Capitolo 1 Canzone del fuoco e del ghiaccio.
1. Cfr. per esempio R. M. Canup e E. Asphaug, Origin of the Moon in a giant impact near the end of the Earth’s formation, in «Nature», CDXII, 2001, pp. 708-12; J. Melosh, A new model Moon, ivi, pp. 694-95.
2. Questo spiega perché Terra e Luna abbiano composizioni simili, e anche perché il nostro sia un satellite un po’ particolare. Rispetto alla maggior parte dei suoi omologhi nel sistema solare, infatti, la Luna è molto grande in proporzione al suo pianeta primario (cioè la Terra). Cfr. A. Mastrobuono-Battisti et al., A primordial origin for the compositional similarity between the Earth and the Moon, ivi, DXX, 2012, pp. 212-15.
3. A dimostrazione di quanto la Terra sia attiva ancora oggi, la placca tettonica su cui poggia l’Australia si sta spingendo verso nord, in direzione dell’Indonesia, e man mano che va avanti si accartoccia. A quanto pare, si sposta a una velocità doppia rispetto alla crescita delle unghie del professor Bert Roberts dell’Università di Wollongong (o almeno cosí mi dice Bert: i tassi di crescita delle unghie possono variare). Può sembrare poco, ma gli effetti si accumulano col tempo. Mentre l’Australia si spinge verso nord, il margine settentrionale di Giava viene schiacciato verso il basso e finisce sott’acqua. Se come a me vi fosse capitato di sorvolare la costa settentrionale di Giava, vi sareste accorti che il mare si è già impossessato da tempo dei quartieri piú settentrionali della città di Giacarta. E Bert continua a doversi tagliare le unghie.
4. Poiché la mia vorrebbe essere piú una narrazione che un esercizio scientifico, alcune delle mie affermazioni hanno un supporto probatorio piú solido, altre meno. Le circostanze che hanno dato origine alla vita sono forse uno degli argomenti piú misteriosi che toccherò in questo libro (fatta eccezione per molti dei temi affrontati nel capitolo 12). Non è che siano «tutte fantasie», ma un po’ ci si avvicinano. Una parte del problema sta anche nel fatto che la vita stessa è molto difficile da definire, come sostiene Carl Zimmer nel suo libro Life’s Edge (Random House, New York 2020).
5. In particolare, le membrane accumulano carica elettrica e le consentono di disperdersi facendo qualcosa di utile, tipo alimentare reazioni chimiche. In pratica, è cosí che funziona una batteria. Allora come oggi, gli esseri viventi erano alimentati a elettricità. È una fonte di energia potentissima. Poiché il differenziale di carica tra l’interno e l’esterno delle cellule è misurabile, ma le distanze sono microscopiche, lo scarto può risultare molto grande, nell’ordine dei 40-80 mV (millivolt). Per un vivace resoconto su come l’elettricità abbia contribuito al nascere della vita, cfr. il libro di Nick Lane, The Vital Question (Profile, London 2015).
6. Pensate agli adolescenti, e a come la loro consapevolezza e comprensione del mondo aumentino a spese dell’ordine nelle loro immediate vicinanze.
7. Le rocce piú antiche che ancora sopravvivono dagli albori dell’esistenza del pianeta hanno fra i 3,8 e i 4 miliardi di anni, ma sappiamo che i minuscoli e robustissimi cristalli di un minerale chiamato zircone esistono da oltre 4,4 miliardi di anni, e sono tutto ciò che rimane di rocce ancora piú antiche, annientate dall’erosione. Alcuni cristalli di zircone portano i segni – non piú che l’ombra del fantasma di un’immagine vista di sfuggita – della vita che li ha sfiorati piú di 4 miliardi di anni fa. La chimica degli esseri viventi si basa soprattutto sul carbonio. Quasi tutti gli atomi di carbonio si presentano in una varietà, o isotopo, chiamata carbonio-12, ma c’è anche una minima parte di isotopi leggermente piú pesanti, che prendono il nome di carbonio-13. Le reazioni chimiche che hanno luogo negli esseri viventi sono fatte in modo da scartare il carbonio-13 e assorbire il carbonio-12, e la differenza tra i due isotopi può essere misurata. Le rocce piú antiche che contengono una quantità di carbonio-13 leggermente inferiore alle aspettative in rapporto alla quantità di carbonio-12 potrebbero dirci che un tempo la vita è esistita anche se le sue spoglie mortali non sono piú visibili: un po’ come il sorriso dello Stregatto, che continua a galleggiare nell’aria anche quando l’animale non c’è piú. È su questo tipo di prove che si fonda l’ipotesi in base alla quale almeno 4,1 miliardi di anni fa ci sarebbe già stata vita sulla Terra: un cristallo di zircone sul quale è stata individuata una traccia di grafite relativamente ricca di carbonio-12 fa infatti supporre che la vita sulla Terra fosse addirittura preesistente alle rocce piú antiche. Cfr. S. A. Wilde et al., Evidence from detrital zircons for the existence of continental crust and oceans on the Earth 4.4 Gyr ago, in «Nature», CDIX, 2001, pp. 175-78.
8. Per un salutare promemoria sulla difficoltà di interpretare i fossili molto antichi cfr. E. Javaux, Challenges in evidencing the earliest traces of life, ivi, DLXXII, 2019, pp. 451-60.
9. Al momento in cui scriviamo, la piú antica testimonianza ampiamente riconosciuta dell’esistenza di forme di vita sulla Terra proviene da un corpo roccioso chiamato «selce di Strelley Pool», rinvenuto in Australia, che conserva i resti non di uno o due fossili, ma di un intero ecosistema corallino che prosperava in un oceano caldo e illuminato dal Sole circa 3,43 miliardi di anni fa. Cfr. A. C. Allwood et al., Stromatolite reef from the Early Archaean era of Australia, ivi, CDXLI, 2006, pp. 714-18. Ci sono anche testimonianze piú antiche, risalenti a oltre 4 miliardi di anni fa, ma la loro validità è controversa.
10. Almeno fino alla comparsa degli animali in grado di cibarsene. Oggi le stromatoliti sopravvivono solo nei rari luoghi irraggiungibili agli animali. Tra questi vi è Shark Bay, nell’Australia occidentale: uno specchio d’acqua troppo salato per ospitare qualsiasi forma di vita, a parte la melma.
11. Il che è strano, perché all’epoca il Sole non era cosí luminoso come ora: tale circostanza è nota come «Paradosso del Sole giovane debole». La Terra avrebbe dovuto essere una palla di ghiaccio, ma l’atmosfera primordiale era piena di potenti gas serra, come il metano, che mantenevano alta la temperatura.
12. Le cause della Grande ossidazione sono ancora molto dibattute. Ci sono prove di un incremento dell’attività che avrebbe fatto risalire in superficie i gas prima sepolti nelle profondità della Terra. Cfr. T. Lyons et al., The rise of oxygen in the Earth’s early ocean and atmosphere, in «Nature», DVI, 2014, pp. 307-15; B. Marty et al., Geochemical evidence for high volatile fluxes from the mantle at the end of the Archaean, ivi, DLXXV, 2019, pp. 485-88; e J. Eguchi et al., Great Oxidation and Lomagundi events linked by deep cycling and enhanced degassing of carbon, in «Nature Geoscience», XIII, 2019, http://doi.org/10.1038/s41561-019-0492-6.
13. Come cantava Joni Mitchell: by the time we got to Woodstock we were half a million strong; e come chiosava un critico musicale stanco di festival, «trecentomila di noi stavano cercando una toilette».
14. Cfr. R. H. Vreeland et al., Isolation of a 250 million-year-old halotolerant bacterium from a primary salt crystal, in «Nature», CDVII, 2000, pp. 897-900; J. Parkes, A case of bacterial immortality?, ivi, pp. 844-45.
15. È possibile che il fenomeno sia stato accelerato dal trauma della Grande ossidazione.
16. Tecnicamente, batteri e archeobatteri sono organismi molto diversi. Ma poiché hanno in comune le dimensioni ridottissime e il grado di organizzazione, userò «batteri» come termine familiare e generico per entrambi.
17. Cfr. J. Martijn et al., Deep mitochondrial origin outside sampled alphaproteobacteria, in «Nature», DLVII, 2018, pp. 101-5.
18. Le modalità con cui sarebbe avvenuta la fusione di batteri e archeobatteri di tipi diversi per dare vita a cellule nucleate sono state studiate mediante una sorta di «archeologia molecolare» che ha analizzato fase per fase gli eventi di fusione (M. C. Rivera e J. A. Lake, The Ring of Life provides evidence for a genome fusion origin of eukaryotes, ivi, CDXXXI, 2004, pp. 152-55; W. Martin e T. M. Embley, Early evolution comes full circle, ivi, pp. 134-37). L’identità dell’archeobatterio che formava il nucleo non è ancora chiara, poiché esso avrebbe dovuto possedere anche caratteristiche proprie delle cellule nucleate (per esempio un mini-scheletro di fibre proteiche), di cui gli archeobatteri sono privi. Tali archeobatteri sono stati scoperti nei sedimenti del fondo marino (A. Spang et al., Complex archaea that bridge the gap between prokaryotes and eukaryotes, ivi, DXXI, 2015, pp. 173-79; T. M. Embley e T. A. Williams, Steps on the road to eukaryotes, ivi, pp. 169-70; K. Zaremba-Niedzwiedzka et al., Asgard archaea illuminate the origin of eukaryotic cellular complexity, ivi, DXLI, 2017, pp. 353-58; J. O. McInerney e M. J. O’Connell, Mind th...