Una donna correva lungo il ponte sul fiume, in direzione della centrale idroelettrica.
Aveva perso una scarpa e la gonna, e i collant erano strappati.
Gridava, ma nessuno poteva sentirla.
L’uomo che la inseguiva presto o tardi l’avrebbe raggiunta e uccisa. Lo sapeva lei e lo sapeva lui.
Avrebbe dovuto essere l’inizio di una nuova vita. Nicola Zecchi era un ginecologo importante e si era innamorato proprio di lei, una escort. Una settimana prima, durante il loro ultimo incontro, le aveva consegnato una chiavetta Usb dicendole di nasconderla.
– Cosa contiene? – aveva domandato lei.
– Meglio che tu non lo sappia. Sarà il nostro passaporto.
– Per dove?
– Non ti preoccupare. Voglio uscirne, non doveva andare a finire cosí, lei non doveva morire.
– Cosa stai dicendo? Chi non doveva morire? Mi spaventi.
– Quando saremo al sicuro ti racconterò tutto. Adesso accontentati di sapere che con queste prove e con i soldi che ho nascosti all’estero non potranno toccarci. Fai ciò che ti ho detto e tieniti pronta a partire.
Cosí aveva fatto. Una volta a casa aveva riempito una piccola valigia e aveva aspettato.
E dopo una settimana, finalmente, era arrivata la telefonata tanto attesa.
Lei però si era agitata. Non aveva capito se avesse dovuto presentarsi nel luogo indicato con la chiavetta o se poi sarebbero andati insieme a prenderla. Nel dubbio, l’aveva lasciata dove era. Una decisione, ora se ne rendeva conto, che non le avrebbe salvato la vita, ma che almeno non l’avrebbe salvata neanche a quello stronzo di Nicola.
L’aveva tradita, come tutti gli uomini.
Vigliacco.
Quando si era resa conto dei guai in cui si era cacciata, era già troppo tardi.
Era arrivata alla villa di Zecchi accompagnata dal suo autista.
Nicola amava il lusso e la discrezione, e per questo di recente aveva acquistato uno dei pochissimi cottage a Crespi D’Adda, lo storico villaggio di case appartenute all’industriale Crespi che adesso erano patrimonio dell’Unesco. Aveva comprato il piú isolato, il piú grande, il piú bello. Al tramonto, quando i turisti che affollavano il sito tornavano alle loro macchine, quel luogo si svuotava. Restavano solo il vecchio cotonificio, deserto e imponente, il castello Crespi, il cimitero e la centrale idroelettrica.
Non appena era entrata, si era accorta che qualcosa non andava. Lui era spaventato, sudava copiosamente ed era evasivo. L’aveva fatta accomodare in salone ed era corso a chiudersi nello studio, come se qualcuno lo stesse aspettando.
Piú i minuti trascorrevano, piú l’ansia di lei cresceva. Per questo aveva deciso di alzarsi e andare a controllare di persona. E i sospetti erano diventati presto certezza quando aveva sentito delle voci sommesse provenire da dietro la porta chiusa dello studio. Allora aveva accostato l’orecchio.
– Sei stato stupido, – stava dicendo qualcuno. – Hai messo a rischio gli affari.
– Non li ho messi a rischio io, ma chi ha ammazzato la ragazza.
– Era andata fuori di testa, è vero. Comunque non doveva succedere. Quella faccenda, però, è stata sistemata. Non credevamo di dovere risolvere anche un problema proveniente dall’interno. Cosa pensavi di fare? Scappare? E con chi, poi? Con una puttana?
– Certo che no… Scappare, io? Volevo farla confessare e raccontarvi tutto.
– Vedremo.
– C… come vedremo? Gli altri ti hanno detto qualcosa?
– Al momento non sei la loro priorità. La loro priorità è lei.
Grazia, dall’altra parte della porta, si era sentita morire. Le gambe avevano ceduto e si era dovuta appoggiare al muro per non cadere. Aveva fatto rumore? Rimase per qualche secondo senza emettere un suono, ma non accadde nulla. Cosa avevano intenzione di fare? E perché? Non riusciva a capacitarsi di essere finita in una situazione del genere.
– Ce l’ha con sé? – stava proseguendo l’uomo.
– Sí, sí. Per ricattarmi, te l’ho detto…
Non era possibile. Cosa stava dicendo? Un ricatto? Lei?
– Appena l’ho saputo…
– Appena lo hai saputo non hai fatto niente. Per fortuna abbiamo i nostri informatori.
Informatori? Di chi stava parlando? Lei era stata di parola e l’unica persona con la quale si era confidata… no, non era possibile!
– Stavo… stavo solo cercando il modo di risolvere il problema.
– Facendola venire qui con la valigia? E la tua? Perché è all’ingresso? Dove pensavate di andare?
– Da nessuna parte. Io devo partire per lavoro, lei… lei invece credeva di scappare con i soldi del ricatto.
– Stai zitto! Adesso devo sbarazzarmi della ragazza e recuperare i file. Poi aspetterò nuovi ordini.
Era stato in quel momento che lei aveva sentito come un clic dentro di sé, e la paura era stata sostituita da qualcosa di ancora piú forte: l’istinto di sopravvivenza.
Allora si era messa a correre, correre, senza mai guardarsi indietro. Era uscita dalla villa e aveva continuato a correre, prima attraverso il grande giardino, poi fuori, dopo aver scavalcato il cancello. Lí si era strappata la gonna e aveva perso la scarpa.
Come Cenerentola.
Solo che ad aspettarla non avrebbe trovato una zucca trasformata in carrozza, e a inseguirla non era un principe pronto a raccoglierle la scarpa, ma un assassino.
Dove poteva andare? Quelle ville erano quasi tutte disabitate e intorno non c’era nulla. Si diresse verso la centrale idroelettrica. Lí, forse, avrebbe potuto nascondersi.
Raggiunto il ponte sull’Adda continuò a correre a perdifiato. Le forze la stavano abbandonando. A un tratto, capí. Capí che quella fuga non aveva senso. Non aveva alcuna speranza di cavarsela. Rallentò fino a fermarsi. Con i polmoni in fiamme e la gola secca trovò il coraggio di voltarsi. Non riusciva a vedere niente, era troppo buio, ma sentí. Sentí il rumore dei passi sul ponte di ferro. Lui stava arrivando e per lei era finita.
Decise di sfruttare il poco vantaggio che ancora aveva per fare l’unica cosa sensata.
Si aggrappò alla balaustra e con la mano libera frugò nella borsa, prese il cellulare e chiamò.
Aveva il cuore che pulsava all’impazzata.
Scattò la segreteria.
– Accidenti! Melinda, Melinda, devo parlarti, sono nella merda, – disse. Piangeva. – Mi uccideranno e non so neanche perché. Mi sono fidata dell’uomo sbagliato. Diceva di amarmi, che ci saremmo rifatti una vita all’estero. Credo… credo sia morta una persona, una ragazza, ma non so in che traffici sia invischiato… Mi ha detto di nascondere una cosa e io l’ho fatto, ma adesso… Pronto? Pronto? Oh, merda, – era scaduto il tempo. Richiamò. Di nuovo la segreteria. Doveva fare in fretta. – Melinda, non fidarti di nessuno. Nessuno, capito? E segnati questo numero: 176…
– Con chi stai parlando?
Riattaccò, come una scolaretta trovata in bagno a farsi uno spinello, e cercò di individuare l’uomo nel buio, strizzando gli occhi. Non era ancora vicino, ma poteva distinguerne la sagoma, gigantesca e spaventosa.
– No… non prende, non c’è campo. Vedi? – e sollevò la mano che teneva il cellulare.
L’uomo cominciò a camminare verso di lei strusciando la pistola sui sostegni di ferro del ponte. Il rumore era raggelante.
– Dallo a me, – le ordinò, ormai vicinissimo.
Il volto della donna era rigato dalle lacrime e il mascara, colato lungo le guance, la faceva somigliare a un pierrot. Una caricatura di ciò che era stata fino a qualche ora prima.
Pensò alla sua famiglia lontana, alla nipotina adorata che non avrebbe visto crescere. Pensò a tutto quello che avrebbe ancora voluto fare e che non avrebbe fatto. E allora fu assalita da un moto di rabbia e la tigre che si era tatuata sulla schiena le trasmise la sua energia. Non aveva niente da perdere. Scaraventò a terra il cellulare, sollevò il piede e cominciò a calpestarlo con violenza utilizzando il tacco. Ma non era facile come pensava. Gli occhi appannati, le gambe deboli. Il telefono non si era neanche scalfito. Credeva di compiere un gesto eroico, invece era stato solo l’atto disperato di una donna fragile, una escort, l’ennesima vittima di un uomo. Non sarebbe passata alla storia.
– Ora che ti sei divertita, puoi raccoglierlo e darmelo.
– Era… era tutto qui dentro, – mentí lei.
– Lo vedremo.
L’uomo la colpí in faccia con il calcio della pistola e lei sentí l’osso della mandibola che si spezzava. O forse era la sua anima. Cadde a terra gridando per il dolore.
Attraverso gli occhi offuscati dalle lacrime vide una piovra gigante che si chinava su di lei. Poteva scorgere i tentacoli che si attorcigliavano attorno al collo dell’uomo e una svastica.
Magari invece stava sognando, magari era già morta.
– Ce l’ho, – disse con la sua terribile voce metallica.
A chi? Grazia non vedeva nessuno, lí.
Poi lui si toccò l’orecchio e lei comprese che stava parlando attraverso un auricolare.
– Ho il suo cellulare. ...