Le mogli hanno sempre ragione
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Le mogli hanno sempre ragione

  1. 240 pagine
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Le mogli hanno sempre ragione

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Il maresciallo Gino Clemente ama la canottiera bianca, il karaoke, il suo labrador e soprattutto la moglie Felicetta, e coltiva un unico desiderio: andare presto in pensione.

Dopo anni passati lontano da casa, viene finalmente trasferito nel suo paese d'origine, Polignano a Mare, a ridosso della festa patronale di San Vito che dà inizio all'estate.

Per l'occasione, la famiglia allargata degli Scagliusi decide di celebrare il compleanno della piccola Gaia con una "festa nella festa", durante la quale Matilde può inaugurare e soprattutto mostrare la sua nuova masseria a parenti e pochi amici.

Non mancano i manicaretti peruviani preparati dalla fedele Adoración, la tata tuttofare della famiglia.

Oltre a Ninella, don Mimì e a tutti i protagonisti di Io che amo solo te è stato invitato anche il maresciallo Clemente che però declina, ma sarà chiamato con urgenza sul posto: Adoración è stata trovata senza vita nel salottino degli angeli collezionati con amore dalla padrona di casa. È subito chiaro che non si tratta di una morte accidentale.

Chi può essere stato?

Nel pieno della notte di San Vito, il maresciallo si troverà ad affrontare un po' controvoglia la sua prima vera indagine. Ad aiutarlo nell'impresa ci penseranno la brigadiera Agata De Razza, salentina dai capelli ricci e dalla polemica facile, e l'appuntato Perrucci, il carabiniere più sexy del barese, oltre naturalmente al suo fiuto, a quello del suo cane Brinkley e ai consigli disinteressati della moglie.

Per tutti gli abitanti della zona sarà il giallo dell'estate.

Tra canzoni stonate, melanzane alla parmigiana, segreti inconfessabili e voci di paese in cui tutti parlano e nessuno dice, Luca Bianchini scrive una commedia esilarante e ci fa vivere nella sua amata Polignano una nuova avventura ricca di colpi di scena, in cui tutte le tessere del mosaico si mettono lentamente a posto per rivelare una sorprendente verità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835716150

1

Il sole non aveva alcuna intenzione di andarsene. Continuava a perdere tempo come un ospite che a fine serata si ferma sulla porta, accende un’altra sigaretta e ti racconta la storia della sua vita. Tu lo lasci parlare e, quando ormai pensi di aver ascoltato tutto, lui ti trafigge con un ultimo raggio, un piccolo miracolo fra le tende per dirti ancora qualcosa.
“Non può andare male proprio oggi” pensò il maresciallo Gino Clemente affacciato alla finestra della sua casa a Port’Alga. Aveva sognato quel giorno fin da bambino: la festa di San Vito da comandante della stazione dei carabinieri del suo paese. Mai avrebbe immaginato che il suo desiderio si sarebbe avverato, soprattutto di lunedì.
Ma a Polignano soffiava un grecale impertinente, noncurante dei sentimenti umani, minacciando l’evento che da sempre dava il benvenuto all’estate. Il mare sbraitava senza sosta e Gino lo scrutava preoccupato sperando che prima o poi si placasse. Uscì sul terrazzino e si sporse sulle rocce rivolgendo una preghiera allo scoglio dell’Eremita dove, secondo lui, si concentravano la magia dell’acqua e i misteri del cielo, e la piccola luce che si era accesa tra le nuvole gli ridiede speranza.
Le onde però presero la rincorsa per infrangersi sugli scogli con maggior forza, e gli schizzi che lo colpirono fecero sembrare il suo volto rigato di lacrime. Prima di bagnarsi del tutto decise di rientrare per indossare la “grande uniforme” con tanto di medaglie e sciabola, senza dimenticare un capo imprescindibile del suo guardaroba: la canottiera bianca.
«Asciugati bene che ancora ti raffreddi» gli disse sua moglie Felicetta che da giorni lo osservava in silenzio, ma lui neanche la sentì. L’unico a cui dava retta era il suo labrador, che gli girava intorno chiedendogli di uscire di nuovo, come facevano di solito al tramonto, quando andavano a pescare. Al maresciallo piaceva stare con lui all’imbrunire, mentre i ricordi riaffioravano dal passato mettendogli addosso un po’ di malinconia.
Quando si sentiva così, il cielo di Polignano sapeva sempre cosa dirgli, anche se in quel momento sembrava solo ripetergli “questa processione non s’ha da fare”. Così, dopo essersi rivolto alla croce, una volta tornato in camera parlò direttamente al Santo.
“Vito bello, senti a me... ma perché? Perché fai così? L’anno prossimo vado in pensione. Sono dimagrito due chili e mezzo per entrare in questa benedetta alta uniforme. Se la cosa salta, mia moglie mi sfotte fino a Natale. Quindi vedi di calare sto vento, scià...”
In paese erano tutti in apprensione perché già nei due anni precedenti la processione per mare era stata annullata, e se fosse successo di nuovo sarebbe apparsa quasi una maledizione o il segno che il Santo era molto arrabbiato.
Il cielo iniziava a sfoggiare uno dei suoi blu più intensi. Negli ultimi trent’anni al maresciallo quel colore era mancato quasi più del mare stesso. La sua carriera nei carabinieri l’aveva portato lontano, prima alla scuola sottufficiali di Firenze, poi alla squadra antidroga di Parma, dove una volta aveva trovato un chilo e mezzo di cocaina e quella era stata la sua unica grande “impresa”. Ma la maggior parte del tempo l’aveva trascorsa a Bologna, dove per tutti non era mai “Gino” ma solo “Clemente” – cognomen omen –, sempre combattuto tra i tortellini e i passatelli in brodo del ristorante Donatello. In quella città, per molto tempo, si era occupato dei trasferimenti degli altri carabinieri senza mai riuscire a ottenere il proprio.
Con l’avvicinarsi della pensione, un generale si era finalmente preso cura del suo caso e gli aveva affidato la destinazione che attendeva da sempre: Polignano a Mare. «Un premio per la tua carriera» gli aveva detto, ma lui sapeva che ormai sarebbe stato solo un tappabuchi in attesa che il suo rivale di Monopoli terminasse l’indagine che stava seguendo. Dell’esperienza in Emilia gli era rimasto Brinkley, un cane dell’unità cinofila in pensione. Il nome lo aveva scelto sua moglie, con l’attenzione che avrebbe riservato a un figlio, forse perché non ne avevano avuti. «È il nome del labrador di C’è posta per te» diceva, e tutti pensavano al programma della De Filippi invece che al film con Meg Ryan.
Dopo l’entusiasmo di essere tornato al suo paese natale, quel giorno, di fronte a un mare decisamente poco calmo, il maresciallo sentì di aver perso ogni sicurezza. La festa di San Vito gli faceva tornare in mente suo padre, da cui aveva ereditato gli occhi verdi, una rarità da quelle parti.
I polignanesi avevano vissuto quel giorno di attesa e devozione senza mai perdere di vista le onde: «vedrai che quando è il momento calano» dicevano tutti senza esserne pienamente convinti. Le più fiduciose erano le vecchiette, disposte a trascorrere la notte a vegliare il Santo in piazza dell’Orologio.
Felicetta era invece piuttosto scettica e aveva scelto di assistere al passaggio della processione per mare da casa sua: «sempre se ce la fa» aggiungeva, come se si trattasse del carico di lupini dei Malavoglia.
Lei amava punzecchiare suo marito ed era una donna un po’ particolare: quando riceveva ospiti era una pugliese doc, pronta a disquisire fino a notte fonda sul modo migliore di cucinare le strascinate con le cime di rapa. Se era sola dipingeva ceramiche.
Quando il maresciallo si affacciò in cucina la trovò intenta a friggere melanzane come se non ci fosse un domani. Quella sera, aveva invitato a cena un’amica vedova conosciuta attraverso il gruppo Facebook “Polignanesi forever” che in anni di lontananza le aveva tenute in contatto. Era stata lei a segnalarle la vendita di quella casa – che loro chiamavano affettuosamente “la casupola” – in uno dei posti più impervi e poetici vicino allo scoglio dell’Eremita: preceduta dal verde, vegliata da tre palme e a due passi dalle rocce. Dietro la scogliera, come in un finale, il mare. Felicetta preferiva restare lì con l’amica piuttosto che accettare l’invito inatteso della signora Matilde per l’“apericena”, così l’aveva definito lei, in onore della nipotina.
In realtà non aveva capito che il vero invitato era suo marito, il maresciallo, e che la festa di Matilde, ex signora Scagliusi, era solo un pretesto per mostrare a tutti la fantasmagorica masseria che lei e il suo Pasqualino si erano regalati. Dati i tempi biblici di arrivo della cucina – e le difficoltà dovute al montaggio della penisola snack – la festa era stata posticipata a quella sera, e con l’occasione della celebrazione del santo patrono aveva assunto «un certo appeal», come aveva detto Matilde a Lucia Coiffeur.
Ma Felicetta era poco interessata alle apparenze e suo marito l’amava anche per quello. Per lui, che aveva atteso la pensione per anni, in effetti non ci sarebbe stata cosa più bella che festeggiare San Vito con una parmigiana notturna.
«Com’è che a quest’ora non mi hai rubato nemmeno una melanzana?»
«Ho lo stomaco chiuso. Se il mare continua così la processione salta. Ma proprio stavolta doveva succedere?»
«Veramente sarebbe il terzo anno.» A Felicetta venne da sorridere, lei che trovava i polignanesi sempre un po’ bambini, come il santo che li proteggeva. «Ora non ci pensare... scendi giù al tuo teatro Ariston. Ti rilassi dieci minuti, poi ti metti l’uniforme e vai all’abbazia. Cosa farà il mare non dipende da te.»
«A che ora viene la tua amica?»
«Io le ho detto alle nove e mezzo perché è sempre in anticipo, mamma che ansia. A me quelli che arrivano prima mi danno ai nervi. Perché se ti dico un orario arrivi mezz’ora prima? Poi aggiungono: Sai, se ti serve una mano... Ma se mi serviva una mano te lo dicevo io, no?»
Ecco un’altra cosa che il maresciallo apprezzava di sua moglie: s’infervorava per le cazzate. Era una donna che aveva il dono della leggerezza, ma si prendeva sempre molto sul serio.
Lui invece si prendeva sul serio solo quando cantava al karaoke, la sua vera passione. E una delle ragioni per cui aveva voluto la casupola sul mare era che poteva allestire la tavernetta come una vecchia sala juke-box. Lì si apriva il suo piccolo mondo antico. Amava quelle basi anni Ottanta che facevano assomigliare Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri a Vecchio frac di Domenico Modugno. Di lui teneva anche una piccola foto dei tempi di Volare, incorniciata come una reliquia: «Mimmo, aiutami tu» gli disse prima di restare in canottiera e accendere il microfono.
Bastava una canzone e il maresciallo si sentiva sul palco di Sanremo, e chissà che quello spirito fanciullesco non avrebbe convinto San Vito a calmare il mare.

2

Il miracolo era avvenuto: il vento era calato e le onde si erano abbassate.
Il maresciallo continuava a chiamare i colleghi per sapere com’era la situazione all’abbazia di San Vito, a cominciare dalla brigadiera Agata De Razza, con cui aveva un rapporto un po’ conflittuale. Ma c’era così tanta gente ad attendere il Santo che molti cellulari non prendevano. O forse, pensava lui, li tenevano spenti per non dargli la brutta notizia.
Felicetta gli aveva detto «io ti aspetto a casa», e non capiva se fosse un buon auspicio o una minaccia. Lei, pur essendo in un certo senso la sua “first lady”, era l’esatto contrario: non voleva apparire, anzi se poteva si sottraeva ai privilegi che il paese le riservava.
Il maresciallo, dopo aver salutato Brinkley che aveva abbaiato un bel po’ perché non era abituato a vederlo con il pennacchio in testa, arrivò a San Vito evitando il centro affollato di Polignano.
Giunto nei pressi dell’abbazia non riuscì a capire se la gente accalcata fosse più euforica o isterica: appena vide i suoi ragazzi, diede un colpo di clacson e la folla si aprì come le acque di Mosè. «Il maresciallo Clemente! Il maresciallo Clemente! Ecco Gino!» gridavano tutti, e lui gonfiò il petto.
Ma la cosa che più lo emozionò, mentre affidava la sua auto a mani esperte, era il grecale che aveva magicamente rallentato la sua corsa. Chissà se erano state le sue preghiere rivolte allo scoglio dell’Eremita, la benedizione di “Mimmo” o se – più semplicemente – “così ha voluto San Vito”.
Lo zatterone che avrebbe ospitato la statua del Santo era stato ormeggiato nella piccola baia antistante l’abbazia, mentre padre Gianni, il parroco di Polignano, finiva di celebrare la messa.
Intanto, un bel numero di barche si stava disponendo in attesa che il corteo per mare partisse.
In prima fila, su una specie di galeone noleggiato per l’occasione, si distinguevano gli Scagliusi al gran completo, una famiglia molto chiacchierata in paese e ormai decisamente allargata. Don Mimì e Matilde si erano separati ma lei continuava a sentirsi “la signora Scagliusi”, come se quel cognome fosse un marchio di fabbrica, anche se il business delle patate non andava più bene come un tempo. Don Mimì si era finalmente fidanzato con Ninella, la sua consuocera, dopo una vita trascorsa ad amarla, mentre Matilde aveva una relazione stabile con il tuttofare dell’azienda, Pasqualino, che non si sentiva più il miracolato di turno. La grande reunion era dovuta al compleanno della nipotina, Gaia, che aveva già spento le candeline sulla torta con gli amichetti, ma nonna Maty aveva voluto organizzare qualcosa in grande proprio per mettere a tacere le voci sui loro problemi finanziari.
Quindi cosa c’era di meglio di un piccolo party durante le celebrazioni di San Vito? La festicciola però pareva insufficiente, allora Matilde l’aveva definita “apericena”. Ma l’apericena sembrava un po’ “vorrei ma non posso”, e allora ci aveva aggiunto anche la gita in barca per seguire la processione. E se la barca ce l’avevano tutti, ci voleva il galeone.
Matilde stava sul ponticello che collegava il molo a quella specie di veliero e faceva salire gli ospiti uno per uno chiamandoli come se fosse l’appello di una guida turistica: «Prima Damiano, mio figlio... poi sua moglie Chiara, eccola... la mia stupenda nipotina Gaia... l’altro mio figlio Orlando... bello che sei... con la sua amica Daniela... e poi... e poi...».
Don Mimì e Ninella erano gli ultimi della fila e non sapevano cosa aspettarsi. Lui era particolarmente nervoso, in quanto ex marito che si era messo con la consuocera. Matilde attese un attimo per scegliere l’appellativo più adatto, e optò per quello che pensava potesse ferirlo di più.
«... E poi ecco quello più avanti con l’età... il nonno Mimì.»
Lui salì senza battere ciglio e si voltò a osservare Ninella: la schiena dritta la faceva sembrare più alta, mentre i capelli accarezzati dal grecale la rendevano quasi botticelliana. Matilde non riuscì a trovare nessuna parola per mortificarla.
«E dopo il nonno... l’altra nonna di Gaia... e la madre di mia nuora Chiara...»
Ninella fu l’unica a non essere chiamata per nome, ma la sua espressione non tradì alcun sentimento. Per fortuna il galeone era già in moto e la partenza dissolse ogni imbarazzo.
A fare da skipper c’era Pasqualino, che cercava di posizionarsi nel punto migliore per accodarsi allo zatterone del Santo come gli aveva ordinato Matilde. Tutti gli occupanti delle barche, anche quelle che stavano raggiungendo la baia dagli altri porticcioli, erano incuriositi dall’imponenza di quel galeone, ma l’invidia iniziale lasciò subito spazio al cinico realismo di provincia: «Di sicuro l’hanno noleggiato».
Per togliersi gli occhi di dosso, ci volle l’apparizione della statua di San Vito che usciva dall’abbazia vestito a festa: abbellito da rose rosse, il braccio in alto a tenere la croce, veniva portato in trionfo da padre Gianni che da settimane si allenava tutte le mattine per non farsi trovare impreparato per quella che considerava una vera e propria Olimpiade.
La sua sagoma nera spiccava di fianco al Santo, in mezzo a un tripudio di mani che lo volevano toccare: «Evviva San Vito! Evviva San Vito! Evviva San Vito!» gridò, e tutte le barche suonarono le loro sirene a festa. L’emozione era palpabile, e il mare appena increspato una specie di ologramma.
Nella folla, circondato da un drappello di carabinieri, si distingueva anche il maresciallo Clemente in alta uniforme che, dopo i due chili persi, gli calzava a pennello. Accanto a lui, il sindaco e il presidente del comitato di San Vito, ammessi entrambi a salire sullo zatterone.
L’apparizione del Santo fece riaprire a Ninella il cassetto dei...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le mogli hanno sempre ragione
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. Ringraziamenti
  47. Copyright