Nella vita degli altri
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Nella vita degli altri

  1. 132 pagine
  2. Italian
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Nella vita degli altri

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Quanto c'è di noi nella vita di chi ci sta attorno? Quanto c'è degli altri nella nostra vita? Qual è la distanza che intercorre tra il modo in cui noi ci vediamo e quello con cui gli altri ci guardano?

Domande che riguardano il gioco degli specchi e che prendono forma in questo romanzo, che racconta, con una consapevolezza e una poesia inedite, i temi dell'identità e dell'immedesimazione.

Al piano terra di una palazzina di cemento squadrata e piena di finestroni e di inferriate, c'è la panetteria del signor Bisacco. L'odore del suo pane si infiltra tra le fessure strette dell'intonaco crettato e gli spiragli degli infissi da sostituire, profumando e amalgamando la vita delle persone che abitano il condominio. L'edificio ha cinque piani e accoglie e racconta molte storie. Quella di Angelo, un uomo spaventato che vive la sua passione per la fotografia con gravità e sofferenza. Quella della signora Vera, che viene da Padova ma sogna Parigi e lussi impossibili. Di Achille, un uomo complesso che cerca nel cibo la sua vendetta contro il mondo. Quella della signorina Eco, la cui bellezza nasconde una sottile punta di coraggio verso la Vita.

Cinque storie memorabili che si intrecciano e si rispecchiano tra immagini slegate e suoni sfarinati, descrivendo il caos di un uomo smarrito nelle sue profondità.

Questo di Michele Bravi è un esordio singolare il cui racconto somiglia più a una canzone da leggere a voce alta. Così come suona la sua lingua: ariosa, empatica, immaginifica, ritmica. Un romanzo che racconta il viaggio di un uomo dentro la vita degli altri e degli altri dentro la sua. Storie attorcigliate che si infrangono come uno specchio rotto e che si ricompongono in una progressione di azioni potenti come fucilate al petto.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2018
ISBN
9788852090806

IX

Angelo aveva conosciuto il signor Bisacco proprio grazie alla sua passione per la fotografia. A inizio anno, infatti, il vecchio panettiere aveva affisso abusivamente qualche annuncio sui lampioni del quartiere alla ricerca di un fotografo disposto a ritrarre gli appartamenti della palazzina ancora sfitti. Bisacco non si fidava di quei cialtroni degli agenti immobiliari e, da sempre, si era occupato da solo della locazione delle varie abitazioni che possedeva, confidando nel passaparola tra inquilini. Con l’arrivo del web, gliel’aveva suggerito la signorina Eco, sarebbe stato più efficace mettere un annuncio online e, per fare questo, erano necessarie delle foto accattivanti che descrivessero al meglio i suoi appartamenti mettendone in risalto solo i pregi.
Angelo aveva disperatamente bisogno di un lavoro che lo aiutasse ad arrotondare e, non appena vide l’annuncio, non esitò un secondo a chiamare il numero indicato sul volantino e a fissare un appuntamento.
Erano bastate un paio d’ore per fotografare l’intera palazzina, dalle cantine fino al lucernario, dopodiché i due uomini si erano fermati nel retro della panetteria per discutere del compenso. Dopo una veloce riflessione, Angelo aveva proposto al vecchio di scalare la sua commissione dalla prima mensilità, dal momento che, se fosse stato possibile, gli sarebbe piaciuto affittare l’appartamento del primo piano. Bisacco, sorpreso, dopo un attimo di esitazione, soprattutto a causa della precaria stabilità economica del ragazzo, aveva accettato bonariamente, dandogli fiducia e rallegrandosi del fatto che, oltre ad aver trovato un bravo professionista dell’immagine, era pure riuscito a chiudere un contratto vantaggioso senza fatica alcuna.
L’appartamento che Angelo si era scelto era sicuramente il peggiore di tutta la palazzina, il più umido e il più logoro. Il legno del pavimento era consumato dai tarli e l’intonaco del muro tristemente ingiallito dal tempo. D’altronde, era quanto un ragazzo di trent’anni, che lavora saltuariamente solo con la propria creatività, si poteva permettere. In effetti, l’unica paga fissa che Angelo percepiva dalla sua passione per la fotografia era il frutto di un insolito incarico presso un’agenzia funebre, che offriva ai clienti in vita l’opportunità di un servizio fotografico per scattare l’immagine che poi sarebbe stata esposta sulla lapide dopo la loro morte. «Un quei dì te devet fam la foto anca a mi prima che mori in mess al pan. Un giorno devi fare la foto anche a me prima che io muoia in mezzo al pane» l’aveva preso in giro il signor Bisacco quando aveva saputo del singolare impiego. «Voi giovani siete sempre più ingegnosi: siete riusciti a far mettere in posa persino la morte.»
In ogni caso, Angelo amava quella casa. Ne apprezzava il ronzio notturno di quando il vecchio azionava l’impastatrice al piano di sotto e godeva dell’odore di pane caldo che ne scaturiva prima di tutti gli altri, come se fosse stato un suo privilegio esclusivo. In quella casa, lui poteva abbandonarsi alla fotografia e credere, anche per un solo momento, di poterla rendere la sua reale fonte di guadagno e di soddisfazione personale.
Se solo il ragazzo si fosse immaginato o avesse minimamente intuito che dietro quel numero sul volantino, dietro le fotografie di un annuncio di affitto, dietro l’odore del pane si nascondeva la notte infernale che ora stava vivendo, di certo sarebbe fuggito a gambe levate.
Adesso, con le mani ancora davanti agli occhi da quando aveva varcato la porta di legno verde di casa del signor Bisacco, Angelo stava ripercorrendo nella sua mente il film accelerato di quanto era successo fino a quel momento. L’anziano signore con cui lui scherzava ogni mattina e a cui pagava l’affitto in nero ogni terza domenica del mese aveva perso il lume della ragione. Aveva appena fatto in tempo a chiudere la porta di casa, trascinato via dalla signora Vera, che una serie di atti violenti e assurdi lo avevano fatto sprofondare in una paura fangosa.
Dopo l’ultimo colpo di pistola, l’atmosfera nell’appartamento si era gelata, piombando in un limbo di silenzio. Per un attimo, il ragazzo si era domandato se lui stesso fosse stato colpito o ferito. Allargò lievemente le dita che gli coprivano gli occhi e, affacciandosi timoroso sulla scena che stava vivendo, Angelo vide in un angolo Achille ancora privo di sensi, la signora Vera con le mani nei capelli sbigottita davanti a tanta brutalità, il corpo della signorina Eco buttato a terra in una pozza di sangue e il signor Bisacco seduto sulla poltroncina con in braccio il piccolo neonato.
«Mon Dieu…» bisbigliò Vera intuendo la gravità della situazione.
Angelo tremava come il motore di un’auto d’epoca.
«Ninna nanna, ninna oh…» cantava Bisacco al bambino impugnando la pistola Beretta nella mano destra.
«Mon Dieu! Signorina Eco, signorina… mi sente?» gridò Vera correndo verso la donna e dandole dei colpetti sul viso.
La signorina Eco, con gli occhi semichiusi e un rantolo di voce, supplicò: «Il bambino… pensate al bambino…».
«Questo bimbo a chi lo do…» continuò a canticchiare Bisacco carezzando la pancia del piccolo con la pistola.
Il bambino, stretto tra le braccia del vecchio, guardava la madre senza battere ciglio. Nei suoi occhi, anzi, c’era quasi un tono inquisitorio, come se conoscesse già tutti i presenti e le loro colpe riguardo questo epilogo. Sapeva della miseria di Vera, dell’iracondia di Achille, dei fallimenti della madre e della sua ingiustificata spinta verso la Vita. Il bambino sapeva tutto. Conosceva esattamente il segreto degli ingranaggi contorti degli eventi che lo avevano portato fino a lì, su una poltrona in braccio a un folle vecchio sanguinante e armato. Era strano pensare che, da quando la serata aveva aperto il sipario sulla tragedia, Luigi non aveva pianto né si era lamentato. Era rimasto in silenzio, muto come un pesce. Niente a che fare col silenzio terrorizzato di Angelo. Il suo era più simile al silenzio di chi analizza e osserva i dettagli per poi agire in modo risolutore.
«Il bambino… il bambino…»
«Shhh, non parlare. Tieni gli occhi aperti però» disse Vera cercando di tamponare la ferita del proiettile che aveva bucato la pancia della donna.
«Salvate il bambino…»
«Tranquilla, tranquilla. Non muoverti. Angelo mi aiuti! Sta perdendo tanto sangue. Mon Dieu!»
La voce della signorina Eco si faceva sempre più sottile.
«Pensate al bambino, vi prego. Lui è la cosa più preziosa.»
«Angelo, mi aiuti a tamponare, non rimanga lì fermo.»
«Ninna Nanna, ninna oh…» continuò a cantare Bisacco indifferente a ciò che lo circondava, come se ogni sua passione si fosse sterilizzata nella follia.
«Lui è l’unica persona che mi ha visto dentro, è tanto prezioso per me. È la cosa più bella del mondo… Salvate il bambino vi prego.»
«Certo! Certo! Mon Dieu! Angelo mi aiuti!»
Angelo, pietrificato, guardava la scena senza riuscire a muoversi.
«Luigi, Luigi la mamma è qui… non ti lascia» piangeva la signorina Eco abbassando le palpebre.
«Angelo, la prego…» si disperò Vera.
«La mamma è sempre stata qui. Puoi essere tante cose, figlio mio, e adesso devi essere coraggioso.»
«Signorina, non chiuda gli occhi, la prego.»
«Mamma è qui, Luigi… Mamma non ti lascia.»
«Signorina… signorina, tenga gli occhi aperti.»
«Mamma è qui…» bisbigliò la donna lasciando cadere la testa all’indietro.
«Signorina, tenga gli occhi aperti! Avanti risponda! Apra gli occhi! Signorina… Signorina…» pianse Vera.
La signorina Eco, ora, aveva le sembianze di una vecchia bambola sbranata da un cane e riversa sul pavimento.
«Signorina… Signorina…» pianse Vera.
Nessuna risposta da parte della signorina Eco ormai svenuta.
Il gelo nella stanza adesso era concreto e letale. Bisacco, nella sua follia, aveva oltrepassato un punto di non ritorno trascinando la giovane donna giù nelle tenebre, esattamente dove aveva smarrito la sua lucidità. Mentre Vera, ricoperta di sangue, continuava a parlare alla donna, Bisacco, impassibile, canticchiava la sua nenia al neonato. In effetti, nei suoi occhi vitrei non sembrava esserci nemmeno un barlume di consapevolezza e le sue movenze algide e distaccate erano la prova lampante del fatto che lui sembrava non comprendere affatto il gesto che aveva appena compiuto.
Angelo era paralizzato e rigido come mai prima d’ora. Per quanto si sforzasse di nasconderlo, da sempre era stato un ragazzo pieno di paure. Da bambino, i racconti di mostri e di streghe e di fantasmi assassini dei cugini più grandi gli facevano bagnare il letto nel sonno. Da adolescente, le risse nel cortile della scuola lo turbavano al punto da procurargli una nausea insopportabile. La paura era così forte in tutto il suo corpo che, ogni volta che si manifestava ai suoi occhi, egli percepiva come un dolore sottile, uno scricchiolio angosciante che partiva dalla punta dei capelli e arrivava fino ai bulbi quasi a schiantare il cranio. Era una sensazione fuori dal comune, del tutto paralizzante e limitante.
«Cos’è che ti spaventa tanto, amore mio?» gli aveva chiesto una volta sua madre, preoccupata per lo stato d’ansia del figlio.
Angelo, però, non aveva saputo rispondere. Era difficile, per lui, spiegare che era il mondo stesso a fargli paura. Lui guardava il mondo con quei suoi occhi ancora puri e ingenui e non vedeva altro che una babele di umanità estranea e confusa che lo terrorizzava. Affacciarsi fuori dalla porta di casa era, secondo la sua visione, come tuffarsi senza protezione in una sabbia mobile che lo avrebbe inghiottito, un caos tremendo e allucinante.
Adesso, quello che stava vivendo era più distruttivo di un tornado impazzito e più imprevedibile di una tempesta furiosa. Aveva come l’impressione che una mano gelida lo stesse trattenendo immobile, ferendogli la schiena e impedendogli di muoversi e di prestare soccorso.
«Mon Dieu! Mon Dieu!» continuava a disperarsi Vera, ormai smarrita davanti a tanta efferatezza.
Per un attimo, la donna incrociò lo sguardo di Angelo e, istantaneamente, tra i due, sembrò aprirsi un dialogo silenzioso e grave. La signora Vera accusò Angelo della sua stordita immobilità, Angelo sembrò vergognarsi per questo. La signora Vera comunicò la sua preoccupazione per quello che ora sarebbe successo, Angelo annuì in segno di condivisione. La signora Vera fece intuire che dovevano strappare Luigi dalle mani del vecchio pazzo e fuggire, Angelo si morse il labbro come a comunicare la sua vile paura.
«Ninna nanna, ninna oh… Questo bimbo a chi lo do» continuava a cantare Bisacco.
Angelo avrebbe dovuto fare solo pochi passi in direzione della poltrona, afferrare il vecchio per il collo, torcergli la mano per far cadere la pistola, prendere il bambino e fuggire e tutto si sarebbe concluso. Sarebbe davvero bastato poco per mettere la parola fine alla follia di cui l’intera palazzina era diventata vittima. Eppure, le sue gambe sembravano inerti, come immerse nel cemento secco, incapaci di muoversi.
Vera, con lo sguardo, continuò a implorare il ragazzo di fare qualcosa, che ormai la situazione era terribilmente grave e che l’unica cosa che potevano ottenere era salvare i loro giorni a venire. Lo implorava con gli occhi di intervenire in modo repentino e deciso.
Angelo, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nella vita degli altri
  4. Prologo
  5. I
  6. II
  7. III
  8. IV
  9. V
  10. VI
  11. VII
  12. VIII
  13. IX
  14. X
  15. Epilogo
  16. Ringraziamenti
  17. Copyright