I cento cavalieri
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I cento cavalieri

  1. 280 pagine
  2. Italian
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I cento cavalieri

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Informazioni sul libro

L'incontro tra Annibale e Scipione nove anni dopo Zama. Il tragico e commovente epilogo del delicato amore che legò l'anziano Michelangelo alla poetessa Vittoria Colonna. Una misteriosa spada d'oro protagonista di un giallo tra archeologia e politica internazionale. Un vasaio dell'antica Atene inconsapevole artefice della morte del grande Alcibiade... Valerio Massimo Manfredi si cimenta stavolta con la forma del racconto, regalandoci dodici gioielli della narrativa breve.
Ambientati nell'antica Grecia o tra le due guerre, nelle corti rinascimentali o in una centrale nucleare all'alba del 2000, queste storie rivelano tutta la straordinaria capacità di Manfredi di rendere la Storia sempre attuale. E di rivelarci come, si tratti di famosi poeti o di rudi contadini, di operai o di celebri condottieri, il cuore dell'uomo resti immutato attraverso i secoli, con le sue passioni, le sue miserie e le sue grandezze.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788852041679

La strada

Superior stabat lupus.
FEDRO

Prologo

13 giugno 1993
Il sogno era sul punto di realizzarsi: ci provavano da anni a ritrovarsi tutti e cinque, una volta inseparabili, protagonisti, in un tempo ormai lontano, di tante avventure di viaggio. Professionisti, ora, di troppi impegni e troppe mondanità per potersi permettere di andare alla ricerca del tempo perduto, delle fantasie giovanili, degli itinerari della gioventù. Ci avevano sempre provato, è vero, ma mai sul serio, giusto per continuare a sentirsi giovani dopo gli “anta”: «Dobbiamo rifarlo: quest’anno è il decimo anniversario, quest’anno è il quindicesimo...»
Il punto di riferimento era un loro viaggio ormai mitico, da studenti, sull’ancora più mitica Route 66, la mother road, la «regina viarum» come la chiamava Saverio Antonelli, direttore di un importante quotidiano, cultore di letteratura latina («non lascio passare un giorno senza leggermi qualche pagina di Seneca o di Orazio o di Cicerone, in lingua, ovviamente») e al tempo stesso fanatico di Kerouac e di Steinbeck. Veniva da un piccolo centro della provincia: era dunque un provinciale, come gli amici, e come loro aveva conquistato una posizione assai prestigiosa e di grande potere, invidiabile sotto tutti gli aspetti. Soleva dire che in un mondo decadente come quello della civiltà occidentale il successo e il potere sono per i provinciali: «Solo loro hanno la voglia e le palle per scalare i vertici, per affermarsi, per dimostrare il loro valore». Ma il complesso gli era rimasto: l’idea che solo in America valeva la pena vivere, che là era il centro del mondo, là nascevano i nuovi miti e le nuove mode, la nuova musica e la nuova letteratura, il nuovo tutto. Pur sapendo in cuor suo che in America non avrebbe mai conseguito i successi che aveva conseguito in Italia.
Era stato lui a organizzare, nel 1973, il Grand Tour: partenza da Chicago con destinazione Los Angeles sulla incomparabile 66. Lui, intellettuale conclamato, con Ginsberg e Bulgakov, Spinoza e Popper nello zaino, si divertiva a stupire con le sue continue citazioni gli amici che avevano invece una preparazione più tecnica o scientifica: Mark Wayne, studente di economia politica all’UCLA (era stato lui a suggerire la 66 come itinerario), Pablo Montegos di Oviedo, laureando in ingegneria meccanica a Modena, detto “Zorro”, Oscar Molteni, appena laureato in chimica industriale, e Davide Ravarino, già reporter free lance, piuttosto affermato. Totale: tre italiani, un americano e uno spagnolo, ma anche i due stranieri si potevano dire in qualche modo italianizzati; Wayne aveva prima frequentato a Bologna e Zorro, il cui sogno era di diventare ingegnere capo della Ferrari, parlava il dialetto modenese quasi senza inflessioni, a parte l’incapacità di pronunciare la “s” davanti a consonante senza farla precedere da una “e”. Li univa la passione per i motori e per le belle donne, un’ovvietà quasi banale in Emilia-Romagna, terra di motori e di donne procaci.
Ora Pablo Montegos era ingegnere capo alla Ferrari. Oscar Molteni era amministratore delegato di una controllata della Montedison, Mark Wayne era general manager della IBM in Europa ed era molto spesso a Milano. Di Antonelli già si è detto: Davide Ravarino era art director di una prestigiosa rivista di moda e protagonista di alcuni dei più clamorosi reportage degli ultimi dieci anni, ultimamente un po’ a corto di idee, secondo i maligni.
Li aveva rimessi insieme Internet per la facilità di scambiarsi messaggi e di non scambiarseli, che al telefono può sembrare invadenza in un caso, disinteresse o scortesia nell’altro. E la nostalgia. Di che cosa, esattamente, non avrebbero saputo dire: in generale della gioventù, delle scomodità che allora erano stati in grado di affrontare come il dormire per terra e in sacco a pelo, comportamenti che ora li avrebbero fiaccati. Avevano dunque preso la decisione fatale. Si partiva il 15 giugno e si arrivava quando si arrivava: niente limitazioni, niente programmi precostituiti, a parte l’itinerario. Qualora fosse accaduto qualche imprevisto, qualora la dea dell’Avventura si fosse di nuovo ricordata di loro, si doveva essere pronti a tutto. O quasi.
Mark era già divorziato e aveva una giovane fidanzata di ventisei anni, aspirante modella di nome Jessica. Oscar era single per una sua intrinseca e inveterata paura di compromettersi e aveva solo una vecchia madre, afflitta da una grave malattia ereditaria, ricoverata in un costosissimo valetudinario sulle colline veronesi. Saverio aveva una moglie milanese di ottima famiglia, di parecchio più giovane di lui, un po’ snob ma ancora piuttosto piacente, di nome Camilla, ma non avevano figli. Zorro era pure un single impenitente ma per scelta di libertinaggio e a ogni gran premio rimorchiava una qualche bellona del circo della F1. Gli altri, anche se non lo dicevano, lo invidiavano a morte ma gli volevano bene ugualmente. Non era possibile non voler bene a Zorro.
Davide Ravarino era divorziato con un paio di figli già all’università, ma aveva un’amica fissa, disegnatrice di moda a Milano.
Ognuno dei cinque aveva tentato di tutto per fare coincidere i propri giorni liberi con quelli degli altri, e questo fu il primo ostacolo che diede loro la consapevolezza di quanto tempo fosse passato dalla prima esperienza. Allora era bastato dire “andiamo” e ci si era messi in viaggio. Alla fine si era deciso che Oscar sarebbe partito subito per raggiungere Mark che lo aspettava all’Hilton di Chicago in Michigan Avenue. Gli altri tre, Zorro, Saverio e Davide, sarebbero arrivati dopo un paio di giorni.
Ormai erano pronti quando Davide Ravarino si prese una brutta infezione di ritorno da un paese tropicale e dovette rinunciare.
«Ragazzi, mi suiciderei per il dispiacere,» disse quando dovette comunicare agli amici la sua defezione «ma rischio di essere una palla al piede, senza contare che potrei attaccarvi qualche accidente. Queste infezioni sono impestate.»
«Ti aspettiamo» aveva risposto Saverio. «Dài.»
«Purtroppo i medici mi dicono che è una storia lunga: cure di antibiotici e cazzi vari. Sarà per un’altra volta. Pensatemi quando sarete sulla gloriosa 66. Porca vacca, mi fate rabbia, mi fate.»
«Ormai Oscar e Mark sono già a Chicago, non abbiamo scelta» disse Zorro. «Ti porteremo a casa un souvenir della Sixty Six.»

Il primo giorno

Oscar e Mark ci rimasero malissimo quando ne videro arrivare due invece di tre, ma si rassegnarono alla forza di causa maggiore. Avevano noleggiato un van e si presentarono con in mano due hamburger grondanti di grasso.
«Dobbiamo calarci nell’atmosfera» disse Oscar tenendo nell’altra mano una lattina di Seven up. Gli altri lo guardarono stupiti: Oscar era un fanatico dello slow food, un assaggiatore esigentissimo di vini rari e preziosi, un estimatore della cucina tradizionale.
“Potenza della suggestione” pensò Saverio. E desiderò in cuor suo un panino al prosciutto crudo, con melanzane, maionese fatta in casa, cuori di palma e funghi porcini, una ricettina svelta svelta del bar Nuvola Rossa a Scandiano. I bagagli erano già stati ritirati, e salirono tutti a bordo: Zorro al volante e al suo fianco Oscar con alla mano quello che lui chiamava “Il Vangelo”, ossia una guida appena pubblicata da Feltrinelli della 66 e una mappa dettagliata dell’itinerario tratta da un vecchio numero di «National Geographic».
«Partiti!» esultò Saverio, e distribuì a tutti una manciata di costosissime noci di macadamia, mentre Zorro, sfidando le leggi locali, apriva il piccolo frigo da viaggio estraendone una bottiglia di Krug per il brindisi.
«Ragazzi, non ci posso credere» rincalzò Oscar, che indossava per l’occasione una tenuta tipo American graffiti con pantaloni anni Settanta e T-shirt con una scritta hippy. Mark infilò nello stereo un cd di Bob Dylan: «Eh?» ammiccò. «Non male come inizio.»
Nell’euforia che contagiava tutti, Zorro sbagliò subito strada sottoponendo la compagnia a un defatigante detour nel traffico assurdo delle vicinanze aeroportuali, poi, finalmente, riuscì a imboccare “la mitica”.
«E misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto»
declamò enfatico Saverio citando Dante.
«Guarda! Guarda là» indicò Zorro puntando il dito verso una piazzola per gli autobus. «Lì è dove prendemmo su Mark, appena sceso da un greyhound!»
«È vero,» rispose Mark «avevate quel cesso di Pontiac usata, ma non potevamo permetterci niente di meglio e dovetti fare buon viso a cattivo gioco.»
«Non lamentarti,» intervenne Oscar «c’era di peggio in giro. E anche tu eri conciato niente male: sembravi lo strofinaccio di una cucina cinese.»
Nessuno notò una Buick grigia che si immetteva nella Interstate in quel momento, una delle tante auto che confluivano dal traffico locale e che si piazzò dietro di loro a una buona distanza ma senza perdere mai il contatto. C’era un uomo al volante, sulla cinquantina e con i capelli brizzolati, che si accese una sigaretta, una slim al mentolo. Sul sedile accanto a lui era appoggiata una borsa nera e sul cruscotto c’era la foto di una scena d’amore da Uccelli di rovo.
Il van continuò a veleggiare sulle sessanta miglia orarie fino alla prima tappa: Joliet. Con una visita d’obbligo alla prigione, “il joint”, ormai luogo di culto per la location della prima scena di Blues Brothers. Oscar e Mark vollero farsi scattare una polaroid accanto a due manichini che rappresentavano Jake ed Elwood in atteggiamento di ballo scatenato.
«Questi non c’erano allora» commentò Saverio. «S’era detto che si ripercorreva lo stesso itinerario culturale.»
«Balle» ribatté Mark. «I Blues Brothers sono i Blues Brothers. Ti ricordi quando Elwood viene a prendere Jake con la macchina usata della polizia?» Si misero a recitare la scena.
«Where is the Bluesmobile?»
«I traded it.»
«You traded the Bluesmobile for this?»
«No, for a microphone.»
E si misero a ridere come deficienti aggrappati alle statue di plastica di Jake ed Elwood.
«Io comincio a carburare» disse Oscar. «A quest’ora avrei già fatto quattro ore di ufficio, ricevuto undici telefonate, no, sedici...»
«Dato due colpi alla segretaria!» interloquì Zorro.
«S’era detto che non si parlava di fica» ammonì Saverio.
«Sì, e come si fa?» ribatté Zorro. «Io sono già in crisi d’astinenza.»
«No, basta! Se si comincia diventa un incubo e non si parla d’altro: quella volta che io e quella volta che tu... E io ce l’ho più lungo e lui ce l’ha più corto; credetemi, diventa un tormentone insopportabile, regressione all’adolescenza di quattro rincoglioniti di mezza età. Sursum corda, eleviamo gli spiriti.»
«Io credevo che significasse “su di corda”, contrario di “giù di corda”» ridacchiò Zorro. «Ehi, chiamiamo Ravarino, così lo facciamo schiattare dalla bile?»
«Dài, dài, chiamalo» incitarono gli altri.
Zorro formò il numero. «Pronto? Sono l’ingegner Montegos, vorrei sapere dove mandare la corona funebre per la salma del signor Ravarino...»
«Rotti in culo, figli di puttana!» gracchiò la voce di Ravarino. «Ve ne approfittate perché sono immobilizzato a letto, ma quando vi vedo giuro che vi piscio nelle scarpe.»
«Divertiti!» gridò Zorro facendogli ascoltare le pernacchie di tutti gli altri compagni di viaggio.
«Allora, prossima tappa il Cozy Dog?» propose quando ebbe chiuso la comunicazione.
«Speriamo di averci ancora lo stomaco» commentò Oscar. «Prima mandiamo avanti Mark che è indigeno: se sopravvive, proviamo anche noi.»
Il Cozy Dog era anco...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I cento cavalieri
  4. I cento cavalieri
  5. Hotel Bruni
  6. Ortensia
  7. L’ora di notte
  8. La statua di neve
  9. Il vasaio di Acarne
  10. Turno di notte
  11. La spada d’oro
  12. La strada
  13. L’epigrafista
  14. Il kriss di Emilio
  15. De imperio
  16. Il tesoro del Suphan
  17. Copyright