Il futuro della vita
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Il futuro della vita

Come arriveremo a controllare l'evoluzione

  1. 312 pagine
  2. Italian
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Il futuro della vita

Come arriveremo a controllare l'evoluzione

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Nel 2012, mentre stavano studiando la reazione dei batteri alle infezioni virali, Jennifer Doudna e i ricercatori del suo laboratorio a Berkeley non si sarebbero mai aspettati di dare il via alla più grande rivoluzione dell'ingegneria genetica. Per puro caso, come accade spesso in ambito scientifico, compresero il funzionamento di CRISPR-Cas9, un sistema capace di «ritagliare» il DNA: da quel momento, l'ipotesi di manipolare il patrimonio genetico di tutti gli esseri viventi divenne una realtà.

Oggi armeggiare con il DNA e modificare il codice genetico che identifica ogni specie del pianeta è alla portata di tutti. Anzi, alcuni esperimenti nel settore agroalimentare sono ormai conclusi da tempo e hanno portato, per esempio, a soia più nutriente e a riso resistente alle malattie. In tutto il mondo gli scienziati stanno utilizzando il CRISPR con esiti più o meno stupefacenti e studiando applicazioni al genoma umano. Gli impieghi sull'uomo hanno infatti un potenziale enorme: grazie al CRISPR si potrebbero mettere a punto terapie in grado di cambiare il decorso di alcune malattie, per esempio l'HIV/AIDS, e di evitare l'insorgenza di patologie invalidanti cui si è predisposti geneticamente, come la distrofia muscolare o il cancro. La velocità a cui progredisce la ricerca obbliga però a domandarci se saremo in grado di affrontare le possibili conseguenze di questa rivoluzione senza precedenti. Per salvaguardare l'enorme potere di regolare il corso dell'evoluzione evitando i pericoli insiti nella tecnologia CRISPR è necessario un consenso determinato e unanime da parte di ricercatori, esperti - scienziati sociali, legislatori, esponenti religiosi e via dicendo - e opinione pubblica. Abbiamo una responsabilità immensa, e forse siamo impreparati ad assumercela, ma non possiamo fare altrimenti: immaginando gli straordinari benefici derivanti dall'editing genetico, dobbiamo impegnarci a fondo per utilizzare al meglio questo strumento.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835716518
Parte seconda

IL COMPITO

V

LO ZOO CRISPR

Pomodori che maturano lentamente nella dispensa per mesi senza marcire. Piante in grado di resistere meglio ai cambiamenti climatici. Zanzare che non trasmettono la malaria. Cani ultramuscolosi, temibili compagni di poliziotti e soldati. Mucche cui le corna non crescono più.
Organismi del genere possono sembrare inverosimili, ma, grazie all’editing genetico, esistono già. E siamo solo all’inizio. Mentre scrivo queste pagine, il CRISPR sta rivoluzionando il mondo attorno a noi, che a tale rivoluzione siamo pronti o no. Nel giro di pochi anni questa nuova biotecnologia ci darà colture ad alto rendimento, bestiame più sano e cibi più nutrienti. In pochi decenni potremmo avere maiali geneticamente modificati capaci di fungere da donatori di organi umani, ma potremmo avere anche mammut lanosi, lucertole alate e unicorni. No, non vi sto prendendo in giro.
Mi lascia senza fiato rendermi conto che siamo alla vigilia di una nuova èra nella storia della vita sulla Terra, un’èra in cui gli esseri umani eserciteranno un controllo senza precedenti sulla composizione genetica delle specie che abitano insieme a noi il nostro pianeta. Non passerà molto tempo prima che il CRISPR ci permetta di piegare la natura alla nostra volontà come gli esseri umani sognano fin dalla preistoria. Se tale volontà si dirigerà verso qualcosa di costruttivo, i risultati potranno essere fantastici; essi però potranno anche avere conseguenze impreviste o addirittura disastrose.
L’impatto di piante e animali geneticamente editati si fa già sentire nella comunità scientifica. Alcuni ricercatori, per esempio, hanno usato il CRISPR per generare con precisione e flessibilità molto maggiori di prima modelli animali di malattie umane, non solo nei topi, ma in qualunque animale esibisca meglio la malattia in questione: scimmie per l’autismo, maiali per il morbo di Parkinson o furetti per l’influenza. Uno degli aspetti più interessanti della tecnologia CRISPR è che consente di studiare caratteristiche specifiche di alcuni organismi, come la rigenerazione degli arti nelle salamandre messicane, l’invecchiamento nei killifish e lo sviluppo scheletrico nei crostacei. Mi incantano i messaggi e le immagini che i colleghi mi inviano per descrivermi i loro esperimenti con il CRISPR: ali di farfalla dai meravigliosi motivi di cui hanno scoperto le basi genetiche, o il lievito infettivo, di cui hanno esplorato a livello di singoli geni la capacità di invadere i tessuti umani. Questi tipi di esperimenti rivelano nuove verità sul mondo naturale e sulle somiglianze genetiche che legano fra loro tutti gli organismi. Poche cose, per me, sono altrettanto emozionanti.
All’altra estremità dello spettro vi sono applicazioni di editing genetico che si direbbero più adatti a un romanzo di fantascienza che a una rivista scientifica. Mi ha sorpreso, per esempio, scoprire che diverse équipe di ricercatori stanno usando il CRISPR per «umanizzare» una varietà di geni in maiali, nella speranza che i rischi di morte dovuti alla carenza di donatori di organi possano un giorno venire ridotti grazie a xenotrapianti, trasferimenti di organi cresciuti in maiali (o altri animali) in riceventi umani. A dimostrazione dei tipi di modifiche estetiche ora possibili su animali, alcune aziende hanno usato tecnologie di editing genetico per creare nuovi animali domestici «griffati», come micromaiali geneticamente modificati che non divengono mai più grandi di cagnolini. E, in quella che sembra una pagina tratta direttamente da un famoso media franchise che aveva alla sua origine un romanzo di fantascienza, alcuni laboratori si stanno avventurando in un progetto detto de-estinzione, niente di meno, cioè, che la resurrezione di specie estinte tramite clonazione o ingegneria genetica. Beth Shapiro, docente all’Università della California a Santa Cruz e mia amica, è entusiasta di usare questa strategia per ricreare specie di uccelli estinte e potere così studiare la loro parentela con specie moderne. Dello stesso tenore sono i tentativi in corso di convertire pezzo per pezzo, utilizzando il CRISPR, il genoma dell’elefante in quello del mammut lanoso.
Ma il CRISPR potrebbe anche consentire l’opposto: l’estinzione forzata di animali o agenti patogeni indesiderati. Sì, un giorno non lontano il CRISPR potrebbe essere impiegato per distruggere intere specie: un’applicazione che non avrei mai immaginato quando il mio laboratorio entrò per la prima volta, solo dieci anni fa, nel campo nascente dei sistemi immunitari adattativi batterici.
Alcuni degli sforzi in questi e altri campi del mondo naturale hanno potenzialità enormi in termini di miglioramento della salute e del benessere degli esseri umani. Altri sono frivoli, stravaganti o addirittura pericolosi. Comprendere i rischi dell’editing genetico è, a mio parere, sempre più necessario, soprattutto considerato il fatto che il suo utilizzo sta diventando sempre più frequente.
Fornendoci un modo per riscrivere le molecole stesse della vita a nostro piacimento, il CRISPR ci conferisce il potere di alterare radicalmente e irreversibilmente la biosfera che abitiamo. E non mi sembra che, finora, si sia discusso a sufficienza delle possibilità, nel bene ma anche nel male, che esso offre. Stiamo vivendo un momento emozionante nelle scienze della vita, ma non possiamo permetterci di lasciarci trasportare dall’entusiasmo. È importante non dimenticare che, se il CRISPR ha l’enorme e innegabile potenzialità di migliorare il nostro mondo, manipolare le basi genetiche del nostro ecosistema potrebbe avere conseguenze indesiderate. Abbiamo la responsabilità di prendere in considerazione le possibili ramificazioni in anticipo, e avviare un dibattito globale, pubblico e inclusivo su come controllare al meglio l’editing genetico nel mondo naturale, prima che sia troppo tardi.
Nel 2004 un gruppo di scienziati europei risolse un mistero che da tempo assillava i selezionatori di orzo. Scoprì mutazioni genetiche che rendevano la pianta resistente a un fungo nocivo, responsabile di una malattia nota come oidio dell’orzo, una piaga che aveva a lungo tormentato i coltivatori di varietà Elite in tutta Europa.1 L’orzo mutato, resistente al fungo, può essere ricondotto ai semi d’orzo trovati in granai dell’Etiopia sudoccidentale durante le spedizioni tedesche dei tardi anni Trenta. Lì, qualche tempo dopo la domesticazione dell’orzo (una decina di migliaia di anni fa), apparve spontaneamente una versione mutata di un gene chiamato Mlo, selezionato poi dagli agricoltori desiderosi di coltivare solo le piante dall’aspetto più sano e a più alto rendimento.
Questo processo evoluzionistico influenzato dall’uomo, una mutazione naturale seguita da selezione artificiale anziché da selezione naturale, è il modo in cui l’agricoltura si sviluppa da millenni. Come osservò nel 1901 in un suo discorso il pioniere dell’agronomia Luther Burbank, le specie non sono fisse e immutabili, ma «plastiche nelle nostre mani come l’argilla nelle mani del vasaio o i colori sulle tele dell’artista, e possono essere facilmente modellate in forme e colori più belli di quelli che qualsiasi pittore o scultore possa mai sperare di produrre».2 In realtà, la scoperta della mutazione genica protettiva Mlo nell’orzo ebbe origine in una cultivar tedesca irradiata nel 1942 con raggi X.3 Gli scienziati avevano scoperto che l’esposizione dei semi a radiazioni (raggi X o raggi gamma, per esempio), o la loro immersione in sostanze chimiche mutagene, disseminava il genoma di nuove mutazioni sporadiche da cui si potevano ottenere piante con caratteristiche desiderabili.
Le linee mutanti prodotte utilizzando questi metodi sono geneticamente alterate in modi sconosciuti in centinaia o addirittura migliaia di geni diversi. Se accade che, fra tali alterazioni genetiche casuali, le varietà condividano mutazioni simili, per esempio nel gene Mlo, è possibile che le piante risultanti abbiano tutte la caratteristica desiderata, in questo caso la resistenza dell’orzo al fungo.4 Un decennio dopo l’identificazione della mutazione protettiva Mlo nell’orzo, avvenuta nel 2004, l’alterazione dello stesso gene fu collegata alla resistenza all’oidio di molte altre piante, il che fece intravedere l’entusiasmante possibilità di rendere resistenti all’oidio, modificando il gene Mlo, tante altre colture.
È questa la promessa dell’editing genetico. Rispetto ai metodi di selezione tradizionali, fra cui la mutagenesi naturale, la mutagenesi indotta usando raggi X o agenti chimici e l’ibridazione tra differenti specie vegetali (che inonda il genoma di migliaia di nuovi geni), il CRISPR e tecnologie affini consentono agli scienziati un livello di controllo sul genoma senza paragoni. Le possibilità di questa tecnologia per l’agricoltura mi divennero chiare quando, nel 2014, scienziati dell’Accademia cinese delle scienze usarono strumenti di editing genetico, CRISPR compreso, per alterare le sei copie del gene Mlo nel Triticum aestivum, o grano tenero, una delle colture di base più importanti del mondo. Le piante con tutti e sei i geni Mlo mutati risultarono resistenti all’oidio, un successo clamoroso, e, inoltre, i ricercatori non dovevano preoccuparsi di effetti dannosi o indesiderati di eventuali altre mutazioni, perché a essere editati erano stati soltanto i geni Mlo. Che i mutamenti desiderati siano knockout genici (come nell’Mlo), correzioni geniche, inserzioni geniche o delezioni geniche, gli scienziati possono alterare il genoma con una precisione senza precedenti, fino alla singola lettera, e praticamente in qualsiasi gene e qualsiasi sequenza del DNA.
L’oidio è solo un esempio delle sfide che il CRISPR permette di affrontare in campo agricolo. Nei pochi anni trascorsi dalla sua introduzione, esso è stato usato per modificare nel riso geni che lo proteggono dalla ruggine batterica, per rendere mais, soia e patate naturalmente refrattari agli erbicidi, e per produrre funghi resistenti allo scurimento e al deterioramento precoce.5 Inoltre gli scienziati hanno utilizzato il CRISPR per editare il genoma delle arance dolci,6 e un gruppo di ricercatori della California sta tentando di utilizzare la stessa tecnologia per salvare l’industria statunitense degli agrumi da una malattia batterica delle piante chiamata huanglongbing (un nome cinese traducibile con «malattia del drago giallo»), che ha devastato parti dell’Asia e ora minaccia i frutteti in Florida, Texas e California.7 In Corea del Sud lo scienziato Jin-Soo Kim e i suoi colleghi sperano che l’editing genetico sulle banane possa contribuire a salvare la pregiata varietà Cavendish dall’estinzione, una minaccia dovuta al diffondersi di un devastante fungo del terreno.8 E altrove i ricercatori stanno persino accarezzando l’idea di inserire nelle colture l’intero sistema batterico CRISPR, riprogrammato per tagliare virus vegetali, dotandole così di un sistema immunitario antivirale completamente nuovo.9
Metodi per introdurre mutazioni del DNA nelle piante
Metodi per introdurre mutazioni del DNA nelle piante
A interessarmi in modo particolare è la possibilità di utilizzare l’editing genetico per produrre alimenti più sani. A tale riguardo spiccano due esempi. Il primo ha a che vedere con i semi di soia, che forniscono circa cinquanta milioni di tonnellate di olio di soia all’anno. Purtroppo l’olio di soia contiene livelli malsani di grassi trans, che sono stati associati al colesterolo alto e a malattie cardiache. Recentemente gli scienziati dell’alimentazione di una società del Minnesota, la Calyxt, hanno utilizzato la tecnologia di editing genetico TALEN per modificare due geni dei semi di soia, generando semi con un livello di acidi grassi insalubri molto minore e un profilo generale di grassi simile a quello dell’olio d’oliva.10 E l’hanno fatto senza causare alcuna mutazione indesiderata né introdurre nel genoma alcun DNA estraneo.
Il secondo esempio riguarda le patate, terza più importante coltura alimentare del mondo dopo il grano e il riso. Il prolungato stoccaggio a freddo necessario per aumentare la durata di conservazione di questi tuberi può provocarne l’addolcimento da freddo, fenomeno in cui gli amidi si convertono in zuccheri tipo glucosio e fruttosio. Qualsiasi processo di cottura che richieda alte temperature, necessarie per produrre ogni genere di patatine fritte, converte questi zuccheri in acrilammide, neurotossina chimica potenzialmente cancerogena. L’addolcimento da freddo fa diventare inoltre le patatine più scure e amare, con il risultato di un’enorme quantità di rifiuti; solo per questo motivo gli impianti di lavorazione scartano ogni anno il 15 per cento delle loro patate. Grazie all’editing genetico i ricercatori della Calyxt hanno risolto facilmente il problema nelle patate Ranger Russet: non hanno dovuto fare altro che inattivare un unico gene, quello responsabile della produzione di glucosio e fruttosio. Il risultato: un calo del 70 per cento dei livelli di acrilammide nelle patatine prodotte a partire dai tuberi migliorati, e nessuna patatina scura.11
Gli scienziati dell’alimentazione sono entusiasti delle possibilità offerte da facili operazioni di editing genetico. Ma resta un problema macroscopico che, tuttavia, viene costantemente ignorato: produttori e consumatori accetteranno l’editing genetico di precisione nei prodotti alimentari come hanno accettato le migliaia di prodotti i cui genomi sono stati mutati casualmente tramite raggi X, raggi gamma e mutageni chimici? O i prodotti geneticamente editati andranno incontro alla stessa sorte degli OGM, altro tipo di alimenti geneticamente alterati che, nonostante le loro immense potenzialità positive, hanno suscitato un’opposizione incredibile e, a mio parere, frutto di disinformazione?
Con il diffondersi della tecnologia C...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL FUTURO DELLA VITA
  4. Prologo. L’onda
  5. Parte prima. LO STRUMENTO
  6. Parte seconda. IL COMPITO
  7. Epilogo. L’inizio
  8. Note
  9. Ringraziamenti
  10. Copyright