Amen
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Amen

  1. 64 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

Un'esistenza sul confine tra la vita e la morte, tra battesimo ed estrema unzione. La nuda fede di una madre verso il battito del cuore del figlio. Un vecchio soldato, sopravvissuto alla guerra, insegna la forza del passo nella neve. Sullo sfondo i ricordi di una vita e la presenza incombente della fine. Una preghiera nel nome della vita che non vuole morire. Amen è il primo testo teatrale di Massimo Recalcati.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
ISBN
9788858438701

ATTO UNICO

Sullo sfondo una lunga distesa di neve. Al centro un cubo di plastica trasparente. Come una grande incubatrice. Dentro Enne 2. Fuori, seduti ai lati opposti del palcoscenico, un soldato e una madre. Buio totale. Suono del battito di un cuore come nell’ecografia di un feto. Un battito incessante che aumenta progressivamente di volume.
(pausa)
ENNE 2 (uomo di cinquanta-sessant’anni, vestito in un abito borghese, grigio, stile beckettiano. In ginocchio. Si alza lentamente e guarda verso il pubblico come se fosse il suo interlocutore) Avremo ancora gli occhi, dopo? Potremo ancora toccarci, vederci, ascoltarci? O saremo tutti a distanza, lontani come spettri, fantasmi, nebbie? E dove, poi, finiremo tutti? Se ci fosse ancora la luce sarebbe bellissimo, aveva scritto. Con i miei piccoli occhi mortali, aveva scritto. Sarebbe davvero bellissimo se ci fosse ancora la luce. (Pausa; rivolgendo lo sguardo verso una fonte luminosa). Ogni cosa splenderebbe ancora, di nuovo, ancora, ogni cosa, come in un giorno qualsiasi. Con i miei piccoli occhi mortali. Saremmo ancora tutti vivi nella luce. Ciascuno nel corpo che aveva da vivo, ciascuno nel proprio corpo… io vi potrei vedere e toccare tutti ancora… come quando eravamo ancora vivi. Se ci fosse almeno un po’ di luce. Come alla fine di un lungo viaggio nella notte. Quando si è attesi da qualcuno. Le porte che si aprono, la luce della casa che si accende. La grazia, la salvezza, la bellezza della luce… (pausa). Ma si potrà «dopo» ancora bere? mangiare? respirare? camminare? Avremo ancora «dopo» occhi, gambe, mani, orecchie, capelli, piedi? Potremo ancora «dopo» ridere? respirare? parlare? O saremo solo degli spettri freddi, fradici, separati per sempre dalla vita, inghiottiti dalla notte, morti per sempre, perduti, vinti, senza luce, caduti nel buio piú buio della notte… (pausa). Ma, scriveva ai suoi cari, mentre i carcerieri preparavano la sua morte, se ci fosse ancora la luce sarebbe bellissimo. Per i miei, i suoi, i nostri piccoli occhi mortali. Per tutti insomma… Ogni cosa splenderebbe di nuovo. Un lungo viaggio nel buio fitto di un bosco: gli alberi, i rovi, l’erba alta selvatica, le radici, i sassi, la terra, il fango, le foglie. Presagi nella notte. Occhi perduti dappertutto. Spaventati, tremanti, nudi, senza difese, senza parole. (Pausa: guardando direttamente una fonte luminosa) Ma se ci fosse ancora la luce, un pezzo, un frammento, solo un po’ di luce, ancora, sarebbe bellissimo. Magari quella che si vede d’inverno. Una luce nel freddo cielo di novembre. Pura, astratta. Quando ti ho vista, ricordi? C’era una piccola luce che ti adornava la testa. Era un’aureola? Eri un angelo?
Ma quando la morte avrà il nostro corpo da divorare, spappolare, scuoiare, squartare e tutto il resto che capita in questi casi, che deve capitare, insomma, quando, diceva, la morte avrà i tuoi occhi e tutto il resto, tutto quanto, tutto quello che resta, ecco quando saremo finiti, sfiniti, spenti, scomparsi, ridotti a marmi freddi, al silenzio totale, allora semplicemente non esisteremo piú, saremo solo polvere. Polvere di polvere, è stato scritto. Tutti quanti ridotti alla stessa polvere. Belli e brutti. Buoni e cattivi. Senza nome, senza parole, senza futuro. Lo eravamo e ritorneremo ad esserlo. La polvere intendo… Polvere nella polvere. Né piú, né meno di questo… solo della polvere… nel buio assoluto della polvere, della cenere… caduti da qualche parte fuori dall’esistenza…
MADRE (parla, dalla parte opposta del palco, tra sé e sé, senza rivolgersi a nessuno) Sei uscito da me gridando, eri un piccolo mucchietto d’ossa… Sei uscito dal mio corpo nudo, rasato, caduto per terra… (pausa). Poi ho sentito il tuo piccolo e ostinato cuore battere (suono di un battito di cuore, come all’inizio, di sottofondo). Il tuo piccolo cuore sul mio. Il miracolo del tuo cuore che batteva da solo vicino al mio… Un battito nell’assoluto vuoto, nell’assoluto buio di tutti i mondi, di tutti i tempi, di tutte le madri… Solo il tuo battito c’era a interrompere il silenzio preoccupato dei dottori. Loro ti vedevano già morto. Già polvere. Ma ogni nascita è sempre la nascita di un cuore, è sempre il battito di un cuore che arriva, di un cuore che sopravvive, che resiste all’aria impura della vita (fine suono del battito del cuore; pausa). I tuoi piccoli occhi mortali erano ancora chiusi quando venivi trafitto da aghi, spille, lame, tubi, costretto in fili di ferro, corsetti, maniglie, cinture, cannule, lacci, rasoi… Io ti vedevo, sai, trascinarti semi vivo o semi morto, com’eri, arrancare… Un piccolo corpicino chiuso in una stanza di vetro. Il tuo cuore batteva ancora? Me lo chiedevo ad ogni secondo. Ad ogni battito mi chiedevo se avessi potuto sentire anche quello che veniva dopo. Un battito dopo l’altro. Nell’intervallo tutta la mia angoscia. Ascoltavo solo il battito del tuo cuore nudo in quel silenzio artificiale. Me lo chiedevo sempre. Se improvvisamente avesse smesso di battere? Se ci fosse stato un ultimo battito e poi piú nulla… solo silenzio. Nessun altro battito. Un piccolo corpicino troppo fragile, troppo debole, solo un mucchietto di ossa… I tuoi occhi chiusi per sempre, senza luce. Ma avevi mai visto la luce, mi chiedevo? Si può nascere e morire senza aver mai visto la luce? Vivere non significa forse uscire dal buio, vedere la luce…? Con i tuoi piccoli occhi mortali… Insieme ai miei a guardare la luce del mondo (rivolta verso una fonte luminosa; pausa; avanzando verso Enne 2) ... Volevo dirti quanto ti ho aspettato, quanto ti ho cercato, quanto già mi eri mancato ancora prima di esistere. Ogni madre sa cosa significa attendere, aspettare… Io ti aspettavo mentre ti portavo con me, nelle viscere del mio corpo, confuso nel mio sangue. Ti avevo con me e ti aspettavo, ti sentivo e mi mancavi, eri dentro di me ma eri già fuori di me.
VOCE DI ENNE 2 (fuori campo) Si rase il capo e cadde a terra… Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò… ricoperta di vermi e croste polverose è la mia carne, raggrinzita la mia pelle si dissolve… volesse Dio schiacciarmi, stendere la sua mano e sopprimermi… questo solo sarebbe il mio conforto..
MADRE (rivolta al pubblico come se fosse il suo interlocutore) Dobbiamo essere sinceri. Mi perdoni signora. Lei è cosí giovane, mi diceva il medico. Avrà certo il modo di avere altre gravidanze dopo questa. Non si preoccupi. Ne avrà tutto il tempo. La valutazione clinica del caso mi impone di dirle che sarà molto difficile che il bambino possa sopravvivere. Mi perdoni ma questa è la verità. Non ha difese, non ha forza. È nato troppo, troppo presto. È come un organismo incompiuto, sprovvisto delle sue normali risorse. Lei è cosí giovane, non si preoccupi. Recupererà in fretta questa delusione. Ma il corpo di questo bambino è senza speranza. Bisogna che glielo dica francamente. È troppo piccolo, troppo gracile, troppo debole. Si prepari al peggio. Non durerà questa notte. Non vedrà la luce dell’alba. È molto probabile. Mi perdoni la franchezza, signora…, cosí mi diceva il medico. Poi avevano chiamato un prete. Come si fa in questi casi. E anche il prete mi parlava e non mi lasciava nessuna speranza. Sí signora, potrebbe morire ora, adesso, dopo pochi giorni dalla sua nascita. In questi casi io sostengo che è sempre meglio dare l’estrema unzione insieme al battesimo. Lo accogliamo nel popolo di Dio e lo consegniamo direttamente alla sua misericordia nello stesso momento, mi diceva ad un orecchio sottovoce. Poi di fianco al medico e al prete c’era anche tuo padre. Ogni volta che tornavo a casa senza di te mi diceva: «Per me è troppo. Io non posso vederlo cosí… Meglio morto, meglio che non soffra. Sembra un gattino indifeso. Troppo dolore per me vederlo cosí appeso a un filo. Meglio lasciarlo, meglio che cada, adesso, adesso che non sa ancora di esistere. Troppa angoscia per tutti. Sente? Soffre? Sente di dover morire? Sa di essere vivo? Meglio spegnere tutto adesso. Subito. Adesso che siamo ancora in tempo per cancellare questo sbaglio. Meglio andare via. Ne faremo un altro vedrai. Migliore, con piú forza. Normale insomma. Come dovrebbero essere tutti i bambini, tutti i figli di Dio…», cosí mi diceva tuo padre. E poi di nuovo il medico che continuava: «Non possiamo però decidere noi. Il suo cuore batte, continua a battere, non si ferma. Bisogna aspettare e vedere finché dura. Bisogna aspettare. Adesso lo proteggiamo mettendolo in una incubatrice. Lo stiamo aiutando al meglio, lo stiamo curando come possiamo. Ascoltiamo il suo cuore battere. Monitoriamo. Dopo un battito l’altro…» (pausa; fuori campo il suono di un battito del cuore). I tuoi battiti erano irr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. AMEN
  4. ATTO UNICO
  5. Il libro
  6. L’autore
  7. Dello stesso autore
  8. Copyright