Fídeg
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Fídeg

  1. 216 pagine
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Informazioni sul libro

Una radiografia al vetriolo della letteratura italiana, con i suoi tic e miti, le sue idiosincrasie e psicosi. Perso in un autolavaggio il dattiloscritto del suo romanzo storico di millecinquecento pagine sugli eroi da Garibaldi ai nostri giorni, Bisi, articolista freelance e aspirante autore frustrato, decide di riscrivere quel suo piccolo capolavoro, con l'intenzione di ridurne il numero di pagine. Tuttavia, una volta al lavoro, anziché occuparsi di eroi, decide di raccontare la figura dell'antieroe, piú novecentesca e domestica, dietro cui si nascondono le disillusioni e il senso di invisibilità dell'intellettuale incompreso. Di chi cova il sospetto di trovarsi dalla parte sbagliata, come l'ambizioso manoscritto su Garibaldi dimenticato nel baule della Punto Van e probabilmente finito al macero. Corrosivo e divertente, Fídeg mette in burla vari aspetti della società contemporanea, in particolare i riti del mondo editoriale, immaginato come un articolato schema idraulico, completo di wc e omini serafici in cima ai tubi, intenti a produrre letteratura.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2022
ISBN
9788858438886

Capitolo terzo

Il comandante del reggimento, principe Makaev,
mi dice: «Sono molto contento della sua compagnia».
«Non abbiamo fatto nulla, vostra serenità» rispondo
tutto confuso. «Avete fatto quello che occorreva.
Si trattava in effetti di una diversione,
non di un attacco». «Ah, era una diversione?»
M. Zoščenko

1. Il Grincia.

Nello Benazzi pratica la critica del presente e s’incazza coi revisionisti del passato. Io faccio il revisionista del presente e non mi incazzo quasi mai.
Questo capitolo Nello Benazzi non lo vuole neanche leggere, dopo che gliel’ho condensato a voce. E sbaglia, perché in questo capitolo l’autore abbandona il registro storico per assumere quello sociologico. Che fino a qualche anno fa il registro sociologico a Nello Benazzi, noto esponente della contestazione giovanile della prima metà degli anni Settanta, lo appassionava molto; piú ancora di quello storico.
Il motivo per cui Nello Benazzi non vuol piú andare avanti è che io in questa veste di revisionista del presente ho scoperto che oggigiorno ci sono tanti di quei veri eroi che quelli di una volta, detto onestamente, sembrano solo delle macchiette. Parliamo di eroi completi, con carisma magnetismo autorità.
E dirò anche, tanto per arrivare subito al nocciolo, che un po’ di settimane fa – a un bellissimo matrimonio rustico postindustriale col catering che veniva da Milano a duecento carte cadauno, il Grincia che cantava le emozioni degli anni Sessanta-Settanta-Ottanta e lo sposo che ogni tre per due dedicava agli ospiti una canzone di Vallesi che a lui piace molto Vallesi perché è straripante d’anima – per poco non mi trovavo a mangiare insieme a uno di questi eroi contemporanei, forse uno dei principali, tra gli eroi contemporanei.
Il Grincia, per aprire una parentesi, è un cantante di talento che trent’anni fa cantava nel gruppo dei Marimbos. Ora fa i matrimoni e le cerimonie, piú in generale i pranzi le cene e i rinfreschi, cioè canta intanto che gli altri mangiano.
Il Grincia se lo chiami a suonare pretende prima un colloquio privato e ti chiede: allora, su che genere stiamo. E se gli rispondi: quel che vuoi te, da suonare un po’ intanto che la gente mangia, lui fa dietrofront e va via. Capace che ti manda anche a cagare.
Se invece tu gli dici: ma, comincerei con un po’ di melodico intimistico stile Endrigo prima maniera, melanconico popolare tipo Milva prima di Brecht, Mina prima di Gadda eccetera eccetera, lui annuisce serio e si vede che è contento: puoi parlare anche a ruota libera, mi han detto, citare Hindemith o Berg o Caccini e la camerata fiorentina, che il Grincia ti ascolta e annuisce.
Il Grincia quando arriva collega l’impianto voce con un po’ di boria, dice che la rete elettrica che c’è lí non va bene ma che vedrà di fare un miracolo, poi dice che l’acustica non è adatta, c’è un fastidioso ritorno di bassi, poi si incazza perché dice che qualcuno gli ha toccato il sound. Sono cose che lui dice sempre, anche quando l’impianto elettrico va bene, l’acustica è perfetta e nessuno gli ha toccato il sound che chissà cos’è il sound, non lo sa neanche lui; però ti fa pesare tutto questo con gesti paternalistici e ti tratta da incompetente che non sai neanche cosa vuol dire montare l’impianto voce, averci il sound, averci i bassi, gli effetti e le ritmiche. Poi fa prova prova sssí sssí hhha hhha hhha, con la bocca contro il microfono e uno sguardo serio professionale come dire non rompetemi i maroni che sto facendo un lavoro di precisione. Poi si rilassa, riappoggia le labbra al microfono, saluta gli ospiti con un mugolio seducente e attacca Io senza lei, di Parravicini Gozzi Castellari: calda notte d’agosto | ma la voglia di morire sento dentro | questo desiderio che mi brucia accanto | mi riporta indietro con la fantasia.
Che è un vecchio successo dei Marimbos, ritmica bossanova, sound caraibico. In qualunque stagione dell’anno lui attacca calda notte davvero | di un’immagine mi sento prigioniero | se ripenso che lo sguardo suo sincero | si è perduto in una stupida bugia. Col ritornello: Io senza lei | non vedo piú i colori dell’estate | la nave va | ma senza meta né felicità.
È la colonna sonora del Grincia e ormai, forza dell’abitudine, la canta senza nessun sentimento e con un po’ di noia, pensando ai fatti suoi e aspettando di finire, come se stesse pisciando.
Poi finita la canzone dice che è molto contento di essere qui e saluta tutti gli ospiti col gesto collaudato dell’artista in turné, però non lo ascolta nessuno, tutti mangiano.
Che lui tutte queste uscite le chiama concerti. Dice a sua moglie, c’ho un concerto domani pomeriggio all’hotel Nordest di via Conciliazione o al lido Po o alla foresteria Bellaria e sua moglie, che fa la moglie dell’artista itinerante, dice mio marito questa settimana c’ha un ricco carnet di serate; che lei invece i concerti, anche quando sono di giorno, li chiama serate.
Ma a quel matrimonio postindustriale il Grincia era diverso, non si è comportato come fa di solito: quando ha attaccato Io senza lei l’ha fatto con impegno, si è anche emozionato e ha lisciato via in due o tre acuti.
Io so le ragioni di questa trasformazione, che però è stata solo transitoria, e se ho voluto introdurre la figura del Grincia non è solo perché meritava ma anche perché è proprio delle cause sociologiche di questo fenomeno transitorio che bisogna parlare in questo punto del libro.

2. La trasfigurazione del Grincia.

Ho poca confidenza con le chiese, e di conseguenza con i matrimoni, i funerali, i battesimi. C’è anche da dire che ho contatti sociali molto scarsi, tolto Nello Benazzi e gli amici piú volte nominati, e quindi mi capita raramente d’essere invitato.
Se devo però scegliere a tutti i costi la cerimonia, piuttosto che ai matrimoni preferisco andare ai funerali dove i registri cerimoniosi sono di solito meno invadenti e conviviali e anche i pensieri e i discorsi, a parte dover parlare bene del morto che fa piacere ai superstiti, sono piú prudenti e lungimiranti, la gente non si agita e non ride, che a me vedere intorno della gente che si agita e ride per niente mi fa venire il mal di mare. E poi tornare a casa da un funerale torni come piú fiducioso. Dai matrimoni torni pesantissimo e un po’ umiliato, da un punto di vista intellettuale.
Conosco invece della gente che farebbe carte false per essere invitata ai matrimoni o ai battesimi o alle cresime, dove si diverte moltissimo; e quando muore qualcuno manda un telegramma sbrigativo tipo partecipo al vostro lutto, oppure al vostro cordoglio, oppure vi abbraccio in ricordo del caro estinto.
A questo matrimonio postindustriale però dovevo accompagnare l’Emilia a tutti i costi perché me lo aveva chiesto con un anticipo di tre mesi e non ero piú in tempo a dir di no. Siamo arrivati tardi, in chiesa, il prete stava predicando a braccio. E intanto che entravo e richiudevo la porta immergendomi nell’odore freddo di paraffina, terracotta, fiori passi, olio di gomito, sudore di piedi, che di solito si sente amalgamato all’ingresso delle chiese, il prete diceva che il valore delle persone si misura anche dal peso morale delle amicizie. Poi faceva una pausa fino a che sfumava il riverbero della voce sulla parola amicizie; le amicizie, diceva ancora, sono i compagni di viaggio di quella meravigliosa avventura che è la vita. Tutto un discorso con toni in crescendo e lunghe pause di recupero. Poi diceva che la meravigliosa compagnia qui convenuta a partecipare alla gioia degli sposi in grazia di dio rappresentava un meraviglioso momento di santificazione di quel meraviglioso connubio di umana santità che è la festa di un matrimonio. Mi sembrava un discorso un po’ ciclico, se mi si passa l’espressione.
Nella compagnia del meraviglioso viaggio degli sposi c’eran delle facce di ghisa da metter soggezione. Che quelle facce avercele compagni di viaggio per un viaggio piú lungo di dieci minuti c’è da portarsi dietro i giornali da leggere. E guardare quelle facce, sentir quei discorsi, mi prendeva ancora l’ossessione di Camus e l’oscurità trasparente di Styron; e poi in testa Bartleby lo scrivano, l’uomo del sottosuolo e anche l’urlo di Munch e Ugo Fantozzi, tutti in una volta; con capofila Nello Benazzi che smadonna fortissimo dal Gnasso. Una specie di figurazione onirica composita delirante.
Allora ho detto: io vado. E l’Emilia invece diceva fio che bella, mentre guardava la sposa; che l’Emilia non stava ascoltando la predica e neanche me: guardava la sposa, i testimoni, i vestiti. Vorrei essere bella io cosí, diceva. Che invece l’Emilia a detta di tutti è molto meglio. Comunque io mi annoio, le dico, e l’amicizia di qua e la santità di là, e il meraviglioso connubio su e il santo giú. Anche lui è un bel ragazzo, dice l’Emilia. Il prete? Ma no il prete, lo sposo, sta bene in divisa. Che io non me ne ero neanche accorto che era in divisa militare d’alta uniforme, pensavo fosse un modo originale di vestirsi, come quelli che quando si sposano si vestono ottocenteschi con la giacca con le code e il collo in piedi e il cappello a cilindro che sembrano domatori del circo e via discorrendo. E stan bene insieme, dice l’Emilia, sono felici. Vacagare felici. E tutti quei ragionamenti consumistici. Va sempre a finire cosí ai matrimoni, mi vien il malumore e anche l’Emilia, che di solito è molto piú intelligente della media, qui si perde via in loccate e c’è da litigare.
Ma mentre pensavo: adesso esco e vado a far dei giri, mi bevo un chinotto o mi siedo sulla pecca di una porta, che mi ero anche portato da leggere, il prete esce con questa frase degli eroi.
La frase degli eroi seguiva coerentemente quella piú razzista delle amicizie. In sostanza il prete, partendo dal discorso delle amicizie, per cui se hai delle belle amicizie sei bravo altrimenti sei una merda sguinza e vai all’inferno a meno che non ti confessi sistematicamente dopo ogni frequentazione oppure ti confessi una volta sola poi ti fai delle amicizie nuove convenienti, arrivava a dire che non era un caso che tra gli amici raccolti in questa magnifica basilica ci fosse un eroe, un vero autentico eroe a cui tutti diciamo grazie. E questa presenza, diceva, dà la misura della santità degli sposi. Cosí ho imparato non solo che c’era un eroe in chiesa e che gli sposi erano santi, ma che c’è anche una misura della santità, che non l’avrei mai pensato.
Era il periodo, parliamo ormai di un bel po’ di giorni fa, appena prima della perdita del manoscritto, quindi eravamo ancora nella fase del romanzo storico lungo sugli eroi di pace e di guerra da Garibaldi ai giorni nostri. E siccome la chiesa era piena di giovani orgogliosi in alta uniforme con portamento eroico e fiero ho capito subito che non era il caso che mi allontanassi, che da lí in poi il matrimonio guadagnava come si dice d’interesse.
Va detto che io e l’Emilia eravamo gli unici a cadere come si suol dire dal pero, non sapendo niente né dell’eroe in sé né del fatto dell’invito di un eroe; e mentre cercavo di capire qualcosa ho sentito due uomini giovani, uno normale l’altro con la faccia precisa da morto in catena, che parlavano molto contegnosi ragionevoli avveduti dicendo cose tipo: è comprensibile, è giocoforza, non puoi pretendere, ma tu hai idea, be’ in effetti non puoi pretendere, diceva la faccia da morto, no no assolutamente, diceva l’altro agitando la testa.
Parlavano, però l’ho capito dopo, del fatto che l’eroe in questione in chiesa non c’era. Il prete aveva detto che era qui tra noi ma l’aveva detto cosí, convenzionalmente, e un po’ per introdurre il tema della misura della santità degli sposi e della classifica delle amicizie. Perché un eroe non si può mischiare alla folla di un matrimonio, obbligatorio che arrivi dopo per fare una specie di improvvisata. Che poi non era un’improvvisata visto che tutti quanti, compreso il Grincia che a quell’ora stava sistemando l’impianto voce dicendo che la rete elettrica era perfetta e anche l’acustica era perfetta che neanche al Metropolitan c’è un’acustica cosí, tutti quanti tranne me e l’Emilia sapevano che l’eroe era l’attrazione, il pezzo forte del matrimonio. E allora mi aspettavo di trovare la sorpresa dell’eroe alla fine della messa fuori dalla chiesa acclamato dalla folla.
Invece niente, fuori dalla chiesa, a parte tutte le solite minestre riscaldate, il teatrino degli sposi e dei bagni di riso e i giovani promettenti in divisa che facevano passare gli sposi sotto le sciabole sguainate, con l’Emilia che voleva far la fotografia e io dicevo cinicamente che bisognava essere dei dementi a fotografare due che passano sotto le sciabole sguainate e via dicendo. A parte tutte queste cose, e le altre che si possono immaginare basta essere andati a un matrimonio che visto uno li hai visti tutti, dell’eroe non c’era traccia. Ma la cosa sembrava normale e nessuno si chiedeva perché.
Poi ci han dato l’aperitivo nel giardino di un castello fatto apposta per i matrimoni le lauree e le feste ufficiali, dove abbiam trovato il Grincia tutto eccitato che sistemava il sound, diceva sssí sssí prova prova, con gli sposi che andavano avanti indietro disinvolti per il giardino per le scale e le stanze del castello come se fosse tutta roba loro, si facevan fotografare appoggiati a dei cassettoni e dei luigi filippo facendo gesti semplici da conversazione quotidiana o recitando scene di vita domestica. Ma l’eroe niente. C’era solo il Grincia che pensava intensamente a qualche repertorio evocativo d’imprese leggendarie e allora gli veniva in mente Samarcanda di Vecchioni, Generale di De Gregori e Il cielo di Renato Zero, che lui confidenzialmente chiamava Renato. Che Il cielo di Renato Zero con le imprese leggendarie non si sa cosa c’entra.
Io dico sempre all’Emilia che dovremmo leggere i giornali, che rimaniamo indietro col pianeta e facciam sempre delle figure. Non è un rimprovero che faccio a lei, che l’Emilia a dirle una cosa del genere sembra che l’accusi e allora ti risponde sulle difensive guardati un po’ te invece di rompere i coglioni; lo faccio a tutti e due, il rimprovero; e poi non vale l’obiezione che io ci scrivo su un giornale, perché il giornale dove scrivo io è un giornale di provincia che si occupa di fatti di provincia e io modestamente mi occupo piú che altro di cultura, cioè di aspetti marginali del contesto provinciale.
Poi dopo mezz’ora, mentre io cercavo di saperne di piú origliando i discorsi degli altri, pieni di avverbi effettivamente, francamente, decisamente, dopo mezz’ora l’Emilia dice che sa tutto e mi racconta.

3. L’eroe bellico Narciso Orfeo.

Qui riassumo. In un teatro bellico di fine anni Ottanta arriva un giovane ufficiale italiano, sottotenente Narciso Orfeo, Orfeo di nome Narciso di cognome, sottotenente è il grado militare. Scende patriotticamente dall’aereo, va orgogliosamente a rapporto dal comandante del contingente italiano, raccoglie disciplinatamente le consegne, poi sale atleticamente su una gip con un sergente e un caporale; ma dopo cento metri, appena usciti dal quartiere generale, si vede la gip che invece di girare a destra gira a sinistra e prende una strada che dopo neanche due chilometri va proprio in bocca al nemico. Insomma Orfeo Narciso si è confuso a guardare la mappa militare e anche se il caporale alla guida della gip gli dice guardi tenente che bisogna andar da quest’altra parte che io il territorio lo conosco, lui Narciso senza staccare gli occhi dalla mappa lo invita freddamente a eseguire gli ordini. Sembra che il capitano, vedendoli col cannocchiale sbagliare strada, abbia detto, testuali parole, dove vanno quei tre minchioni e l’ha raccontato subito al colonnello che avrebbe detto, testuale anche lui, ma chi è quella testa di cazzo riferito al giovane ufficiale Orfeo Narciso, e l’ha raccontato al generale che ha detto solo: questo è il colmo. Intanto che il generale diceva questo è il colmo quei tre militari erano già stati fatti prigionieri.
La prima sera di prigionia il giovane ufficiale Orfeo Narciso parla davanti a una telecamera che trasmette immagini in diretta a tutto il mondo e fa un sermone pacifista new age un po’ ripetitivo con timbro supplichevole, poi lancia una benedizione e raccomanda di amare il nemico, che il nemico ricordati è la tua forza, la tua speranza, il nemico è buono.
Io non vedo mai la televisione e non leggo i giornali, ma mi han detto che quel discorso ha lasciato perplessi tutti gli ascoltatori. Fatto sta che il giorno dopo c’era della gente davanti al ministero della Difesa con degli striscioni che dicevano tutti uniti con Narciso e urlavano il nemico è buono il nemico è la tua forza.
Il giorno dopo il sottotenente Narciso chiede ancora ai suoi carcerieri di parlare alla telecamera e i carcerieri, che non si aspettano quel tipo di richiesta anche se forse han già inquadrato il soggetto, si consultano e dicono che va bene, cosí lui parla alla telecamera e dice: vedete quei tre uomini qui dietro di me, e indica tre carcerieri con il mitra a tracolla, questi sono creature di dio, come tutti noi e tutti voi, e io mi convertirò al loro dio che è anche il mio e il nostro per far capire a tutto il mondo che l’uomo è prigioniero non di altri uomini ma della pochezza del suo spirito. Che comunque lo giri è un discorso che non ha senso.
Il terzo giorno il tenente Orfeo Narciso chiede ancora di parlare alla telecamera e i carcerieri sbuffano e gli dicono va be’ però solo un paio di minuti e Orfeo recita passi del Corano, del Vangelo e della Torah per dimostrare l’unità mistica delle confessioni. Il quarto giorno all’ora di pranzo Orfeo dice che si è ricordato proprio adesso di una cosa velocissima che doveva dire ieri per completare il discorso e quindi è meglio ricollegarsi altrimenti la gente occidentale fraintende, e i carcerieri pensano che due maroni questo qui che ogni tre per due vuol parlare alla telecamera, ma alla fine gli dicono te’, parla a ’sto caz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Fídeg
  4. Capitolo primo
  5. Capitolo secondo
  6. Capitolo terzo
  7. Capitolo quarto
  8. Capitolo quinto
  9. Glossario
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright