Nature umane
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Nature umane

  1. 112 pagine
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Nature umane

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Altre esistenze, note a margine, mezze verità, testimonianze, particolari in controsenso: queste, e altre ancora, le immagini con cui Marco Balzano prova a classificare le poesie che lo accompagnano da molti anni (non tutti i suoi lettori sapranno che ha esordito appunto come poeta nel 2007) e che trovano ora, con quelle piú recenti e inedite, una definitiva sistemazione nelle Nature umane che le raccolgono. Poesia che prova a scalfire la crosta dell'apparenza, come ha osservato Giampiero Neri; tensione gnomica che attraversa le parole, secondo il giudizio di Giancarlo Pontiggia; testi che indagano e custodiscono qualche scintilla di senso, di dubbio, di verità, e che si offrono al lettore come «le arance fasciate nella paglia», capaci di illuminare antichi e nuovi inverni. La scrittura poetica nasce qui dal dettaglio concreto, materico: l'oggetto improvvisamente colto dallo sguardo è interrogato dalla mente e dalla coscienza, e manifestato nel «rosario piú scheggiato», quello delle parole, trasformandosi in un breve dispositivo ritmico che ne potenzia e moltiplica i significati, spiazza le aspettative, turba. La parola poetica, annotava Balzano in Le parole sono importanti (2019), «crea l'interpretazione»: si offre al lettore e lo impegna a non essere soltanto «animale senz'anima, nient'altro che vivente». Gli chiede di camminare «sotto il dirupo», ricordando (con profumo dantesco) che «in questa vigilia eterna la borraccia | è la sola cosa che va tenuta stretta».
Fabio Pusterla

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
ISBN
9788858438978
Argomento
Littérature
Categoria
Poésie

Prima persona

ho imparato col tempo ad amarli
quei fiori finti vicino all’abat-jour,
ogni tanto ci strofino anche le dita
sui petali sintetici dei girasoli in miniatura.
Non ho piú paura di questo genere di cose
di margherite false, di apparenze senza vita
di rose sempre rosa a cui hanno estirpato
come un dente marcio il tempo.
È vero non profumano, lo so.
Ma posso abbandonarli tutti i giorni
e d’improvviso amarli senza mai rimorsi.
Respirare in quell’aria che non odora
la dignità di chi ha cancellato l’anima.

le marionette

a Luisa Adorno
in cantina ho ritrovato le marionette
mentre cercavo la valigia hanno fatto rumore
di dita che si schioccano.
Dormivano bene ancora
gli zigomi rossastri, le gambe pronte a raddrizzarsi
come fosse beato sopra gli anni
quel sonno ad occhi aperti.
La voglia di tirare i fili e rizzare tutti quei pupazzi
l’ho soffocata questa volta
senza reclamare alcuna infanzia…
non avrei trovato differenza
tra i loro inchini e i saluti a cui rispondo
tra quel ravvivarsi falsamente e la mia faccia
e quella della gente.
invece è una stella quella che sembra
un aereo. Fissa splende stasera
davanti al balcone di casa mentre
fumo la sigaretta di fine giornata.
Sai che se la continuo a guardare
di colpo m’assale come una fretta
di morire?
Cosí, per capire che succede
là dietro quando tutto fa buio.
Cosa si vede, in cosa si crede.
mi piaceva da bambino raccogliere
col mestolo il riflesso della luna.
Il cuore, però, alla sola idea si agitava
un battito violento e senza senso
lo scuoteva. Quando le mani tremolanti
increspavano l’acqua nella bacinella,
piccole onde sbattevano contro le pareti.
La speranza di travasare nel bicchiere
quella luce e portarla nella stanza
sempre è svanita prima di accadere.
E nemmeno dopo l’ho imparato
che lo stupore vuole un cuore quieto.
I miracoli la mano ferma.
una striscia di scotch, cosí, per gioco.
Da zero a cento numeriamo il tempo.
Togli il passato: quaranta.
Leva il troppo: dagli ottanta.
Strappa un lembo per il cibo, un altro per il sonno.
I bambini, i libri, la scuola…
un altro ancora per prudenza.
A furia di sottrarre mi confondo, volano
strisce a caso, brandelli s’incollano
alle mani, altri al pavimento.
Si fa triste il gioco. Nemmeno so cos’è
questo lacerto che ora avanza,
se il tempo finalmente nostro,
quel poco di vacanza che ci spetta
una reliquia
a cui dobbiamo dare un nome.
sai, da quando sei andata via
ho avuto giorni come gabbie.
E questo era forse giusto, e lo era
pure il tuo andartene da un altro
piú alla buona di me, che non lo sono affatto.
Però l’altro giorno camminavo a passo svelto
verso la stazione delle Nord e non volendo
mi è caduto l’occhio sull’altro marciapiede.
Il faggio sopravvissuto ai riassetti urbani
rigonfiava la radice e dritto la crepava tutta
quella scorza d’asfalto che gli avevano buttato addosso.
A vederlo lí che se ne stava teso
che cercava ancora spazio
non mi ha fatto per quel giorno piú paura il tempo.
Se le gabbie si spezzano quando s’impara a stare fermi…
mi sono detto, rallentando il passo.
Anna, mi aiuti tu che conosci a memoria
le linee della mia mano
le rughe malcerte che scavano
sotto i ricci, intorno agli occhiali,
mi aiuti tu, piano piano,
martedí mercoledí giovedí…
ad accettare i giorni incinghiati negli orologi
quelli dove si impara il tempo
senza scrivere necrologi,
mi aiuterai tu a perdonare il momento
della ruggine che arriva come la neve?
quei fiori appesi ai pali, sulle strade di provincia, sulle tangenziali
senza steli e senza odori, flosci per lo smog, secchi per il vento.
Appena dopo l’incidente li cambiavi tutti i giorni
cocciuta ti giuravi che ci saranno sempre.
Non sai quand’è successo che non sei piú andata
forse il mal di testa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. NATURE UMANE
  4. Altre esistenze
  5. Testimonianza
  6. Note a margine
  7. Prima persona
  8. Particolari in controsenso
  9. Fine primo tempo
  10. Levanto e altre città
  11. Mezze verità
  12. Nota
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright