Giuro che non avrò più fame
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Giuro che non avrò più fame

L'Italia della Ricostruzione

  1. 264 pagine
  2. Italian
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Giuro che non avrò più fame

L'Italia della Ricostruzione

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Il primo film che le nostre nonne e le nostre madri andarono a vedere dopo la guerra fu Via col vento. Molte si identificarono in una scena: Rossella torna nella sua fattoria, la trova distrutta, e siccome non mangia da giorni strappa una piantina, ne rosicchia le radici, la leva al cielo e grida: «Giuro che non soffrirò mai più la fame!». Quel giuramento collettivo fu ripetuto da milioni di italiane e di italiani. Fu così che settant'anni fa venne ricostruito un Paese distrutto.

Come scrive Aldo Cazzullo, «avevamo 16 milioni di mine inesplose nei campi. Oggi abbiamo in tasca 65 milioni di telefonini, più di uno a testa, record mondiale. Solo un italiano su 50 possedeva un'automobile. Oggi sono 37 milioni, oltre uno su due. Eppure eravamo più felici di adesso». Ora l'Italia è di nuovo un Paese da ricostruire. La lunga crisi ha fatto i danni di una guerra. Per questo dovremmo ritrovare l'energia e la fiducia in noi stessi di cui siamo stati capaci allora.

Cazzullo racconta l'anno-chiave della Ricostruzione, il 1948. Lo scontro del 18 aprile tra democristiani e comunisti. L'attentato a Togliatti e l'insurrezione che seguì. La vittoria al Tour di Bartali e l'era dei campioni poveri: Coppi e il Grande Torino, cui restava un anno di vita. Le figure dei Ricostruttori, da Valletta a Mattei, da Olivetti a Einaudi. Il ruolo fondamentale delle donne, da Lina Merlin, che si batte contro le case chiuse, ad Anna Magnani, che porta al cinema la vita vera. L'epoca della rivista: Wanda Osiris e Totò, Macario e Govi, il giovane Sordi e Nilla Pizzi.

Ma i veri protagonisti del libro sono le nostre madri e i nostri padri. La loro straordinaria capacità di lavorare e anche di tornare a ridere. Il racconto di un tempo in cui a Natale si regalavano i mandarini, ci si spostava in bicicletta, la sera si ascoltava tutti insieme la radio; e intanto si faceva dell'Italia un Paese moderno.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
ISBN
9788852089510
Argomento
Storia

L’ULTIMA PAROLA

Le storie dei lettori
«Sognando la Lambretta»
Mio padre ha contribuito a ricostruire l’Italia nel dopoguerra, non ha compiuto imprese eccezionali, ma ha lavorato tantissimo, come un motore che si è avviato e ha continuato a girare sempre più veloce.
Nato nel 1924 in una famiglia quasi povera, in una casa senza bagno e senza acqua potabile, aveva cominciato a lavorare a quattordici anni, dopo aver frequentato la scuola di avviamento professionale, con impieghi saltuari. Era stato poi assunto come apprendista in un’azienda elettromeccanica di Bergamo e, con tanta voglia di imparare, faceva il «piccolo», come diceva lui, al suo caposquadra. Lavorava sui quadri elettrici industriali che l’azienda produceva, accettando orari senza fine e anche qualche «calcio nel sedere» quando il lavoro non era perfetto, perché nell’apprendere ci voleva anche sacrificio e umiltà.
Eppure la sua voglia di riscatto e la sua curiosità professionale lo hanno portato a diventare un operaio sempre più specializzato e ad accettare le trasferte, prima in Italia e poi all’estero. Non era semplice nel primo dopoguerra avere questa apertura mentale: lui non era disoccupato, avrebbe potuto accontentarsi del lavoro in città. Invece l’orgoglio, la sfida di misurarsi con proposte più impegnative e la prospettiva di uno stipendio più remunerativo per la famiglia lo hanno spinto ad accettare anche il distacco affettivo che ne derivava.
Non è stato sempre facile, ma il lavoro gli ha dato la soddisfazione di potersi permettere prima una bicicletta e poi la Lambretta, il grande sogno, simbolo di libertà e autonomia. Questa voglia di riscatto che ha sempre avuto e che ha condiviso con molti italiani di quel tempo, ha avuto terreno fertile nella speranza, divenuta poi certezza, di una vita migliore per sé, per la famiglia e per la società.
Tiziana Airoldi
«Metteva da parte come una formichina ogni lira»
Che donna la mia mamma!
Era molto bella: alta, formosa, gambe perfette, occhi scuri, sguardo intelligente. Durante il periodo della guerra, sfollata con la famiglia in una fattoria, benché giovanissima, aveva avuto diversi pretendenti, buoni partiti, ricchi o istruiti, assai ambiti, tra i quali un farmacista e il figlio del fattore. La mamma però era già innamorata di Rosteno, un giovane compaesano alto, biondo e con gli occhi azzurri, che poi è diventato mio padre.
All’inizio era tutto rose e fiori, ma, si sa, l’amore è travolgente e anche ingannevole. Il babbo possedeva una conceria e il cuoio era richiesto, purtroppo però un investimento sbagliato li ha condotti al fallimento e si sono trovati poveri in canna.
E così la mia dolce mamma è diventata dura come una pietra. Il suo lavoro di aggiuntatrice a domicilio, che già occupava tante ore della sua giornata, è stato un’occasione di riscatto, di affermazione della propria autonomia. Aggiuntava per tutto il giorno in una stanza al secondo piano senza riscaldamento, perché comprare una stufa e mantenerla con la legna o il carbone costava troppo. Risparmiava su tutto e indossava sempre i soliti vestiti, magari aggiustati dalla sorella che sapeva cucire. Le sue mani svelte hanno cucito scarpe in vacchetta per i pastori sardi, altre su misura per piedi malformati e, soprattutto, stivali per le donne. Centinaia e centinaia di donne sono state alla moda grazie al suo lavoro. Era talmente brava che le facevano cucire i campioni per le fiere di Bologna e Milano.
Le ore di sonno erano ridotte al minimo, mai una vacanza o un giorno di ferie. Spesso doveva lavorare in nero, a prezzi da fame, ma poi è stata assicurata, o così sembrava, poiché, quando è andata a ricercare i versamenti per avere la pensione, ne ha trovati ben pochi: non si sa chi glieli abbia rubati, se il padrone o l’incaricato che li doveva registrare!
Ma lei non s’intendeva di diritti sindacali e nel dopoguerra non c’era ancora coscienza di ciò per le donne. Metteva da parte come una formichina ogni lira e, giorno dopo giorno, ha accumulato il suo gruzzolo senza aver bisogno del marito, diventando autonoma nell’esercizio finanziario e nel pensiero, in questo anticipando le donne contemporanee.
Non si lamentava mai, ma le sue mani parlavano per lei: geloni e calli erano testimonianza di una vita di sacrifici. Grazie mamma!
Antonella Bertini
«Fonso, il tenditore di fili»
Bassa friulana, Visco. Mio nonno Alfonso «Fonso» Simeon, classe 1910, è il penultimo figlio di undici. Sua madre, Fiorinda, lavora giovanissima nelle piantagioni di caffè in Brasile e lì sposa Giacomo.
La loro è una grande famiglia patriarcale che, ricongiunta qui in Friuli, si ritrova poca terra da lavorare, una casa da riscattare e tante bocche da sfamare.
Quando mia nonna Norma, nel 1938, resta incinta del quarto figlio, Fonso parte per la Germania per andare a fare il bracciante. Va a raccogliere patate – «gjavà patatis», come diceva lui – ma è là che vede per la prima volta la macchina «pa fa’ la ret», per fare la rete da recinzione.
Tornato a casa, la ricostruisce pezzo per pezzo. La struttura inizialmente è essenziale: il filo metallico si srotola, passa attraverso un tubo, che poi viene piegato ritmicamente con un meccanismo manuale. Non essendoci il motore per tendere il filo, Fonso prende una vacca dalla stalla e le fa tirare i lunghi fili, facendola andare avanti e indietro, fino alla piazza del paese. Intreccia metri di rete, ripiega le estremità solo con le dita, poi la arrotola e la sistema sotto il portico.
Tutta la famiglia, oltre al lavoro nei campi e alle bestie, contribuisce a questa nuova attività, c’è una grande richiesta di rete da recinzione e Fonso comincia a venderne chilometri, fino a installare sulla macchina un motore. Gli affari decollano e con i figli apre una piccola officina: tutta la famiglia è messa all’opera.
Quando il figlio maggiore Franco conclude, con sacrifici enormi, le scuole serali, è lui ad avviare la costruzione di strutture metalliche per reggere i capannoni: così l’officina s’ingrandisce e vengono assunti anche degli operai. Gli affari vanno a gonfie vele, ma la famiglia Simeon continua il lavoro nei campi che porta avanti da decenni, l’allevamento di maiali e vacche, perfino di bachi da seta.
Quando mio nonno va in pensione, l’attività dell’officina ha preso il volo: l’ha ampliata mio zio Franco e ora la portano avanti i miei cugini Laura e Marco.
Tiziana Perini
Ricostruire Firenze
I Vivaldi erano, fin dal 1880, titolari di un’importante oreficeria sul Lungarno Acciaiuoli, a Firenze, la cui clientela era sparsa in tutto il mondo. Questa aveva rappresentato un significativo polmone finanziario per la famiglia, che, dopo il fallimento delle industrie cartarie precedentemente gestite, si era ricostruita un patrimonio di tutto rispetto, del quale facevano parte sia immobili a reddito, sia edifici di grande pregio, come un terzo della storica Torre dei Consorti, prospiciente il Ponte Vecchio. Nel 1940, all’inizio della guerra, mio nonno Carlo si vide costretto a sospendere l’attività orafa per la cessazione del flusso turistico, da cui gli affari dipendevano. Nell’agosto 1944 i tedeschi in ritirata fecero saltare tutti i ponti sull’Arno, escluso il Ponte Vecchio, intorno al quale vennero però accumulate macerie a suon di mine. I nostri principali immobili si trovavano proprio in quella zona e vennero quindi distrutti o gravemente danneggiati.
Mio padre Bruno, dopo la morte di mio nonno nel 1944, ereditò una situazione davvero drammatica e in apparenza irrecuperabile. Azzerato l’utile aziendale, non percependo introiti dalle locazioni e con due terzi del patrimonio distrutti, poteva contare unicamente sulla sua professione di dottore commercialista. Nel frattempo si era sposato e nel 1946 ero nato io, così si mise all’opera con una volontà quasi sovrumana, in vista della ricostruzione. Lavorava 16 ore al giorno, compreso il sabato, anche in qualità di amministratore o sindaco di società importantissime come la Magona d’Italia, il Pignone, la Società delle Ferrovie Meridionali, la tranvia Lucca-Pescia-Monsummano e altre. In questo modo riuscì a riaprire, nel 1948, l’azienda orafa.
A parte le inevitabili ristrettezze, alla famiglia non fece mai mancare nulla, nemmeno le vacanze al mare e in campagna per me e mia madre, sebbene ci raggiungesse soltanto nella settimana di Ferragosto. In quel periodo, che ricordo come il più bello della mia vita, l’atmosfera in casa appariva serena e piena di ottimismo, fra l’osservanza puntuale delle pratiche religiose, le ricorrenze festive e i piccoli ricevimenti di bambini. Malgrado i molti sacrifici, ci aspettavamo un futuro decisamente migliore del passato e del presente.
Nel 1958 la ricostruzione dell’economia familiare poteva dirsi ultimata. Mio padre, però, pagò un altissimo scotto allo sforzo compiuto, ammalandosi di una grave patologia cardiovascolare, a causa della quale morì nel 1960.
Nello stesso periodo mio zio, Vieri Paoletti, marito della sorella di mio padre, Annamaria, amministratore delegato e comproprietario della storica casa editrice fiorentina Felice Le Monnier, danneggiata e ferma nel periodo bellico, ne riavviava con pieno successo l’attività. Tale azienda si qualificò subito sul piano nazionale per aver pubblicato molti autori di grande rilievo, fra i quali Giovanni Spadolini, a lungo presidente del suo comitato scientifico. Nel 1959 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi giunse a Firenze per inaugurare i nuovi stabilimenti tipografici della casa editrice, in via Scipione Ammirato. Il primo numero del quotidiano «La Nazione» comparso a Firenze dopo la Liberazione, l’11 agosto 1944, fu stampato grazie al motore della Balilla che mio padre prestò al direttore, in assenza di qualsiasi altra macchina disponibile.
Carlo Vivaldi-Forti
«Nonna Maria, una manager d’altri tempi»
Nonna Maria è nata nel 1898 ed è cresciuta in un piccolo paese vicino a Sassari in una famiglia in vista, il nonno era stato per molti anni il sindaco del paese. Aveva tre sorelle e due fratelli, di cui uno morto nella prima guerra mondiale, come accadeva in quasi tutte le famiglie all’epoca.
Ha vissuto la giovinezza con il padre, mercante di bestiame, sempre lontano da casa: esportava cavalli in Francia e soleva passare più tempo a Parigi, a cavallo nel Bois de Boulogne, che al paese con la famiglia, che lasciava spesso anche priva di mezzi. Alla sua morte, sopraggiunta in Corsica al ritorno da uno dei viaggi in terra francese, nessuno volle riportare le spoglie in paese.
Questa esperienza difficile vissuta da mia nonna Maria deve averla spinta a lottare, nella speranza, come diceva Rossella O’Hara, di non soffrire più la fame.
Giovanissima fu scelta dallo zio sacerdote, ricco possidente, come amministratrice del proprio patrimonio costituito da vasti fondi coltivati a grano. Fu così che divenne una vera e propria manager per quei tempi. Non essendoci ancora le macchine, attraversava a cavallo i possedimenti per trattare con i mezzadri e riscuotere gli affitti. Si guadagnò immediatamente il rispetto di tutti, che all’epoca non era scontato concedere a una donna giovane e sola, mostrandosi tanto abile negli affari che alla morte dello zio ereditò l’intero patrimonio e i terreni.
Si sposò in tarda età per l’uso dell’epoca, a trentacinque anni, e contro il volere della famiglia che voleva preservare il patrimonio ereditato. Si trasferì a Sassari dove, con i proventi della produzione del famoso grano di elevata qualità Cappelli, oggi molto ricercato, costruì un bel palazzo nel quartiere più bello della città, dove ancora vivono mia madre, mia zia, io e i miei due fratelli con le nostre famiglie.
Nonna Maria ha avuto due figlie che ha fatto studiare nel prestigioso liceo classico della città, quello in cui studiarono Segni, Berlinguer e Cossiga, e che si sono laureate e sposate, un grande traguardo per lei che aveva soltanto la seconda elementare.
Grazie agli sforzi di mia nonna, durante la seconda guerra mondiale, tutta la mia famiglia non dovette sopportare la fame perché possedeva le più preziose merci di scambio, il grano e l’olio, che tenevamo nascoste in soffitta per evitare la confisca.
Quello di mia nonna fu un riscatto vero, le sue capacità e il suo carattere, forgiato e messo a dura prova dalla vita, determinarono la scelta dello zio sacerdote di darle fiducia.
Oggi noi nipoti viviamo con la consapevolezza che il vero patrimonio lasciatoci da nostra nonna è questa storia di riscatto, che vogliamo tramandare alle future generazioni.
Annamaria Ajello
«Cantieri per costruire e ricostruire»
Mio padre Giovanni Calderini era un ingegnere milanese con esperienza di studio e di lavoro all’estero. Era stato per quasi due anni in Colombia, come fito-patologo, per studiare la coltivazione del caffè e al suo rientro aveva scritto un manualetto negli anni Trenta, che credo sia stata la prima pubblicazione in Italia sull’argomento. Si è sposato, ha combattuto la guerra nel reggimento Genio Guastatori, dove è stato ferito, e poi come comandante partigiano in Valsesia.
Dopo la liberazione, il maggiore americano che comandava la piazza di Novara gli affidò l’organizzazione e la successiva direzione dell’UPLMO, l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.
Questo, per mio papà, significava lavorare per costruire e ricostruire.
Ogni volta che gli era possibile organizzava cantieri di lavoro, con i quali si riparavano strade, si costruivano o ricostruivano edifici, soprattutto scuole. Per lui, infatti, lo studio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. GIURO CHE NON AVRÒ PIÙ FAME
  4. Uno. LO SPIRITO DEL NATALE PASSATO
  5. Due. LO SPIRITO DEL NATALE PRESENTE
  6. Tre. IL 18 APRILE. La grande vittoria della libertà
  7. Quattro. TOGLIATTI DEVE MORIRE. Settant’anni di odio politico
  8. Cinque. I CAMPIONI POVERI. Coppi, Bartali e il Grande Torino
  9. Sei. I RICOSTRUTTORI. Vittorio Valletta, Adriano Olivetti, Enrico Mattei, Luigi Einaudi, Lina Merlin
  10. Sette. L’ASCESA DELLE DONNE. «Da serve a regine»
  11. Otto. LA GRANDE IRREGOLARE. Anna Magnani contro Ingrid Bergman
  12. Nove. GLI IRREGOLARI. Achille Lauro, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Di Vittorio, Guglielmo Giannini
  13. Dieci. COSÌ RIDEVANO. Wanda Osiris e Totò, Macario e Sordi, Govi e Rascel: l’Italia ricomincia a divertirsi
  14. Undici. LA GRANDE POLVERIERA. Il mondo nel 1948
  15. Dodici. LO SPIRITO DEL NATALE FUTURO
  16. L’ULTIMA PAROLA. Le storie dei lettori
  17. FONTI
  18. Copyright