Il cavallo Tripoli
eBook - ePub

Il cavallo Tripoli

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

È la tarda estate del 1918, tra gli ultimi contraccolpi di Caporetto e i primi segnali della riscossa italiana. Nell'entroterra istriano, a Semedella, l'esercito austriaco ha occupato la villa degli Amidei, dove il giovane Paolo con sua madre attende di iniziare il ginnasio mentre gli uomini di casa, italiani irredentisti, sono dispersi in clandestinità. In quest'atmosfera sospesa, nell'Eden profanato dell'antica dimora, il ragazzo vive la propria inconsapevole scoperta della vita, dei rapporti tra i sessi, delle gerarchie del potere. Simbolo di tutte le sue aspirazioni è Tripoli, il più bello tra i cavalli di cui l'esercito imperiale va disfacendosi, che rappresenterà per Paolo la libertà, la lotta col mondo, e con essa l'addio all'età dell'incoscienza.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il cavallo Tripoli di Pier Antonio Quarantotti Gambini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Letteratura storica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2022
ISBN
9788835714477

XLV

Quando il croato rientrò con la carrozza, Paolo era ancora sotto la tettoia della stazione. Stava seduto in un angolo, con le mani penzoloni sulle ginocchia, e guardava sull’acqua delle saline.
Le sue palpebre erano dilatate, immobilmente, e le iridi, che apparivano slargate, erano ferme anch’esse, fisse.
Stava lì, abbandonato e fermo; e sentiva soltanto un tepore, che lo invadeva dalle orecchie agli alluci: e provava meraviglia, a tratti: meraviglia per quello ch’era successo, per tutto ciò che aveva fatto.
La carrozza si avvicinava rapidamente (perché correva in quel modo? perché il croato frustava i cavalli?); era già a metà ponte.
Paolo la guardò due o tre volte, ma senza riscuotersi. Vedeva quei cavalli che muovevano rapidi le zampe, come incalzati da qualcosa d’invisibile, e quella figura a cassetta, un po’ curva in avanti, e quelle ruote che sollevavano mulinelli di polvere; li vedeva dinanzi a sé, eppure distaccati, lontani.
Il suo pensiero – man mano ch’egli rinveniva – correva altrove. E Tripoli? Sentì ripalpitare il cuore. Col viso inondato di lacrime, lo aveva rincorso sino al cancello, per frustarlo di nuovo ed esortarlo con la voce a fuggire, semmai si fosse fermato. Ma non era occorso nulla. Giunto ai piloni, Tripoli si era arrestato con uno scarto, aveva rizzato di nuovo il muso come a fiutare il vento, aveva alzato un breve nitrito (meno: era stato poco più di un fremito, propagatosi dal corpo alle froge); poi, con un altro scarto, sbandandosi tutto, si era voltato a destra, dalla parte della stazione e del buffet; ripartiva al galoppo.
Al cancello, Paolo si era fermato stravolto ansante. Aveva guardato verso la strada della colonna, quella che Tripoli aveva imboccata tra le saline e il dolce declivio di Semedelletta e di Barban; aveva veduto, nel sole mattutino, un ultimo balenio bianco; e là in fondo, alla svolta sotto lo sperone della collina, era rimasta soltanto una nuvola di polvere, che la brezza portava in alto sui campi, tra le vigne spoglie e gli ulivi.
«Addio, Tripoli! Sparisci, e resta per sempre mio!»
Lento, e come esaurito, svuotato, con quel sapore di vino amaro che gli risaliva ogni tanto in gola, si era poi diretto verso la stazione; era andato sotto la tettoia, in quell’angolo, e lì era rimasto.
C’era silenzio, nella campagna, lì e dappertutto. Si udivano soltanto cinguettii di uccelli, lì vicino sui pioppi del prato (era come un unico cinguettio, innumerevole, folto); e qualche abbaio lontano.
Non una voce. Dov’erano Momi, Lucia, e le donne vecchie, e tutti gli altri?
Paolo si accorgeva di quel silenzio, e non se ne domandava la ragione; era piacevole anch’esso, come quel tepore che lo invadeva, e come quella meraviglia, quasi quell’incredulità per ciò ch’era accaduto.
Doveva essere ormai il mattino tardo; e tuttavia nessuno era fuori, per le strade e sui campi. Anche lì alla stazione, Gigia isolana e le sue figliole non si vedevano; ma Paolo, a tratti, udiva un brusio – al di là dei suoi pensieri, sovrapposti, rotti – oltre lo sportello da cui l’isolana soleva vendere i biglietti. Dovevano esservi parecchie persone, lì dentro; non soltanto l’isolana e le sue figlie; quasi stesse per scoppiare un temporale, dopo quella calma, e si fossero ricoverati.
E i militari con le mitragliatrici? Erano sempre sul ponte. Prima – accovacciati o addirittura distesi col volto contro terra, quasi fosse notte – non li si scorgeva; ma ora, via via che il croato passava frustando i cavalli, si scuotevano, si ergevano. In ogni gruppo, intorno a ogni mitragliatrice, c’era un brulichio grigio. E più in fondo, all’inizio del ponte dalla parte della città, tutti erano già in piedi. La pariglia, sfiorandoli a un trotto serrato, con un rotolio quasi rovinoso di ruote, li faceva balzare su.
Era soltanto a causa di quel fragore che si alzavano? No, si udiva anche la voce del croato. Correndo in quel modo, egli urlava qualcosa.
Quando la carrozza attraversò il passaggio a livello, senza rallentare, quasi con uno schianto, Paolo si accorse ch’egli non aveva più il cappello verde; doveva essergli volato via nella corsa; e vide che sul sedile di dietro era accomodato un signore corpulento, grande, e calvo e barbuto. Chi poteva essere? (Egli fece a Paolo, come tutti gli uomini con la barba, un’impressione curiosa. Da quando, dopo una festa a Trieste, d’inverno, aveva veduto il signore che aveva fatto da san Nicolò togliersi infine la barba bianca, strapparsela via e mostrare un viso liscio, tutto raso, aveva l’impressione che le grandi barbe fossero sempre posticce, attaccate con la colla, e cercava di scoprire, di sotto, il vero volto di chi le portava.)
Chi era quel signore? E perché veniva a Semedella, e perché il croato sferzava i cavalli facendoli correre in quel modo? (Si udiva un fragore ancora più alto, adesso, su per lo stradone.)
Non stette a domandarselo. Vide quei crocchi di soldati ritti in piedi qua e là sul ponte guardare tutti verso Capodistria, indicandosi qualcosa in alto nell’aria.
Guardò anche lui in quella direzione. Un grande tricolore italiano sventolava sopra la città, in cima al campanile del duomo.
“La bandiera mia è stata la prima!” pensò balzando in piedi; e corse al passaggio a livello, a guardare indietro, verso la casa, se si vedesse sventolare il tricolore al pino più alto del boschetto.
Si vedeva, e come!
Allorché tornò a voltarsi verso la città non erano passati che pochi momenti, e altre bandiere italiane – una seconda, una terza – già cominciavano ad apparire alle finestre.
«Vuoi?» gli era accanto Marietta, che non capì da dove sbucasse, e gli offriva una pannocchia lessa. L’afferrò e prese ad addentarla; e gli piacque (si accorse di avere quasi fame), sebbene fosse già fredda e senza sale.
«Hai visto?» domandò con la bocca piena. «Hai…»
Marietta era sparita. Egli si voltò: e la vide che stava imboccando il cancello e correva su per lo stradone urlando qualcosa.
Lo riscosse un clamore che andava crescendo. Guardò là in fondo oltre il ponte. Tra le barche del mandracchio e le case della riva qualcosa si muoveva. Era un altro tricolore. Qualcuno lo agitava, e dietro c’era gente; un addensarsi che andava crescendo come quel clamore.
Di lì a poco, mentre Paolo, con la pannocchia in mano, stentava ancora a credere e non sapeva se correre ad avvertire la mamma e il papà o se andare in città, si udì come un crepitio lieve, lontano: uno scroscio di applausi. Un tricolore veniva issato all’asta di poppa di uno dei vaporetti bianchi di Trieste, ch’era ormeggiato tra il molo delle galere e il molo di legno.
Poi la bandiera si mosse di nuovo in testa alla folla, che, con quell’accorrere da ogni parte, ingrossava sempre più. Imboccavano il ponte, venivano a Semedella; giungeva sempre più spesso qualche grido di evviva, fievole così lontano, e tuttavia vibrante; e quel clamore si faceva, subito dopo, ancora più alto.
Paolo si mise a correre. Andava incontro al corteo, e a un tratto si accorse di avere sempre il torsolo in mano. Lo stringeva, quasi non dovesse perderlo.
Laggiù, davanti a lui, andava crescendo un romorio come di torrente.
Avvicinandosi, la folla non gridava e non inneggiava più; cantava.
Era una canzone che Paolo aveva udita qualche volta in casa, canticchiata sottovoce:
All’armi! All’armi! Ondeggiano
le insegne gialle e nere.
Fuoco, per Dio, sui barbari,
sulle tedesche schiere.
Cominciò finalmente a distinguere le persone che avanzavano in testa alla folla. C’era – era possibile? – anche un bambino; lì, davanti a tutti. E c’era un signore vestito di chiaro, con il cappello grigio, che cantando alzava in aria il bastone, e lo agitava, lo riabbassava e tornava ad alzarlo.
Al Dio dei forti osanna,
egli urlava col collo gonfio
la baionetta in canna,
è giunta l’ora di pugnar!
Era l’avvocato Tomaso.
Paolo si buttò nel corteo, cercando di restare anch’egli in testa; e soltanto adesso, tornando a Semedella, si accorse che anche in campagna tutti stavano uscendo. Davanti alla stazione c’era un crocchio: l’isolana con le figlie, e altri. E un altro gruppo, folto, si addensava al cancello, e un altro all’angolo della chiesetta, tra il prato e la strada di Isola. E altra gente correva giù dalle strade del monte.
Paolo gettò finalmente il torsolo in acqua; e lo stupirono le facce stordite, quasi senza espressione, e insonnolite, stanche, dei soldati fermi qua e là sul ponte accanto alle mitragliatrici. Voltate le spalle al mare, verso il quale stavano ancora puntate le mitragliatrici, guardavano passare il corteo ritti in piedi quasi per fargli ala: inerti e senza parole, con le mani ciondolanti come le baionette appese ai cinturoni dalla grande aquila di ottone.
Paolo guardava agli alberi del boschetto, e sussultava felice ogni qual volta la brezza spiegava e faceva sventolare la bandiera in cima al pino. Si crucciava soltanto di averla annodata alla rovescia, col rosso al posto del verde; e sperava tuttavia che quello fosse il modo giusto. Chi sa che non sbagliassero gli altri.
A un tratto gli parve che anche sul terrapieno davanti casa ci fosse gente, forse Edith e Paula e il croato; alcune figure che subito dileguarono.
Qualcuno lo urtò, lo spinse; rimase indietro, e si mise a correre infilandosi tra l’uno e l’altro.
L’avvocato Tomaso marciava sempre in testa, accanto al ragazzo che portava la bandiera. E, a fianco di essa, dall’altra parte, chi era quel bambino che adesso veniva alzato sulle spalle da due giovani, quasi in trionfo?
«Viva il figlio del martire!» gridò uno, e la faccia gli si gonfiò, parve che gli occhi gli sprizzassero.
«Viva!» scoppiò la folla.
«E a morte Francesco Giuseppe!»
«A morte!»
“Come?” si domandò Paolo, riprendendo a correre per non restare indietro. “Francesco Giuseppe, l’imperatore vecchio, non è già morto?”
Non lasciava più con gli occhi il bambino, che sussultava sulle spalle dei due giovani.
«Magnara!» chiamò all’improvviso. Si era fatto rosso in volto. «Magnara! Magnara!» Ma la sua voce si perse nel clamore.
«Ahi!» sobbalzò e si voltò di scatto, e si prese un piede nella mano, saltellando sull’altro. L’avvocato ridacchiò; era lui che lo aveva salutato in quel modo, con un colpetto del bastone sullo stinco. Sfregandosi il collo del piede e zoppicando, Paolo si sforzò di ridere anche lui.
Stavano giungendo a Semedella, e la bandiera, là in testa, sventolava e schioccava al vento.
Traendosi fuori dal corteo per vedere davanti, Paolo portò di nuovo gli occhi alla casa, e vide che porte e finestre erano sbarrate. “E mamma e papà?” si domandò. “Sono rimasti dentro?” E si sentì rimordere di non essere corso ad avvertirli.
Giunti al passaggio a livello, molti rallentarono; ci fu un’incertezza, uno sbandamento, mentre gli altri, di dietro, sospingevano, sopraggiungendo a ondate. «Cosa succede?» si udiva; e il clamore si abbassò, riprese qua e là, finché ci fu silenzio. E allora si levò la voce dell’avvocato Tomaso, che aveva alzato anche le braccia come a esortare tutti.
Non deporrem la spada
sin che sia schiavo un angolo
dell’itala contrada!
Egli cantava con più impeto di prima, tornando ad...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. di Massimo Raffaeli
  4. Riferimenti bibliografici
  5. Nota al testo
  6. IL CAVALLO TRIPOLI
  7. I
  8. II
  9. III
  10. IV
  11. V
  12. VI
  13. VII
  14. VIII
  15. IX
  16. X
  17. XI
  18. XII
  19. XIII
  20. XIV
  21. XV
  22. XVI
  23. XVII
  24. XVIII
  25. XIX
  26. XX
  27. XXI
  28. XXII
  29. XXIII
  30. XXIV
  31. XXV
  32. XXVI
  33. XXVII
  34. XXVIII
  35. XXIX
  36. XXX
  37. XXXI
  38. XXXII
  39. XXXIII
  40. XXXIV
  41. XXXV
  42. XXXVI
  43. XXXVII
  44. XXXVIII
  45. XXXIX
  46. XL
  47. XLI
  48. XLII
  49. XLIII
  50. XLIV
  51. XLV
  52. XLVI
  53. Copyright