False partenze - Letteratura e salti mortali - Il sentimento della letteratura
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False partenze - Letteratura e salti mortali - Il sentimento della letteratura

  1. 322 pagine
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False partenze - Letteratura e salti mortali - Il sentimento della letteratura

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"Nel nostro paese non sono frequenti le autobiografie letterarie" afferma Raffaele La Capria; "forse è considerato sconveniente parlare di se stessi e delle proprie esperienze tra i libri e gli avvenimenti che ci hanno formati; forse l'esame di coscienza che questo tipo di autobiografia quasi sempre comporta non è d'uso da noi praticarlo. Eppure solo così si può recare testimonianza individuale del tempo che abbiamo attraversato." Autobiografie letterarie, sì, ma molto sui generis, sono i tre libri qui raccolti: conversazioni libere con i lettori, riflessioni in tono colloquiale su questioni come: che cos'è la letteratura? perché esiste? perché ci è ancora necessaria? Perché, sostiene La Capria, "la letteratura è la nostra memoria... la memoria di ciò che gli uomini da oggi e fino a Omero e prima di Omero hanno sentito, sognato, immaginato".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
ISBN
9788852090103

IL SENTIMENTO DELLA LETTERATURA

A Silvio

LA MEMORIA, LA TRADIZIONE E LO SPIRITO DEL TEMPO

Che cos’è la letteratura? A che serve? Quante volte mi sono sentito rivolgere queste domande, in tono ora perentorio ora sbrigativo, da un giovane appena agli inizi delle sue letture, e già pieno di curiosità per quel mondo che la letteratura dischiude all’immaginazione.
Mi sono sempre sforzato di rispondere, come faccio ora, il più semplicemente possibile, cercando di far capire che, comunque, che cos’è e a che serve la letteratura, è cosa che s’impara da soli, col tempo, e nessuno può insegnarcelo.
«Ho consacrato la mia vita alla letteratura» disse Borges qualche giorno prima di morire «ma non sono sicuro di conoscerla; non mi azzarderei a darne una definizione, poiché per me essa rimane sempre segreta e mutevole in ciascuna delle righe che accolgo e che scrivo.»
E tuttavia per non sottrarmi alle domande di quel giovane gli dicevo: Prova a immaginare cosa accadrebbe se tu perdessi all’improvviso la memoria, la memoria del tuo passato. Se mai questo dovesse accaderti tu non sapresti nemmeno chi sei, piomberesti in uno stato di confusione mentale, in un vuoto senza alcun punto di riferimento molto simile alla pazzia. Casi del genere sono frequenti, basta leggere i giornali. Per sapere chi siamo è necessario sapere chi siamo stati, e questa memoria ci serve per mantenere la nostra identità.
La letteratura è la nostra memoria, una memoria che ci riguarda tutti, individuale e collettiva. Ma che tipo di memoria è? Non la memoria di fatti accaduti, battaglie, paci e guerre – quelli ce li racconta la Storia – ma la memoria di ciò che gli uomini da oggi e fino a Omero e prima di Omero hanno sentito, sognato, immaginato. La memoria delle loro passioni e delle loro emozioni, la memoria di ciò che hanno amato, patito, sperato nel corso della loro vita e nel loro tempo, del significato che vi hanno attribuito, e soprattutto del linguaggio con cui lo hanno espresso e tramandato fino a noi. Solo attraverso questa memoria che si è fatta letteratura noi riusciamo a stabilire un rapporto col mondo immaginario degli uomini che ci hanno preceduto, con la loro fantasia e i loro più riposti pensieri, e solo così sappiamo intimamente chi siamo.
Non ci basta sapere, come dice la storia, che Troia fu assediata per dieci anni e poi distrutta dai greci. Ci interessano di più le passioni degli eroi che combatterono sotto le sue mura. L’ira di Achille, la virtù di Ettore, l’astuzia di Ulisse. E questo lo dice la letteratura. C’è perfino chi sostiene che la guerra di Troia è avvenuta soltanto quando Omero l’ha cantata o, addirittura, “perché Omero la cantasse” nei suoi versi.
Cesare fu ucciso da Bruto, Cassio e gli altri congiurati sotto la statua di Pompeo, con ventidue pugnalate. Questa è la Storia. Cosa passò nella mente di Cesare quando vide lampeggiare i pugnali, quali erano i sentimenti di Bruto mentre trafiggeva l’amico, quali rimorsi assalirono lui e Cassio dopo, con quali parole Antonio incitò l’animo dei romani alla rivolta, questo è la letteratura, è la potente immaginazione di Shakespeare a farcelo rivivere. E così Napoleone fu sconfitto nella battaglia di Waterloo, è Storia; cosa vuol dire trovarsi in una battaglia di quella portata senza nemmeno accorgersi di quello che avviene, di chi è il vinto e chi il vincitore, è Fabrizio del Dongo a dircelo nelle pagine iniziali della Certosa di Parma: e questa è letteratura.
Come si tramanda la memoria che ci trasmette la letteratura? Come arriva fino a noi? Essa ci arriva attraverso la tradizione.
La tradizione è quel legame, quella catena, quell’albero genealogico, che unisce tutte le opere che sono state scritte, in lingua o in dialetto; o solo narrate a viva voce, come facevano gli aedi di un tempo, e ancor oggi i cantastorie.
Dall’Ulisse dell’Odissea all’Ulisse di Joyce questa tradizione corre ininterrotta perché l’uomo mai ha cessato di esprimere col linguaggio il suo mondo immaginario, i suoi sogni, i suoi sentimenti.
Io credo che nessuno scrittore, anche se lo volesse potrebbe mai mettersi al di fuori di questa tradizione. Uno scrittore può essere completamente nuovo, rispetto al passato, solo se si confronta con la tradizione. Può opporsi del tutto alla tradizione e magari fraintenderla, ma solo perché la conosce, la sente e la vive nel presente. Se non la conoscesse e non ne fosse portatore in uno dei tanti modi possibili e anche inconsapevoli, la sua novità e la sua diversità sarebbero casuali e gratuite, lascerebbero il tempo che trovano e non avrebbero alcun valore. Ogni rivoluzione artistica, anche quelle che presuppongono il rigetto totale della tradizione (come ad esempio il futurismo) deve insomma sempre fare i conti con la tradizione.
La tradizione è un’eredità che ci viene trasmessa per molteplici e diverse vie, alcune a noi ignote; non solo attraverso la lingua che per prima imparammo a parlare, ma anche attraverso le forme dell’arte, gli oggetti d’uso comune, l’aspetto dei paesi o delle città. Il paesaggio toscano, uno scorcio della campagna toscana, per esempio, ci tramandano un ordine e una visione della vita particolari di una determinata civiltà e di una determinata cultura la cui impronta è certo rintracciabile in tanti artisti italiani. Così come il paesaggio mediterraneo, ora omerico ora virgiliano, del golfo di Napoli, si confonde col nome dei due sommi poeti che ad esso si ispirarono e che si può dire lo hanno reso come ci appare.
Avere il senso della tradizione per uno scrittore significa farsi carico della speciale memoria che ci trasmette la letteratura. Significa conoscere le opere del passato o criticarle, combinandole col proprio talento individuale e dando luogo a volte a complicate alchimie. Significa sapere che nessuna parola gli arriva “innocente”, cioè senza portare i sensi e i valori che lungo il suo avventuroso cammino attraverso la tradizione le si sono attaccate addosso. Sapere che anche la parola più comune, per esempio la parola “amore” gli arriva così (non innocente), e che deve perciò trattare anche la parola “amore” con tutte le cautele del caso, deve prendere provvedimenti, preparare difese, organizzare strategie, per non cadere vittima dell’ingannevole innocenza con cui questa e ogni altra parola fatalmente gli si presenta. Se uno scrittore non conquista la tradizione di cui ha bisogno combinandola o intercettandola col proprio talento assimilandola o affrancandosene in modo personale e imprevedibile, è difficile che possa essere veramente originale.
Cosa ci insegna la tradizione e perché è tanto importante?
Ci insegna non solo che noi siamo la continuazione del passato che storicamente ci appartiene, ma anche che il passato si rinnova continuamente nel presente e nella nostra idea del futuro. Dunque la tradizione non è qualcosa di fermo e definito, ma è in continuo movimento e s’identifica col nostro divenire.
Per capire bene questa contemporaneità di passato, presente e futuro, si deve pensare che la tradizione è come un albero: le radici sono affondate nel passato remoto e pre-storico, il tronco è tutta la storia di questo passato, i rami, gli ultimi rami siamo noi, e possiamo fiorire, cioè produrre qualcosa di nuovo e creativo che prima non esisteva soltanto se una qualche linfa da quelle remote radici che affondano nel passato della nostra stirpe, percorrendo il tronco e tutte le ramificazioni dell’albero, arriva fino agli ultimi rametti che si protendono nel cielo del futuro: fino a quei rametti che siamo noi.
Così tutta la letteratura occidentale, dopo Omero, e con essa tutta la letteratura italiana, ha una simultanea esistenza – come ha spiegato T.S. Eliot – e forma un ordine simultaneo. Questo senso della simultaneità è il senso storico, che è insieme il senso del senza tempo e del temporale. Omero per esempio è senza tempo perché oggi lo leggiamo e ci parla ancora col linguaggio eterno della sua poesia; ed è temporale non solo perché è legato al suo tempo e alla forma epica propria del suo tempo, a una visione del mondo e delle passioni umane propria del suo tempo, ma anche perché ogni volta che lo leggiamo noi stabiliamo un rapporto tra il suo tempo e il nostro, tra noi e lui, e in tal modo finiamo per ricrearlo attraverso la nostra cultura e la nostra sensibilità. Così ogni volta che noi leggiamo un poeta del passato, il passato è rinnovato dal presente, cioè si rinnova in noi, e il presente è sostenuto dal passato.
È stato un grande linguista francese, De Saussure, a stabilire la differenza tra langue e parole. La langue è la lingua ricevuta (ereditata) dalla tradizione, con tutti i sensi che porta con sé, di cui possiamo essere consapevoli o inconsapevoli. La parole è invece la parola che noi pronunciamo, la parola del parlante, che arricchisce continuamente la langue di sensi nuovi.
Come si fa ad inventarsi il senso nuovo di una stessa parola?
Questo fa parte di quella cosa ineffabile che è appunto la “creatività” di un artista. Questa creatività è una combinazione particolare di tradizione e talento individuale.
Che cosa avviene quando qualcosa di nuovo vien fuori da questa combinazione straordinaria?
Nasce qualcosa che prima non esisteva: nasce, per fare un esempio, la poesia di D’Annunzio, la musicalità di D’Annunzio, il suo linguaggio, l’idea di bellezza, di forma, di amore che solo D’Annunzio, piaccia o non piaccia, ci ha dato.
Questa novità è come una pennellata che viene aggiunta al quadro della tradizione. Se la tradizione – tutta la tradizione – fosse come un quadro davanti agli occhi del poeta, il poeta aggiungendo a quel quadro la sua pennellata (cioè la sua parole), non solo la modifica nel punto che tocca, ma modifica tutto l’insieme del quadro, l’impressione complessiva del quadro, per cui dopo la sua pennellata l’effetto che fa il quadro è in qualche modo modificato. Con questo voglio dire che ogni artista capace di dire una parola nuova in un linguaggio nuovo (che pur assumendo la tradizione la fa evolvere), non solo è nuovo di per se stesso, ma rinnova e fa mutare tutta la tradizione precedente.
Basta questo a far capire quanto può essere rara la nascita di un simile innovatore e quanto complesso può essere questo incontro tra tradizione e talento individuale che T.S. Eliot meglio di me ha spiegato nel modo che ho detto.
Ora devo chiarire perché la letteratura deve essere solo al servizio di se stessa, e non di una politica o di una ideologia, non al servizio del re né al servizio del popolo, e neppure al servizio dei suoi rappresentanti.
Cosa vuole dire questo? Che la letteratura, soddisfatta della sua autonomia, deve rinchiudersi nelle mura del castello dove solo poche e privilegiate anime belle potranno essere ammesse? No, di certo. Vuol dire invece che essa deve offrire una continua testimonianza di verità. Quale verità? La letteratura deve testimoniare soltanto la verità del nostro tempo, quella che ci fornisce un’immagine del tempo che viviamo, non importa se è un’immagine parziale.
Ma la verità del nostro tempo non è qualche cosa di palese, come i fatti riferiti dal giornale. Essa corre come un fiume sotterraneo sotto le apparenze illusorie del presente. Dunque la storia della letteratura è la storia della continua ricerca della verità (nascosta e invisibile) del proprio tempo, attraverso un linguaggio più forte e resistente di quello che ci serve per parlare e comunicare quotidianamente con gli altri. Questa resistenza del linguaggio, questa capacità di consistere e di durare, sono anche ciò che vi è di bello, la qualità, di un’opera. Anzi direi che la bellezza di un’opera è la forma irripetibile che quell’opera ha assunto nella solitaria ricerca della verità del proprio tempo.
Quando ho detto che non è tanto facile cogliere la verità del proprio tempo, ho dimenticato di aggiungere che questa verità viene continuamente manipolata. Dal Potere, dalle Ideologie, dalle Mode, dai Mezzi di Comunicazione di Massa. Tutte queste manipolazioni, per scopi diversi, cercano di dare quella versione della verità del proprio tempo che a ognuno di questi manipolatori conviene. Questa perenne deformazione della verità si aggiunge alla cortina di apparenze illusorie che sempre ci confonde quando cerchiamo di capire come vanno veramente le cose. E così non si deformano soltanto i fatti che accadono, dandone versioni manipolate, ma si deformano le parole, la costruzione delle frasi, si inventano linguaggi deformati, che deformano i nostri modi di valutare le cose, il nostro modo di esprimerci, le nostre idee, i nostri gusti. Basta pensare ai linguaggi delle ideologie, che hanno dominato in questi ultimi decenni, ai linguaggi iperconcettuali, a quelli burocratici, politici, televisivi, pubblicitari, per capire come è importante per uno scrittore difendere la lingua e resistere a tutto questo in modo da scoprire la propria voce, e con essa recare testimonianza del proprio tempo.
In questo impegno nei confronti di un linguaggio non deformato e capace di testimoniare lo spirito del tempo, è il vero impegno della letteratura, la sua nobiltà, la sua funzione essenziale, la sua ragion d’essere.

IL POETA È UN FINGITORE?

Che cos’è la poesia? A che serve? Mi è capitato anche di sentirmi fare dal mio giovane interlocutore, e sempre sullo stesso tono leggermente provocatorio, queste domande a proposito della poesia.
«A che serve?» gli ho risposto in tono altrettanto provocatorio. «A niente. Ma pensa cosa sarebbe il mondo, cosa saresti tu, se non ci fosse la poesia.»
E poiché la risposta mi pareva un po’ vaga ho continuato: «Anche dell’aria come della poesia, uno non si accorge che c’è, ma se all’improvviso mancasse? L’anima non è meno esigente del corpo». E ancora: «Cosa sarebbe la guerra di Troia senza la poesia di Omero? Non più Ettore e Achille, non più eroi dèi e guerrieri, la bellezza fatale di Elena o la devozione di Andromaca, ma solo bruti sanguinari senz’anima, come quelli dei fumetti giapponesi di fantascienza che imperversano in televisione».
Divagazioni? Il fatto è che io non sono un critico né uno studioso di poesia, nulla so di tendenze, correnti, scuole. Sono un lettore puro e semplice, ma quando mi imbatto in un bel verso e lo riconosco, mi sento pieno di gratitudine come per un dono ricevuto. E poi oggi è difficile essere un intenditore di poesia. Prima c’erano tante etichette che in qualche modo aiutavano a parlarne, ma ora, non c’è più il crepuscolarismo, l’ermetismo, l’orfismo, il surrealismo e nemmeno lo sperimentalismo, nessun poeta più si riconoscerebbe sotto una di queste definizioni. E ciò vale, non solo per la poesia, ma per ogni altra forma di creazione artistica, ogni poeta oggi si esprime come gli pare, al di fuori di ogni regola o possibile classificazione, potendo essere nello stesso tempo più cose senza riconoscersi in alcuna. Tutto ciò dà un senso di estrema libertà e richiede però una estrema creatività, apre spazi infiniti ma anche un pauroso senso di vertigine, come accade a chi cammina su un filo sopra un abisso senza nessuna rete di protezione. Tale è la condizione del poeta oggi.
E così, ci dice Ungaretti, «c’è chi in pausati monologhi si decifra crudelmente nelle oscurità della sua coscienza e c’è chi preferisce astrarsi in improvvise calde colorazioni nettamente oggettivate; c’è chi cercandosi nel suo segreto cerca di trovare ed esprimere, secondo attualità, il grido di tutti; c’è chi vuole da tutti distinguersi, rif...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. FALSE PARTENZE
  4. False partenze
  5. Intermezzo ’44-47
  6. Il boogie-woogie
  7. L’incontro con Gide
  8. «Sud», giornale di cultura
  9. Gli anni di Moravia
  10. Intervista a Faulkner
  11. LETTERATURA E SALTI MORTALI
  12. IL SENTIMENTO DELLA LETTERATURA
  13. Nota dell’autore
  14. Copyright