dubitarono che gli avrebbe risposto, e invece si dispose a spiegare.
«La prima volta, in combutta con altri, ha provato a vincere la tenuta al gioco, sfidando a carte Cecil. Per fortuna Hamish fu informato del piano e lo fece saltare giusto in tempo.» La cosa non li scandalizzò. «Poi c’è stata la volta che ha rapito Elspeth.»
«Che cosa?!» Quella notizia bomba li lasciò di stucco e lei provò un brivido di soddisfazione.
«Si era spinto fin quasi a Gretna Green con lei quando li abbiamo raggiunti. Elspeth aveva appena quattordici anni all’epoca. Avremmo dovuto chiamare la polizia, ma non volevamo mettere a rischio la reputazione di Elspeth. E non mi fate dire nulla di suo padre!» Si agitò sul divano, piena di indignazione. «Abbiamo passato anni a sventare le trame e i complotti di quell’uomo. Sapete, una volta ha liberato una mandria di cinghiali selvatici nella tenuta e ha avuto l’ardire di dare la colpa a noi, dicendo addirittura che ci rifiutavamo di risolvere il problema. Il che non era ovviamente vero. Sappiamo solo noi quanto filo da torcere ci ha dato cacciarli tutti prima che qualcuno si facesse male.» Guardò Imogen spiegandole con fare saccente: «Sapete, i cinghiali selvatici sono molto pericolosi».
Fergus scosse la testa e cercò Lawlis con lo sguardo, che si limitò a stringersi nelle spalle e versarsi dell’altro tè.
«Oh, fu uno scandalo colossale» continuò lady Georgina. «I giornali ne parlarono per mesi. Lord Eltenbrae richiese persino che tuo nonno fosse spogliato del titolo di conte. Per fortuna l’uomo che aveva fornito gli animali si rivolse a Loch Down Abbey. Lord Eltenbrae non aveva saldato il conto e lui pensò di venire da noi per farsi pagare, così venne tutto a galla. No» sospirò «quella famiglia non metterà mai le grinfie su questa tenuta!»
Imogen sapeva bene che estirpare un risentimento tanto radicato sarebbe stato pressoché impossibile. Si chiese dove fosse cominciato tutto.
Fergus si avvicinò al tavolo e si versò rumorosamente una tazza di tè, cercando di capire come costruire la sua argomentazione.
«Perché sono così fissati con la tenuta?» chiese Imogen.
Lady Georgina sbuffò e poi sospirò. «Credo che la dodicesima, anzi, la tredicesima contessa abbia snobbato la proposta di matrimonio di lord Eltenbrae, preferendogli questa famiglia, e lui non l’abbia presa bene. Da allora siamo costretti a sopportare il loro rancore.»
Fergus si voltò, stremato. «Nonna, tra meno di sei settimane saremo senza una casa, in piena rovina. Potremmo non ricevere un’altra offerta che contempli il tuo mantenimento.»
«Non voglio dipendere da quella famiglia!» esclamò risoluta. «Preferisco perdere la casa all’asta.»
«Ma potrebbero benissimo partecipare all’asta e la vincerebbero per molto meno» commentò Lawlis a bassa voce. «Perlomeno in questo modo i debiti verranno saldati tutti e la famiglia potrà ricominciare da zero.» Lady Georgina si avvicinò al bovindo che dava sul roseto, volgendo loro le spalle, e Fergus capì che era una causa persa. Almeno per il momento. Accompagnò l’avvocato e la sua segretaria al portone e promise di provare a convincerla.
Faide tra clan, pensò Imogen. Chi avrebbe detto che esistessero ancora?
Fergus non aveva la minima idea della mole di lavoro del personale. Né si era accorto di quanti domestici avessero perso e si vergognava molto per non averlo capito. Le cose dovevano cambiare, su quello non ci pioveva.
Lui e la signora MacBain parlarono a lungo della routine quotidiana della casa. Fergus voleva capire a fondo in che cosa consistesse, perciò avevano redatto un elenco di tutte le incombenze che potevano essere eliminate o modificate o che i membri della famiglia potevano svolgere personalmente. Quest’ultima ipotesi metteva a disagio la signora MacBain, ma almeno sarebbe stato Fergus a prendersi l’onere di discuterne con loro. Lei era più che lieta di farsi scudo di lui in quell’occasione.
Fergus decise di affrontare l’argomento durante il tè del pomeriggio. Com’era prevedibile, non fu una passeggiata. Erano riusciti a far passare la riduzione dell’assortimento di torte e, per quanto dura da digerire per le signore, avevano infine accettato la rinuncia ai vassoi della colazione con qualcosa che assomigliava al garbo. Ma svegliarsi in una stanza fredda e accendersi da soli il fuoco al mattino era l’ultima goccia e il vaso traboccò.
«Perché diavolo tutti questi cambiamenti? Prima i vassoi della colazione e adesso questa assurdità. È folle. Dovevate prima parlarne con me, lo sapete.»
«Ci sono rimasti solo cinque o sei domestici, Constance, e fanno il lavoro di quaranta» rispose Fergus stancamente. «Non è sostenibile. Qualcosa deve cambiare.»
«Non capisco perché ce ne siano così pochi.»
Lui sospirò. «Sono gravemente ammalati, Constance, e da quanto mi ha detto la signora MacBain siamo fortunati che nessuno sia deceduto.» La sala fu attraversata da un’ondata di stizza e disagio. «La guarigione è lenta e difficile, e laddove possibile vengono mandati a terminare la convalescenza a casa. Quando saranno di nuovo in forze, torneranno.»
Constance sorseggiò con livore il suo tè. «Be’... allora dovremmo assumere altro personale per rimpiazzarli, no? La faccenda s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LOCH DOWN ABBEY
  4. Introduzione
  5. Elenco dei personaggi
  6. APRILE
  7. MAGGIO
  8. GIUGNO
  9. LUGLIO
  10. AGOSTO
  11. DICEMBRE
  12. Epilogo
  13. Ringraziamenti
  14. Copyright