Mare Nostrum.
Scrivere la recente storia del soccorso in mare non è semplice. Per lavoro sono abituato all’azione, a stare sul campo, ma prima cerco di studiare, di documentarmi.
In qualsiasi storia serve sempre una data d’inizio e nel nostro caso è il 3 ottobre 2013, a Lampedusa, nel centro del Mar Mediterraneo. Sono le prime ore del mattino quando un peschereccio con circa cinquecentoquaranta persone a bordo si trova a ottocento metri dalle coste dell’isola. È ancora buio e da lontano vedono le luci di una grossa nave. Le testimonianze che ha raccolto Alessandro Leogrande nel libro La frontiera (Feltrinelli, 2015) raccontano che quella nave fa un giro intorno al peschereccio partito dalle coste libiche e poi tira dritto. La delusione deve essere stata grande perché, scrive Leogrande, pensavano che sarebbe andata a prenderli. Succede quasi la stessa cosa con una seconda imbarcazione e loro continuano a restare lí, a largo della Spiaggia dei Conigli, a pochi metri dall’Europa.
Alle sei e trenta del mattino a bordo si accorgono che il sistema di drenaggio si è inceppato e il peschereccio, già carico ben oltre le sue possibilità, sta imbarcando acqua. Cresce il panico. Il comandante fa un gesto strano: prende una coperta e le da fuoco. Vuole sedare gli animi ma anche farsi vedere da alcune imbarcazioni che stanno passando nelle vicinanze. Le persone che sono a poppa si spostano a prua e in pochi secondi il peschereccio si capovolge in mare, insieme alle numerose taniche di gasolio che erano ancora a bordo.
Chi è in stiva non ha possibilità di sopravvivere: quando un’imbarcazione di questo tipo si capovolge infatti le decine di persone ammassate sotto il ponte muoiono affogate. Altri cadono in mare, alcuni non sanno nuotare, altri ancora nel panico bevono acqua salata mista al gasolio che si è rovesciato. La conta dei morti nei giorni successivi fa impressione: trecentosessantotto accertati, venti dispersi e centocinquantacinque sopravvissuti, tra cui quattordici minori.
Le urla delle persone che stanno affogando arrivano all’imbarcazione di Vito, il proprietario di una gelateria in via Roma a Lampedusa, che la sera prima è uscito in mare con degli amici per passare una notte a largo della bellissima Isola dei Conigli. Vito, Marcello, Grazia e tutti gli altri lanciano l’allarme alla Guardia Costiera di Lampedusa e intanto iniziano a soccorrere le persone. Ne salvano piú che possono, fino a quando la loro piccola barca rischia anch’essa di affondare per il peso.
L’evento è talmente drammatico che il lavoro di recupero dei corpi va avanti a lungo e il 6 ottobre, quindi tre giorni dopo, uno dei sommozzatori impegnati nelle operazioni dichiara alla stampa:
Sono tutti attaccati uno con l’altro, ognuno avrà non piú di trenta centimetri di spazio, ci sono pile di uomini e donne nella stiva del peschereccio. Una buona parte sono stipati nella stiva, sono bloccati lí dentro e li dobbiamo tirar fuori uno a uno1.
Nei giorni successivi si diffondono il dolore e la commozione e il governo italiano arriva rappresentato dal presidente del Consiglio Enrico Letta e dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Vola a Lampedusa anche il presidente della Commissione europea Manuel Barroso, che dopo aver visto le bare allineate dichiara:
L’immagine delle centinaia di bare non andrà mai via dalla mia mente. È un’immagine che non si può dimenticare. C’erano bare di bambini, madri e figli: è qualcosa che mi ha scioccato e rattristato. L’Europa sta con la gente di Lampedusa. Il problema di uno dei nostri paesi, come l’Italia, deve essere percepito come un problema di tutta l’Europa. Insieme possiamo agire in modo piú adeguato. L’Europa non può girarsi dall’altra parte2.
Barroso parla di un coinvolgimento dell’Europa nella gestione del fenomeno migratorio, un sostegno che tutti i paesi membri e le istituzioni di Bruxelles dovrebbero dare all’Italia. Nelle stesse ore il presidente francese Hollande definisce una strategia in tre fasi: prevenzione, solidarietà, protezione.
La «prevenzione» che l’Europa vuole organizzare è una grande operazione di salvataggio nel Mediterraneo: «Da Cipro alla Spagna», dice la commissaria Malmström ai ministri dei ventotto paesi membri3.
Passano pochi giorni, otto per la precisione, e un’altra strage in mare arriva alle cronache italiane: duecentosessantotto persone, sessanta dei quali bambini, muoiono dopo ore di attesa dei soccorsi che non arrivano mai. È stata poi chiamata «la strage dei bambini» ma potremmo chiamarla anche «la strage delle famiglie siriane e palestinesi». A bordo infatti erano tutte famiglie provenienti da Siria e Palestina. Lampedusa si trova a sessantuno miglia, Malta a centodiciotto e nonostante le numerose richieste d’aiuto da parte di un aereo maltese la nave italiana Libra non interviene. A bordo il comando è del tenente di vascello Catia Pellegrino, prima donna comandante di una nave della Marina Militare italiana, alla quale la Rai dedicherà poco tempo dopo un documentario dal titolo La scelta di Catia, proprio sulle missioni di soccorso in mare. Fabrizio Gatti, inviato de «L’Espresso», ha ricostruito la vicenda anche grazie a delle fonti della Armed Forces of Malta, che mostrano come Libra non sia intervenuta per cinque ore nonostante si trovasse tra le dieci e le diciannove miglia nautiche, una distanza facilmente percorribile al massimo in un’ora4.
La ricostruzione di Gatti evidenzia come l’Italia non sia voluta intervenire e come abbia passato la palla a Malta, senza mai dare informazioni precise e puntuali5. E nel gennaio 2021 viene condannata per questa strage dal Comitato dei diritti umani dell’Onu.
L’inchiesta e la condanna però arrivano molto tempo dopo, in quei giorni si parla del naufragio, dei sessanta bambini e dei loro genitori. L’opinione pubblica è emotivamente colpita da quello che sta accadendo poco a sud delle nostre coste, ed è in questo clima politico che nasce l’operazione Mare Nostrum una «missione militare e umanitaria» per usare le parole del presidente del Consiglio Enrico Letta che il 14 ottobre, quindi appena undici giorni dopo la strage, annuncia che sarà l’Italia a farsi carico del «rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare per incrementare il livello di sicurezza delle vite umane»6.
Le operazioni iniziano ufficialmente il 18 ottobre 2013 e si concludono il 31 ottobre 2014. I costi totali sono alti: piú di nove milioni di euro al mese, di cui sette per il funzionamento e la manutenzione dei mezzi e poco piú di due per gli oneri relativi al personale. Dall’Unione Europea per il controllo delle frontiere vengono stanziati meno di due milioni, il resto è tutto a carico del governo italiano. Nonostante questo Letta difende l’operazione pubblicamente e alla Camera dei deputati l’11 dicembre 2013 dichiara:
(Mare Nostrum) In questi due mesi ha evitato che ai trecentocinquanta e piú migranti che drammaticamente sono morti a Lampedusa, se ne aggiungessero altri – secondo le nostre stime – 2000: 2000 persone che sono state salvate mentre stavano per annegare in mare. Questa è l’Italia, al di là di tutte le differenze7.
Alla fine della missione i numeri dimostrano, da un punto di vista umanitario, che l’azione è stata un successo:
I migranti soccorsi nell’ambito dei cinquecentosessantatre interventi sono stati 101 000, di cui 12 000 minori non accompagnati; sono stati rinvenuti 499 cadaveri, mentre i dispersi, sulla base della testimonianza dei sopravvissuti, potrebbero essere piú di 1800; sono stati arrestati settecentoventotto scafisti e sequestrate otto imbarcazioni8.
Svuotiamo il mare.
«L’ha spiegato molto bene il ministro Alfano che l’operazione Mare Nostrum viene sostituita da un intervento complessivo dell’Unione Europea»9 dice Matteo Renzi il 10 ottobre 2014 alla trasmissione Virus di Rai Due.
Renzi giura da presidente del Consiglio dei ministri il 22 febbraio 2014, subentrando a Enrico Letta, e per molti mesi difende Mare Nostrum dagli attacchi dell’opposizione di destra che chiede il blocco immediato. Quando però si avvicina la scadenza dell’operazione in mare decide, anche a seguito di pressioni interne al governo provenienti proprio da Alfano, che Mare Nostrum è rottamabile e che la missione Triton dell’Agenzia Frontex prenderà il suo posto. Quello che non dice, però, è che le regole d’ingaggio di Triton sono completamente diverse.
A far chiarezza su questo ci pensa Arias Fernandez, direttore esecutivo di Frontex, che dichiara:
L’Agenzia e l’Ue non possono sostituire gli stati membri nella responsabilità di controllare le loro frontiere: da noi ci sarà un supporto. Triton partirà l’1 novembre indipendentemente da quello che accadrà a Mare Nostrum: la decisione se ridurre o terminare quest’ultima spetta al governo italiano. Salvare vite umane è sempre una priorità assoluta, ma il mandato dell’Agenzia è quello di controllare le frontiere, non facciamo ricerca e soccorso10.
Da «missione militare e umanitaria» a «controllo delle frontiere», un cambiamento importante soprattutto negli aspetti tecnici, che prevedono l’arretramento del pattugliamento dalle coste libiche. Ogni nave, infatti, è obbligata dalle leggi internazionali a intervenire nel caso in cui un’altra imbarcazione fosse in distress, ovvero in pericolo imminente. Le regole d’ingaggio della missione Triton non possono sostituire il diritto internazionale, quindi l’Unione Europea e l’Agenzia stessa decidono che il pattugliamento e la «difesa delle frontiere» avverrà a trenta miglia dalle coste italiane e maltesi. La volontà è di svuotare il Mediterraneo Centrale di navi che possano fare soccorso. Rispetto al 2012 i numeri sono cresciuti esponenzialmente, dalla Libia in guerra cercano di partire tutti, libici e non. Nel 2012 la Marina Militare italiana partecipa a ventiquattro eventi Sar e soccorre complessivamente 2586 persone. Nel 2013, quando inizia Mare Nostrum, gli eventi Sar sono novantacinque e le persone salvate 11 499. Poi dal 1° gennaio 2014 al 31 ottobre dello stesso anno interviene in quattrocentotrentanove eventi Sar soccorrendo 156 362 persone11.
La volontà è quella di tornare al 2012, o comunque a prima del 3 ottobre 201312. E il 1° novembre 2014 parte Triton, il budget è ridotto a poco meno di tre milioni di euro e i mezzi navali e aerei sono esigui.
Se lasci un vuoto, qualcuno lo riempirà.
Mare Nostrum ha quindi lasciato un vuoto di decine e decine di miglia nautiche tra Lampedusa, Malta e la Libia. L’emergenza umanitaria non è finita, è finita l’emotività dell’opinione pubblica e la politica ne ha approfittato per ristabilire l’ordine delle priorità dei governi: frontiere chiuse e militari schierati.
Nell’agosto 2014 arriva nel Mediterraneo la prima Ong che s...