Sarum
  1. 1,092 pagine
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Dall'era glaciale ai nostri giorni: diecimila anni di episodi privati e avvenimenti storici a Sarum, la regione dell'odierna Salisbury. In un immenso ciclo narrativo, le drammatiche vicende di cinque famiglie che, secolo dopo secolo, intrecciano i loro destini.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
ISBN
9788852049354

NUOVA SARUM

La fondazione

1244

C’era una nuova presenza ora nella valle, nel punto in cui i cinque fiumi confluivano. A un paio di chilometri dalla fortezza, dove il fiume curvava dolcemente, era stata aperta una grande radura e lì, dove prima c’erano solo grandi distese di prati, disseminati di alberi, ora stava lentamente sorgendo un grande insieme di edifici, che occupava parecchi acri.
Era più grande di qualsiasi altra cosa gli abitanti di Sarum avessero mai visto prima. A volte sembrava un’enorme, strana pianta, che si stesse lentamente schiudendo attraverso uno strato di polvere che la copriva come un polline sottile, oppure una gigantesca creatura che emergesse dalla sua crisalide; eppure le sue strade, con le case di legno e malta, e il terreno aperto con l’enorme cattedrale di pietra grigia in costruzione, brulicavano di attività e già si capiva che il suo profilo sarebbe stato solenne e maestoso. Perché questa era la vasta città di New Salisbury.
Non era una collina fortificata, come l’antica città normanna, e nemmeno un borgo semi-fortificato, come le più antiche costruzioni sassoni. Situata in una vallata spaziosa, conteneva ampi spazi aperti, non aveva mura di difesa né mastio del castello. Era costruita solo per la comodità e il commercio.
Per capire come mai sorgesse proprio lì, bisogna tornare un pochino indietro.
Dopo il tormentato regno di re Stefano, l’Inghilterra era stata per lo più in pace. La pace era stata stabilita dal successore di Stefano, suo nipote e figlio dell’imperatrice Matilda: Enrico II. Questi aveva ricevuto dai genitori l’enorme eredità angioina al di là della Manica, perciò, durante il suo lungo regno, governò non solo l’Inghilterra, ma anche la Normandia e larghi tratti della Francia. Le sue guerre vennero combattute fuori dell’Inghilterra, alla quale diede invece pace, e una forte amministrazione, codici legali e la giustizia del re basata sul processo giudiziario. Fu questa un’eredità che né il suo eroico ma spesso assente figliolo, Riccardo Cuor di Leone, né il suo sfortunato figlio minore, Giovanni, che perse la maggior parte dell’impero angioino e normanno, riuscirono a distruggere. L’ordine e la pace in Inghilterra vennero spezzati brevemente alla fine del regno di Giovanni con la rivolta dei baroni, che culminò con la capitolazione del re e la stipulazione del patto noto col nome di Magna Charta, e una breve invasione della parte orientale dell’isola da parte del re di Francia. Quando Giovanni morì, subito dopo, furono gli stessi maggiorenti a espellere saggiamente i francesi, a ristabilire la pace e a dare il loro appoggio al figlio di Giovanni, il pio re fanciullo Enrico III.
Con la pace, era arrivata anche la prosperità, una nuova, straordinaria prosperità – la ricchezza dell’Inghilterra medioevale – che favorì il sorgere di nuove splendide cattedrali e imponenti città.
Questa ricchezza si basava su due cose: l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, grazie a una crescita della popolazione, e la pastorizia.
La lana inglese era tra le migliori d’Europa, era abbondante e i mercanti delle Fiandre e dell’Italia, coi loro enormi lanifici, non ne avevano mai abbastanza. Venivano esportate grandi quantità di lana e per la maggior parte del tempo le tasse e il dazio sul consumo interno rimasero molto bassi. Nell’Inghilterra dell’inizio del tredicesimo secolo c’era un enorme sviluppo del capitale.
Erano tempi grassi per quasi tutti i proprietari terrieri.
I maggiorenti erano potenti. Permettevano al re di governare e niente altro. Quando un re come Giovanni si trovava a ricevere dai suoi diritti feudali profitti troppo bassi per pagare le spese straordinarie, come ad esempio le guerre, i maggiorenti si opponevano ai suoi tentativi di rastrellare denaro a ogni occasione. La crisi che portò alla Magna Charta fu il risultato tanto di questa naturale tensione quanto della mancanza di tattica o del comportamento sbagliato di re Giovanni. Il monarca era a corto di fondi perfino per gestire la sua amministrazione.
In parte per quest’ultima ragione e in parte per appagare la vanità feudale dei loro vassalli, i monarchi successivi permisero ai maggiorenti di governare ampi tratti di terreno in vece loro. In questi grandi possedimenti feudali, variamente chiamati onori, baronie o concessioni, era il maggiorente, in qualità di rappresentante del re, ad amministrare le cause di giustizia minori, erano i suoi uomini a raccogliere tasse e ammende; anzi in certe zone lo sceriffo del re non poteva nemmeno mettere piede, a meno che il re non avesse la prova di qualche grave abuso di potere. Per questo regno nel regno, il maggiorente ricompensava il re o col servizio cavalleresco o con tasse prestabilite.
Col passare del tempo e con lo svilupparsi delle corti reali, la portata di queste autorità feudali diminuì; ma erano ancora ambite, non solo perché davano prestigio, ma anche perché gli introiti, sia pure di processi per cause minori, erano ancora estremamente appetibili.
Al tempo di re Giovanni, un terzo delle centene del Wiltshire, ciascuna col suo tribunale e la sua amministrazione, era in mani private. Un secolo dopo, lo erano due terzi. Grandi casate come quella dei Longspée, che per matrimonio era entrata in possesso delle tenute della contea di Salisbury, o altre famiglie, come i Peverel, i Pavely e i Giffard, avevano tutte possedimenti feudali privati.
E tra i maggiorenti dotati di maggior potere, c’era la Chiesa stessa. Gli abati di Glastonbury, Malmesbury e Wilton, i priori di St. Swithuns a Winchester e della vicina Amesbury, e ovviamente il vescovo di Salisbury, avevano tutti centene private in questa contea.
Pagavano al re un affitto per questi privilegi, ma i profitti erano tutti loro.
E uno dei possedimenti più redditizi che potesse avere in quei tempi di grandi cambiamenti un maggiorente nel proprio dominio era una città.
C’erano gli affitti delle case, i proventi della corte di giustizia, i pedaggi e i dazi sulle merci importate. Il valore della franchigia di una città era notevole.
In questo nuovo clima di pace e prosperità che regnava in Inghilterra, le occasioni per fondare nuove città sembravano nascere ogni giorno. Nell’ultimo periodo del secolo precedente, il vescovo di Winchester ne aveva fondate un certo numero, ciascuna delle quali rendeva un buon profitto alla sua diocesi. Era naturale quindi che il vescovo di Salisbury volesse fare altrettanto.
Aveva una scusa perfetta, o meglio un’intera lista di scuse. L’ubicazione della vecchia cattedrale era poco soddisfacente. La piccola collina fortificata, coi suoi sobborghi sparpagliati, era ventosa e mal rifornita d’acqua; il bianco scintillante dei suoi fianchi gessosi feriva gli occhi; i preti della cattedrale dovevano dividere quello spazio limitato con la guarnigione militare del re, che a volte arrivava perfino a interrompere la celebrazione dei servizi sacri. Ma a sud della collina, nel punto in cui i cinque fiumi confluivano, c’erano ampie distese di prati, note col nome di Myrifields. Laggiù c’era solo la piccola parrocchia di St. Martin. E quel pezzo di terra, ampio e ben irrigato, apparteneva già alla diocesi.
Nell’anno del Signore 1218, il vescovo Poore, il secondo di due fratelli ricchi e potenti a diventare vescovo di Sarum, ottenne il permesso dal papa e dal pio re fanciullo Enrico III di spostare la cattedrale in un altro luogo più acconcio, cioè nelle praterie sottostanti. E naturalmente ottenne anche il consenso a fondare una nuova città accanto alla cattedrale.
La nuova città era tipica delle più grandi fondazioni del tempo. Per quasi un secolo in tutta l’Inghilterra, nuove città-mercato erano state progettate secondo sofisticati schemi geometrici. Alcune erano cuneiformi, altre semicircolari; ma le più grandi, come New Salisbury, solitamente erano tracciate su una griglia ad angoli retti. Era dal tempo dei Romani, un migliaio di anni prima, che non si vedeva sull’isola un progetto urbanistico così avanzato.
La nuova città del vescovo sorgeva alla dolce ansa del fiume Avon, che scendeva dal nord e scorreva intorno ai lati occidentale e meridionale della città come un braccio che la cingesse. Consisteva di due zone. Una era il circondario della cattedrale, il recinto, un’ampia distesa di terreno aperto, in cui sarebbe sorta la nuova cattedrale, intorno alla quale sarebbero state costruite le abitazioni dei preti. L’altra zona era la città-mercato, con la sua rete rettangolare di strade e in mezzo un’enorme piazza.
Le due zone avevano due diverse funzioni: una spirituale, l’altra commerciale. E insieme, chiesa e preti, mercato e commercianti, appartenevano al vescovo, armi e bagagli. Perché la città era una concessione feudale e, in base al privilegio ottenuto nel 1227, il vescovo di Salisbury ne era l’indiscusso signore feudale.
Era una calda giornata di luglio. Il gruppetto di operai lavorava di malavoglia.
In particolare, un ragazzotto basso e tarchiato sui tredici anni, con un testone troppo grosso per il suo corpo, mani piccole e tozze e due seri occhi grigi, pur lavorando sotto la sorveglianza del severo canonico della cattedrale, non poteva fare a meno di gettare ogni tanto ansiose occhiate lungo la via.
Perché nella valle, a nord della città, all’insaputa del canonico, alcuni uomini, fra i quali Godefroi e Shockley, si stavano riunendo e presto, se l’incontro avesse avuto successo, sarebbero venuti a dargli la possibilità di sottrarsi a quell’ingrata fatica.
Il ragazzo continuava ad alzare speranzoso lo sguardo dal proprio lavoro. Era una fatica da spezzare la schiena e il ragazzo la detestava. Dio, quanto desiderava cambiare vita!
Il canonico Stephen Portehors lo fissava freddamente.
Di tutta la gente di Sarum, nessuno era più insignificante, nessuno era più privo di importanza, del giovane Osmund il mason, lo scalpellino. Osmund lo sapeva benissimo, visto che il canonico non si faceva scrupolo di ripeterglielo.
«All occhio di Dio, mio caro Osmund, tu non sei più grande di un granello di polvere» gli aveva spiegato il prete. «Ma ricordati» aveva aggiunto minacciosamente, «Lui vede tutto quello che fai, perché nemmeno un granello di polvere può sfuggire allo sguardo del Padre. Lui vede tutti i tuoi peccati.»
Ora il canonico lo stava chiamando con un cenno. E Osmund sapeva perché: aveva peccato.
Osmund aveva l’impressione che dovunque guardasse non ci fosse che polvere.
C’era un alone scintillante di polvere intorno al complesso della cattedrale in costruzione, che si profilava a un centinaio di metri verso sud. C’era polvere sul grande spiazzo del recinto, una zona di duecento acri intorno alla cattedrale, che si stendeva dal grande fossato di cinta a est, fino al fiume. C’era polvere sui mucchi di pietra Chilmark grigia intorno all’area di costruzione, sabbia sui carri, sabbia sulle assi, sulle impalcature, sui rotoli di corda e sui mucchi di macerie, che servivano per riempire i muri; polvere su tutti i vasti appezzamenti di terreno, sui quali stavano sorgendo le abitazioni di pietra dei preti, coi giardini sul retro, che si affacciavano sull’ampia curva del fiume Avon; e polvere perfino sul fiume; polvere sulle lunghe alghe fluviali che ondeggiavano lentamente nella corrente. I cigni, che si spostavano col loro misterioso e lento movimento, oltre le sponde verdi, erano anch’essi grigi di polvere. C’era polvere sui prati paludosi che si stendevano oltre i villaggi di Fisherton e Bemerton, fino a Wilton. Su tutta la scacchiera quasi finita della nuova città, accanto al circondario della cattedrale, c’era polvere che veniva dalle case di canniccio e malta.
C’era polvere, come una coltre grigio chiara, Osmund poteva vederla, anche sul nero e semideserto mastio del castello sul poggio. Sui pendii, sull’altipiano, dovunque arrivasse il vento del Sud, b...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa. Trent’anni dopo
  4. Prefazione
  5. Sarum
  6. VECCHIA SARUM
  7. NUOVA SARUM
  8. Ringraziamenti
  9. Copyright