L'esule
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L'esule

  1. 268 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

La giovane moglie di un pastore presbiteriano lascia nel 1880 la Virginia e assieme al marito si reca in missione nella lontana Cina, affrontando un vero e proprio "esilio" dalla patria e dalla famiglia, nella speranza che il suo sacrificio le permetta di cogliere quel segno di Dio che attende da sempre. La morte prematura di quattro dei sette figli farà perdere senso a qualunque scelta, e Carie, la cui profonda natura è quella di una ribelle, si sentirà "esiliata" anche dal marito e dalla sua fede. In L'esule (1936) è la figlia, la scrittrice Nobel Pearl S. Buck, a narrarci la sua vita, trasformando la storia familiare in un racconto ricco d'amore e comprensione quanto lucido nei giudizi morali e culturali.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788852060816
Argomento
Literature
Categoria
Classics

IV

La scelta di Andrew era caduta su una cittadina molto più a nord. La gente vi era però ostile agli stranieri, non volle saperne di dare in affitto una casa, e alla fine Andrew portò la famiglia in una locanda dove vissero, in tre stanzette, coi muri e i pavimenti di terra e il tetto di paglia. Tutt’intorno, oltre un basso muricciolo di terra, la gente comune viveva in mezzo alla sporcizia.
Carie piantò le sue rose in vasi di coccio, e si mise d’impegno per creare un’ennesima casa americana. Ma non aveva più l’impeto e il vigore di un tempo. Per Andrew la vita fra gente strana e diversa era una sfida all’anima; per lei il nuovo esordio in quell’ambiente, le camere affollate, la mancanza di un giardino, l’immanenza delle malattie e della sporcizia, e soprattutto la cupa ostilità della gente, erano terribili. Fu aggredita di nuovo dal vivo ricordo dei tre figli morti e dal pensiero che le loro vite così presto spezzate testimoniavano tutto il suo sacrificio di madre ad Andrew e al Dio di lui. Guardava con occhio geloso i tre che le erano rimasti, e un senso di ribellione la assaliva. No, basta sacrifici!
Per Andrew fu un anno di opportunità esaltanti, ma anche molto duro. C’era la guerra col Giappone, e in quella provincia remota tutti i forestieri erano scambiati per giapponesi. Una mattina, mentre Carie sedeva a colazione coi bambini, si videro comparire davanti Andrew, dopo settimane d’assenza, vestito delle sole mutande e della camicia. Era a piedi nudi, e mostrava sulle spalle e sulla schiena segni sanguinosi di ferite. Era stato derubato di tutto ciò che aveva, compreso il mulo, il bagaglio e le provviste, da una torma di soldati itineranti che malgrado le sue proteste, gli occhi azzurri, l’alta statura e la barba rossiccia, insistevano a dire che era un giapponese!
Durante l’inverno la casa dal tetto di paglia si rivelò pericolosamente umida, e il piccolo Clyde fu preso da un raffreddore che degenerò in polmonite. Come al solito, Andrew era assente, e nel giro di parecchie centinaia di chilometri non c’era traccia di medici. Carie fu ripresa dal vecchio angoscioso terrore della morte. Aveva appeso delle coperte in un angolo della stanza, per creare uno spazio riparato dalle correnti d’aria e là, avvicendandosi con Wang Amah, passò in veglia dieci lunghissimi giorni, al termine dei quali il piccolo malato, come a malincuore, cominciò lentamente a riaversi.
Stringendolo a sé Carie si disse che ne aveva abbastanza, ne aveva abbastanza! In tutta la città non c’era un cane a cui importasse che il suo piccolo vivesse o morisse per la causa del Dio di Andrew. E importava a Dio stesso?… Non avrebbe più accettato di sacrificare i suoi bambini.
Torva, cominciò a imballare le sue cose, apprestandosi a lasciare quel tugurio. Si erano susseguite una serie di giornate piovose, l’acqua aveva impregnato d’umidità i pavimenti di terra, ed erano costretti a camminare su tavole poste sopra mattoni. Tavole e sedie affondavano per parecchi centimetri nella fanghiglia, il caro organo invece era stato collocato su un assito. Così Carie, pronta ormai a partire, attese il ritorno di Andrew. Vedendolo comparire una mattina di primavera, corse a indossare cappello e cappotto e lo ricevette così, circondata dai mobili imballati in stuoie e dalle rose nuovamente tolte dalla terra. Lui rimase di sasso, ma lei non volle sentire una sola parola. Per una volta tanto gli impose il silenzio con gli occhi dorati e terribili nell’ira.
«Puoi predicare da Pechino a Canton» disse con voce spaventosamente tranquilla «e magari passare dall’uno all’altro Polo, ma io e i bambini non ti seguiremo mai più. Ho deciso di portarli a Chinkiang, in quella casetta sulla collina, e se è vuota staremo là, dove ci sono pace e aria fresca. Altrimenti tornerò in America. Ho già sacrificato tre bambini, e non ne ho altri da dare a Dio.»
Andrew era esterrefatto, ma non poté fare nulla perché lei si stava già avviando verso l’uscita, tenendo per mano Edwin e seguita da Wang Amah con Clyde in braccio e Comfort al fianco. Ad Andrew non rimase che cedere. Andarono così sulla riva del canale, noleggiarono una giunca e partirono per il Sud: tre settimane di viaggio durante le quali, fino all’arrivo a Chinkiang, Carie non si lasciò mai distogliere dalla sua incrollabile decisione. Fu una fortuna trovare il villino vuoto, e senza una parola lei vi si insediò.
In quella città sarebbe rimasta ventisette anni, e nessuno riuscì più a farle mutare residenza.
Il trasferimento sulle colline non la liberò tuttavia dal pensiero di Edwin – il cruccio maggiore di quel periodo della sua vita. Una volta che si furono sistemati il ragazzo, privo di compagni della sua età e della sua razza, ricominciò a dare segni di impazienza e di irrequietezza. Aveva ormai quindici anni, l’età di iniziare degli studi seri, e bisognava quindi mandarlo in America da solo. La decisione fu presa con rapidità tanto maggiore, quanto più viva era nella madre l’ansia di dargli un’impronta americana prima dell’età virile. Separarsi da lui era naturalmente uno strazio, un nuovo sacrificio alla causa mai troppo chiaramente sentita, ma ormai aveva imparato a non vedere altro che lo scopo finale, e in estate Edwin fu mandato insieme a degli amici in America.
Carie scrisse lunghe lettere supplichevoli al fratello Cornelius, raccomandandogli il ragazzo. Voleva immaginarlo trascorrere le sue vacanze nella buona e tranquilla atmosfera della grande casa dei suoi. La partenza del figlio la sollevò, eppure passò molte lunghe notti angosciosamente insonni, durante le quali si rimproverava di averlo fatto partire così giovane. Lui che le era sembrato ormai un giovane uomo quando l’aveva al fianco, ora invece, lontano, le riappariva come un bambino. Gli scriveva lunghe lettere molto affettuose, cercando di indovinare tutto quello che lui pensava o faceva. Quando seppe che il ragazzo aveva imparato a fumare passò giornate nere nel timore che avesse imparato anche altre cose. Cornelius, tuttavia, diceva un gran bene di lui, in lettere che erano per lei motivo d’orgoglio. Alla fine di una lettera il fratello la informava di “trovare Edwin un po’ indolente”. Carie fu tanto più contenta di averlo sottratto alla sognante e pigra atmosfera dell’Oriente, per immergerlo nella più dinamica vita del suo paese. Era un bene per lui, davvero – ma la sua casa pareva semivuota!
Il villino sulla collina non sarebbe rimasto per molto tempo a loro disposizione. Presto, infatti, i proprietari tornarono dal congedo che si erano presi, e bisognò sgomberare. Questa volta Andrew trovò una casetta nella città cinese, ma fortunatamente in un sobborgo, di modo che Carie poteva portare tutti i giorni i due bambini in collina, a far prendere loro aria fresca.
La casa sorgeva vicino al cosiddetto Bund – nell’area cioè che i cinesi erano stati costretti a cedere agli inglesi per trattato in seguito alle guerre dell’oppio – e la zona era piena di locali frequentati da persone equivoche. Passando rapidamente coi bambini davanti alle porte aperte su certi interni nei quali si vedevano donne seminude d’ogni razza, Carie era felice che Edwin non ci fosse – Edwin con i suoi occhi acuti di adolescente. Ronzavano attorno a quei bordelli gruppi d’uomini bianchi sbarcati dalle navi, e Carie trovava il fatto terribile, tanto più che se si fosse trattato solo di cinesi. Provava un senso di vergogna e di impotenza al pensiero che dal suo bel paese lontano, di cui era così orgogliosa, accanto alla chiara fiamma della rettitudine di Andrew, provenivano quegli ebbri, sozzi uomini bestemmianti. Ma si sentiva anche il cuore caldo di pietà. Molti, infatti, erano giovani, quasi della stessa età di suo figlio, ed erano tutti lontani da casa; o, se erano vecchi, vivevano in esilio da tanto tempo e non avevano nemmeno più una casa sulla Terra, e questo era ancora più triste.
Di nuovo riprese la sua vecchia opera di assistenza, sorvegliava l’arrivo delle navi provenienti da altri paesi, preparava da mangiare e riempiva la sua casetta di soldati e marinai, porgeva orecchio alle loro ansiose confidenze, e per molti di loro era una madre, una sorella o un’amica.
In quel periodo Clyde era per Carie un particolare motivo di gioia. Di tutti i figli era quello che più le assomigliava, anche nello spirito. Si era fatto un ragazzo di eccezionale franchezza e bellezza, di carattere insieme grave e allegro, e di cuore, come quello della madre, troppo caldo per essere felice. Alla madre si volgeva istintivamente come un fiore verso il sole, ed entrambi apparivano colmi di felicità quando erano insieme.
Lei gli aveva dato il proprio cuore coraggioso, e non ricordo di averla mai vista così straziata come il giorno – il bambino aveva cinque anni – in cui Andrew, volendo punirlo di qualche monelleria, lo picchiò duramente con la sua mano scarna e dura. Il bambino pianse un po’, ma presto cominciò a cantare a gran voce, con gli occhi ancora pieni di lacrime e le piccole cosce segnate e doloranti: “Avanti, soldati cristiani!”. Per anni e anni dopo, anche quando il piccolo Clyde non fu per lei altro che un’ombra, le riappariva l’immagine del faccino rigato di pianto, i grandi occhi azzurri e coraggiosi, la vocetta un po’ tremante, e allora gli occhi le si riempivano di lacrime. Come la madre, il piccolo Clyde provava un istintivo amore per la bellezza, e ricordo ancora l’esultante grido di gioia col quale lei correva a salutare i primi denti di leone a primavera, cogliendone dei mazzi con cui ornare la sua tomba, perché anche lui li aveva amati tanto.
Poco dopo aver compiuto cinque anni il bambino tanto amato fu preso da un febbrone e cadde gravemente ammalato. Gli unici medici in città erano un mezzosangue indiano, un uomo mite e gentile ma poco esperto, e il medico delle dogane britanniche, un tipo così cronicamente ubriaco da rendere impossibile un’esatta valutazione delle sue qualità cliniche. Il medico indiano diagnosticò una bronchite, ma fin dagli inizi Carie, ormai ricca di conoscenze pratiche in fatto di medicina grazie a quel che aveva studiato e all’aver curato i cinesi che la cercavano, temette una difterite.
Vegliò il piccolo giorno e notte, ma presto il peggioramento divenne allarmante. Fu inviato un messaggero ad avvertire Andrew, a tre giorni di cammino nell’interno del paese. Alla fine la gola del piccolo si chiuse completamente e fu chiaro che niente poteva salvarlo. Prima che Andrew riuscisse ad accorrere, il piccolo Clyde morì, e ancora una volta Carie resse fra le braccia un figlio morto.
Andrew arrivò in tempo per vedere il suo bel bambino composto nella bara. Il giorno seguente, stabilito per i funerali, si scatenò una furia di vento e di pioggia, e Carie, a quell’epoca di nuovo incinta, era così stremata da non poter nemmeno seguire il piccolo corteo al terreno dove si seppellivano i bianchi.
Ah, l’infinita tristezza di quei minuscoli quadrati di terra, sparsi qua e là nelle città cinesi, dove bianchi e stranieri si preparavano un piccolo spazio nel quale giacere da morti! Sono sempre chiusi fra alte mura, e i cancelli sono alti e coronati di punte metalliche, serrati da pesanti sbarre di ferro. Nella strana quiete, fra gli alberi radi e i vialetti coperti di sabbia, le tombe si allineano ordinatamente, strette l’una all’altra. Sono per lo più tombe di donne e di bambini – di molti, troppi bambini piccoli. Qua e là ci sono tombe di marinai; e sempre, come spiegano gli epitaffi, quelle delle vittime di torme infuriate. Stranieri in terra cinese per tutta la vita, non lo sono meno da morti; anzi, lo sono di più. È come se avessero voluto proteggersi per evitare di essere inghiottiti anche dopo la morte dalle invadenti, incuranti, sterminate moltitudini cinesi attorno a loro.
Ricordo il giorno dei funerali di Clyde. Carie stava alla finestra e guardava piangendo il piccolo corteo sfilare lungo il vialetto nel cortile. Le sue lacrime le sentivo sul mio cuore nudo, io capivo solo in parte, mi avvicinai a lei e guardai fuori. La pioggia scrosciava fitta e batteva sulla piccola bara che usciva dal cancello. Poi scomparve e Carie piangeva sempre, non con rabbia adesso, senza impeto, ma lacrime di un cuore abbandonato dalla speranza.
E quel giorno morì qualcosa anche nel suo cuore, e non sarebbe più tornato: qualcosa della sua vita cessò di esistere. Aveva voluto far seppellire a Shanghai, in terra internazionale, gli altri figli, ma questo volle tenerlo vicino a sé. Se lei, la madre, doveva continuare a vivere in quel paese lontano, il suo figlioletto doveva avere ancora la sua compagnia.
Il giorno dopo che Clyde fu sepolto, Comfort si ammalò e Carie, terrorizzata, notò i segni della stessa malattia che le aveva portato via l’altro figlio. Tutti, uno alla volta, dovevano esserle strappati così? Il medico indiano, il suo sguardo scuro e impassibile, quei suoi movimenti languidi le erano diventati insopportabili. Corse fuori, nonostante il vento e la pioggia, prese una portantina per fare più in fretta, e si precipitò dal medico inglese perennemente ubriaco. Lo trovò in un bordello con una cinesina ridacchiante sulle ginocchia, gli corse vicino e gli scosse una spalla.
«Mia figlia sta morendo» disse soltanto. «Difterite. Può venire?»
Un vago e superstite senso del dovere si ridestò a fatica negli occhi iniettati di sangue del medico. Si alzò vacillante, depose la ragazza cinese, e seguì Carie, borbottando mentre camminava: «Ho un certo preparato… già, la difterite infuria… me lo sono procurato a Shanghai… bah, lo sperimenteremo…».
Carie dovette constatare che l’uomo, nelle pause di lucidità, era un medico non spregevole, ed era vero che proprio il giorno prima aveva ricevuto da Shanghai un certo siero antitossico. Carie non osò lasciare solo il medico neppure un istante, temendo di vederlo ricadere nel suo torpore, e ordinò agli uomini della portantina di seguirlo fino alla sua abitazione. Arrivati, entrò anche lei, lo scosse dalla sedia sulla quale era crollato, preso da improvvisa sonnolenza. Cominciò a rovistare in giro per lo studio, imitata da lui, finalmente trovò l’ago per le iniezioni e a quel punto gli fece fretta fino a quando le riuscì di trascinarlo al letto della bambina.
Vedere la malata, e riaversi, per il medico fu tutt’uno. Eseguì l’iniezione con mano ferma, e ventiquattr’ore dopo la bambina stava già meglio. Due altre iniezioni e fu fuori pericolo. La crisi era superata, ma Carie era all’estremo delle forze e non c’era più nessuno in grado di assistere la piccola fino alla guarigione. Andrew, infatti, si era trattenuto in casa finché c’era stato pericolo, ma ora sentiva di dover ripartire per riprendere la sua attività. Se fosse rimasto, del resto, la sua presenza non sarebbe servita a nulla, dato che Comfort non voleva saperne di averlo accanto.
A questo punto si fece avanti una di quelle amiche che sembrava specialità di Carie crearsi dappertutto, una delle tante persone alle quali aveva usato gentilezze. Era una ragazza inglese, ignorante e piuttosto primitiva, venuta in Cina in qualità di governante in casa di un funzionario delle dogane e finita poi in una di quelle sordide vicende amorose tipiche della vita del porto. Costretta a scappare dalla casa dov’era impiegata, si era rifugiata presso Carie che l’aveva assistita e ora, tornata alla ragione e disprezzando l’uomo che l’aveva ridotta alla vergogna, si preparava al rimpatrio. Decise quindi di rinviare la sua partenza e rimase ad accudire Comfort: compito tutt’altro che lieve perché la bambina, ormai in convalescenza, voleva a tutti i costi la madre, con la determinazione e la testardaggine che le erano proprie. Carie le fu teneramente grata di quell’aiuto, e ne nacque un’amicizia che sarebbe durata molti anni, ben oltre la guarigione e la maggiore età di Comfort.
A Carie pareva di non poter mai più riacquistare le forze perdute e l’antica allegria. Passò un inverno inerte, e l’inizio della primavera la trovò insolitamente sensibile alla frescura e all’umidità del fiume. La casa era tetra e di nuovo vuota, ora, con una sola figlia. Edwin era molto lontano, ormai, e tutto preso dalla sua nuova vita. Il pensiero della creatura che doveva venire al mondo non bastava a risollevarla, perché le sembrava inutile continuare a concepire figli per perderli – terribile, straziante, e uno spreco di vita.
Ricadde in preda al morboso timore di aver dovuto pagare con la morte dei figli qualche vecchio peccato, la sua intima ribellione. Non aveva abbandonato l’originaria, bruciante ricerca di Dio per accontentarsi di un semplice servizio alla gente? Non era mai stata abbastanza tenace nella sua ricerca di Dio. Adesso le sembrava che Dio avrebbe continuato a colpirla fino alla sua completa sottomissione a Lui, e cominciò la sua lotta per piegarsi – fin quando avesse avuto anche un solo figlio Dio avrebbe potuto spezzarla ancora.
Cominciò a dedicare più tempo ai tentativi di preghiera, sforzandosi di dominare la vecchia aspirazione a ottenere da Dio un segno della Sua comprensione. Lesse libri di pratica religiosa e provò a seguire certe regole di preghiera e di lettura della Bibbia. Sempre però la sua mente pratica e impaziente saltava righe e periodi, distratta da altri pensieri.
Quasi disperata, concluse che solo la bellezza poteva guarirla: la quieta bellezza della nebbia sulle valli, quella delle cime solitarie, dei cespi fioriti che aveva curato in tutte le case in cui aveva abitato; la bellezza della musica e della poesia, apportatrici di quella pace che tuttavia temeva, perché non era sicura che fosse la bellezza di Dio, non era sicura che, dopo tutto, non si trattasse invece che del semplice soddisfacimento dei bisogni della parte di sé sempre assetata di piaceri, di quella parte che si era sforzata costantemente di dominare. Il Dio che le avevano insegnato a adorare fin dalla nascita era un Dio austero, e in lei non c’era austerità, e non era quella la ricetta che poteva guarirla.
Quando, in maggio, diede alla luce una bambina, capelli bruni e occhi azzurri, non riuscì quasi neppure a sorridere. I giorni si susseguirono ai giorni, e sembrava non riuscisse a rimettersi dopo il parto. Sopraggiunse la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. La figlia del missionario. di Margherita Carbonaro
  4. Opere citate e breve bibliografia
  5. L’ESULE
  6. Nota
  7. I
  8. II
  9. III
  10. IV
  11. Copyright