La condanna
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La condanna

  1. 424 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

Dina ha solo tre anni quando viene investita da una macchina. Poco dopo, sua madre muore in maniera sospetta e il padre di Dina, Jonas, viene condannato per il suo omicidio. Quindici anni dopo, nel 2016, il detective Henrik Holme deve occuparsi di quello che è ormai un cold case. Sembra un fascicolo come tanti tra quelli finiti nel tempo sulla sua scrivania, ma fin da subito qualcosa non quadra, nell'arresto e nel processo di Jonas. Cosí, Holme prova a convincere la donna che gli ha insegnato il mestiere, Hanne Wilhelmsen, che Jonas potrebbe essere stato vittima di un errore giudiziario. Insieme, i due investigatori non ci metteranno molto a scoprire che le cose sono molto piú complesse di quanto non appaiano a prima vista e che quello di Jonas è legato a un recente, supposto caso di suicidio. Si è davvero trattato di un errore giudiziario? Un innocente è stato davvero condannato? È quanto Hanne e Henrik devono scoprire. «Hanne diceva sempre che un caso andava indagato senza teorie preconcette. Bisognava scoprire i fatti, i fatti incontrovertibili, e utilizzarli per costruire la verità. Pietra su pietra. In quel caso specifico, i fatti su cui edificare erano piú che sufficienti. La cosa noiosa era che qualcuno li aveva già messi a posto. Tutte le realtà che riguardavano la morte di Anna Abrahamsen erano state inserite in un sistema che faceva di Jonas l'assassino. Ora tutto doveva essere ridotto in frantumi. Ogni minimo dettaglio».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
ISBN
9788858428306

Venerdí 1º gennaio 2016

Mancavano non piú di due settimane alla fine.
E all’inizio.
L’inizio della sua nuova vita. Lui e sua moglie in Provenza. Era stata lei a insistere per trasferirsi da quelle parti. Lui non parlava francese e non beveva vino, però il clima era sicuramente allettante. Lavorava in polizia dal 1978, da quando era stato ammesso a quella che un tempo si chiamava scuola di polizia, e adesso era venuto il momento di dedicarsi a qualcos’altro. Un allevamento di cani, avevano deciso lui e sua moglie.
Una vita intera cominciata alla fine degli anni Settanta, l’equivalente di un paio di generazioni di norvegesi e di trenta leve di aspiranti poliziotti. O studenti di polizia, come venivano finemente chiamati negli ultimi anni. Per quel che lo riguardava, aveva iniziato quando si usavano ancora carta e penna e qualche macchina per scrivere a testina rotante della Ibm, quando gli agenti si chiamavano semplicemente poliziotti ed erano piú che soddisfatti del loro nome. Era passato di grado e diventato commissario da poco, a soli sei mesi dalla fine della sua carriera. A metà gennaio avrebbe compiuto cinquantotto anni e avrebbe potuto portarsi via le poche cose che aveva in ufficio, e uscire per l’ultima volta dal commissariato di quartiere a Stovner.
Kjell Bonsaksen era contento di quasi tutti gli ambiti della sua esistenza. Non si sarebbe voltato a rimpiangere il passato e di sicuro anche in Provenza avrebbe potuto bersi una birra decente. Aveva un solo figlio e i due nipotini erano per metà francesi, quindi non era stato cosí difficile convincerlo ad andare a vivergli piú vicino. Dopo un giro vorticoso di offerte, avevano venduto la villetta a schiera che possedevano nel quartiere di Korsvoll a una cifra che lo aveva fatto arrossire. Anche dopo aver pagato la casa con giardino alla periferia di Aix, era rimasto loro un bel gruzzoletto.
Purtroppo non avrebbe piú potuto mangiare lo stesso quantitativo di hot dog perché sua moglie gli sarebbe stata addosso tutto il tempo.
Appoggiò una banconota da cinquanta corone sul bancone, prese il resto e se lo infilò in tasca. Fece in modo di aggiungere una bella porzione di ketchup che distribuí a zig-zag sull’hot dog e scosse la testa quando la cameriera gli spinse sotto il naso la bottiglietta della senape.
Lanciò un’occhiata verso le grandi vetrate che davano sulle pompe di benzina. Il tempo era brutto, cosí come lo era stato per tutto il periodo natalizio. I fiocchi di neve fradici si scioglievano ancora prima di toccare il terreno e ogni cosa pareva rivestita di una diversa sfumatura di grigio. Un autoarticolato si era appena fermato lí davanti, bloccandogli la visuale sulla E18. Pulito, doveva essere rosso.
Un uomo stava venendo verso le porte automatiche. Era alto e un tempo doveva essere stato anche bello. Kjell Bonsaksen non se ne intendeva molto di quelle cose, ma lo aveva pensato per via della bocca carnosa e del naso dritto e simmetrico. Nel momento in cui fece il suo ingresso, l’uomo alzò lo sguardo e lo fissò.
Kjell Bonsaksen, che stava masticando, sentí un brivido percorrergli la schiena.
C’era qualcosa di particolare in quegli occhi.
L’uomo sembrò rallentare e fermarsi per un istante, poi riprese il passo alla stessa velocità di prima. In mano teneva una tazza lucida con il logo della Statoil sul coperchio. Senza dire nulla il tipo dietro il bancone gliela riempí di caffè da un distributore automatico piazzato accanto alla vetrata.
Kjell Bonsaksen era stato un poliziotto affidabile, ma mai eccezionale. L’ultima promozione voleva essere un ringraziamento da parte del capo della polizia per tutti i suoi anni di lungo e fedele servizio, piú che il riconoscimento di una effettiva capacità di poter comandare qualcun altro a parte sé stesso. La sua forza stava nel lavorare sodo e seguire il regolamento, essere onesto e preciso e non lasciarsi mai tentare dalle scorciatoie. Era un cavallo da tiro. C’erano sempre meno poliziotti come lui e la cosa un tempo gli aveva dato molto fastidio, ma adesso non gliene importava piú niente. Mancavano soltanto tredici giorni alla fine di una carriera solida, anche se grigia.
Come agente con quasi quarant’anni di servizio alle spalle, ciò di cui andava piú orgoglioso era la memoria. Un poliziotto doveva ricordare. Nomi e casi. Rapporti di parentela e volti. Scene del crimine, reati e vittime. Bisognava avere la colla nel cervello.
Anche se l’uomo davanti al distributore del caffè adesso era quasi calvo e molto piú magro dall’ultima volta che si erano incontrati, Kjell Bonsaksen lo aveva riconosciuto non appena i loro sguardi si erano incrociati. Gli occhi erano grandi e insolitamente infossati nel viso magro, quasi scavato.
Non irradiavano nulla.
Nessuna curiosità, nessuna cattiveria. Nessuna gioia e nessun segno di riconoscimento. Non c’era in essi alcuna aria di rimprovero quando l’uomo mise il coperchio sulla tazza e con passo tranquillo si avvicinò al poliziotto intento a mangiare il suo hot dog. Si fermò a un metro di distanza da lui.
– Tu sapevi che ero innocente, – disse piano.
Kjell Bonsaksen non rispose, era indaffarato a deglutire un pezzo troppo grande di würstel, pane e ketchup.
– Tu lo sapevi, – ripeté l’uomo. – Eppure non hai fatto niente.
Posò il suo sguardo sull’altro per un secondo o forse due prima di stringersi impercettibilmente nelle spalle, girarsi e avviarsi verso la porta.
Kjell Bonsaksen rimase immobile e immerso nei propri pensieri con mezzo hot dog in mano fino a quando lo sconosciuto risalí sul camion e imboccò la strada europea E18 verso Oslo.
– Forse, – disse, a voce cosí bassa che probabilmente si limitò a pensarlo. – Forse è cosí, forse sapevo che eri innocente.

Lunedí 3 dicembre 2001

Una tazza in piú di caffè gli era costata tutto.
Se l’avesse lasciata lí dov’era, quella giornata sarebbe trascorsa come ogni altra di dicembre e avrebbero festeggiato i tre anni di Dina nel fine settimana. Oppure era stato quel suo armeggiare con il mazzo di chiavi a risultare fatale. Si era tagliato un pollice con una scatoletta di sardine e Dina aveva voluto fargli da infermiera. Aveva usato un intero rotolo di garza e gli aveva messo un cerotto con l’immagine di Paperino. Avrebbe dovuto fare da solo. Cosí avrebbe risparmiato i secondi necessari, un lasso di tempo sufficiente a far sí che quella giornata proseguisse fino a sera nel solito modo sicuro.
Però poteva anche essere stato qualcos’altro. In realtà una qualsiasi delle tante banalità che si susseguono in una mattina piovosa della prima settimana di Avvento. Una qualsiasi delle cose che erano successe e di tutte quelle che invece non erano accadute. Per esempio, se non fosse rimasto addormentato. Se non avesse bevuto una terza tazza di caffè, oppure se non avesse bevuto fino in fondo la seconda. Un paio di sorsi in piú sarebbero bastati per arrivare un attimo dopo in strada, e forse gli avrebbero evitato di controllare la cassetta della posta perché in quel caso avrebbe fatto ancora piú in fretta.
In seguito, mentre trascorreva la giornata abbarbicato al grande abete nel giardino dei vicini, aveva calcolato tutti i propri movimenti fino a quando la testa gli si era riempita di considerazioni sul tempo. L’albero si ergeva accanto alla cassetta della posta che quella mattina stessa aveva divelto e fatto a pezzi con una mazza di ferro. Seduto sul ramo piú robusto della pianta, attento a non essere visto da nessun passante, aveva contato quante macchine imboccavano quel piccolo troncone che si staccava dalla via principale, dalle sette del mattino alle sette di sera. Era arrivato a sedici. Se calcolava cinque secondi per ognuna, allora una situazione potenzialmente pericolosa per una bambina di quasi tre anni che correva di colpo in strada, mentre il padre apriva la cassetta delle lettere e irritato guardava la quantità di pubblicità, non raggiungeva gli ottanta secondi. Dodici ore, dodici ore in cui era immaginabile che Dina si trovasse accanto alla cassetta delle lettere e per un brevissimo istante non venisse tenuta d’occhio, mentre qualcosa distraeva suo padre, equivalevano a 43 200 secondi. In ottanta sarebbe potuto accadere qualcosa.
In un arco di tempo inferiore al due per mille.
Lo 0,185185185 per cento, l’avrebbe ricordato per sempre.
Se soltanto si fosse concesso il tempo di rimettere la confezione di latte nel frigorifero, non sarebbe successo niente.
Fu Jonas a urlare. Dina non emise nessun suono.
Gridò un attimo prima che la vita andasse in frantumi, quando la vide inciampare. Fu Jonas a urlare cosí forte che il conducente inchiodò. Fu Jonas a cercare disperatamente di spingere via la macchina, di allontanarla da Dina che era ancora incastrata sotto la ruota anteriore sinistra. Fu l’urlo di Jonas a costringere il guidatore allibito ad abbassare il finestrino senza capire nulla fino a quando non fece avanzare la Bmw di un metro.
Negli anni seguenti, quella scena non lo avrebbe mai abbandonato. La caduta di Dina davanti allo pneumatico invernale. Lo sguardo che lei era riuscita a lanciargli mentre le sue labbra sbiancavano e diventavano livide sotto la luce fioca dei lampioni. I secondi in cui lui era rimasto immobile con Dina tra le braccia mentre si rendeva conto di quello che era successo, anche se non lo capiva ancora per davvero. Tutto quanto, un’immagine dopo l’altra, si sarebbe trasformato in un film dell’orrore che lo teneva sveglio quando avrebbe dovuto dormire e che lo rendeva cosí stanco da farlo dormire quando non avrebbe dovuto.
Si sarebbe ricordato quella scena per sempre. La tuta imbottita blu e il berretto rosa che aveva cercato di raddrizzare quando la polizia non era ancora arrivata. Gli occhi di Dina che lo fissavano senza guardarlo. Lo zainetto dell’asilo per terra e il suo contenuto. Il cerotto con Paperino e la garza intrisa di sangue che era caduta quando l’aveva sollevata. L’odore di escrementi che era riuscito a diffondersi dal pannolino di Dina prima che apparissero le luci blu delle volanti. Jonas non si sarebbe mai dimenticato il conducente che continuava a parlare al cellulare mentre non smetteva di piangere, avvolto da una nube nauseante di dopobarba.
– È stata colpa mia, – gli ripeteva Jonas senza fermarsi. – Non tua.
Fu l’unica cosa che disse quella mattina, quando perse la sua unica figlia.
– È colpa mia.

Giovedí 7 gennaio 2016

La mano calda di lui le intiepidiva la spalla attraverso il maglioncino leggero.
Hanne Wilhelmsen non sopportava di essere toccata da nessuna persona che non fosse una di quelle con cui viveva. La figlia e la moglie, come le avrebbe chiamate se mai ne avesse parlato con altri. Eppure quella mano, esile e cauta, era stranamente benaccetta. Una cima di salvataggio, pensò, uno spiraglio su qualcosa di noto e di stabile vista la situazione in cui era costretta e che la inquietava da parecchi giorni.
Strizzò gli occhi davanti alla pioggia di flash. I fotografi erano cosí invadenti che aveva problemi a manovrare la sedia a rotelle, e non era certo piú facile farlo alla cieca.
– Spostatevi, – esclamò con voce tagliente, poi sentí l’uomo dietro di lei lasciarle la spalla e afferrare invece le due manopole della carrozzella.
– Per una volta fatti spingere, – le disse Henrik Holme chinandosi verso il suo orecchio. – Dobbiamo andarcene da qui.
– Sono stati condannati? – gridò un giornalista. – Tutti quanti, voglio dire?
– Che cosa ne pensa del modo di procedere del pubblico ministero? – le domandò un secondo piazzandole l’iPhone in faccia.
– Spostatevi!
La voce di Henrik Holme salí in falsetto mentre con movimenti decisi spingeva la sedia a rotelle attraverso la folla. Stavano per raggiungere le grandi porte del tribunale e uscire, quando in un istante fu come se fosse intervenuto Mosè. I giornalisti, che erano almeno una ventina e di colpo impegnatissimi a controllare i cellulari, si scostarono di lato. I fotoreporter, almeno alcuni di loro, rimasero sorpresi da quell’improvviso cambiamento e abbassarono le macchine fotografiche. Henrik Holme si fermò per un attimo, sorpreso del fatto che adesso la strada fino alla porta principale fosse l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La condanna
  4. Venerdí 1º gennaio 2016
  5. Lunedí 3 dicembre 2001
  6. Giovedí 7 gennaio 2016
  7. Venerdí 8 gennaio 2016
  8. Sabato 9 gennaio 2016
  9. Domenica 10 gennaio 2016
  10. Lunedí 11 gennaio 2016
  11. Martedí 12 gennaio 2016
  12. Mercoledí 13 gennaio 2016
  13. Venerdí 15 gennaio 2016
  14. Sabato 16 gennaio 2016
  15. Domenica 17 gennaio 2016
  16. Lunedí 18 gennaio 2016
  17. Martedí 19 gennaio 2016
  18. Giovedí 21 gennaio 2016
  19. Venerdí 22 gennaio 2016
  20. Sabato 23 gennaio 2016
  21. Domenica 24 gennaio 2016
  22. Lunedí 25 gennaio 2016
  23. Il libro
  24. L’autrice
  25. Della stessa autrice
  26. Copyright