Credo solo nelle intenzioni
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Credo solo nelle intenzioni

  1. 61 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Credo solo nelle intenzioni

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Informazioni sul libro

Brad Phillips in queste pagine ci racconta di un amore etereo e depravato, che brucia tra chat room e annunci su Craigslist, e di un sadico voyeur che somiglia terribilmente a chiunque di noi. E ci mostra quanto possa essere inconsistente il confine tra ciò che consideriamo vero e ciò che consideriamo finto, tra quanto vogliamo resti privato e quanto invece esponiamo in pubblico, tra la bella persona che ci sforziamo di essere e il mostro narcisista che nascondiamo al mondo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2021
ISBN
9788858438152
Categoria
Sociologia

Annuncio su Craigslist senza censure

Quello che segue è un annuncio, non editato, che ho cercato di pubblicare su Craigslist nel 2015. È stato respinto perché, nel mio fervore di restituire l’immensità del dettaglio, ho violato, stupidamente e irrispettosamente, col senno di poi, la privacy della donna che l’annuncio voleva raggiungere. Da questa esperienza ho imparato, con l’aiuto del Dr Leslie Morris, a non postare mai piú nulla su internet quando sono in preda a un episodio maniacale.
Sto cercando Hannah Alcorn o chiunque sappia dove trovarla. L’ultima cosa di cui sono al corrente è che viveva ad Adelaide, in Australia, forse con un altro nome. Capelli neri, occhi azzurri, figura snella; veste soprattutto di nero, spesso di pelle. Questo la descrive com’era sedici anni fa. Adesso avrà cinquantasei anni, il suo aspetto sarà di certo cambiato. Originaria di Glasgow; parla con un marcato accento da classe operaia scozzese. Esuberante, perversa, conosce bene una vasta serie di volgarità ed è incline a farlo sapere agli altri. Non si tratta di un «incontro mancato». Sto cercando di trovare Hannah, perché sembra essere sparita circa nove anni fa. Voglio soltanto sapere che è viva e sta bene.
Forse sarebbe stato meglio indirizzare questo annuncio privatamente a Hannah. Avrebbe riconosciuto la mia scrittura e le storie dei tempi in cui ci sentivamo. Ma se conoscete Hannah Alcorn, o sapete di qualcuno che la conosce, vi prego, contattatemi. Voglio solo accertarmi che sia tutto a posto, Il mio nome è Brad Phillips. Ditelo a chiunque possa saperne qualcosa. Scrivete questo mio messaggio nel cielo lí in Australia, vi farò avere un rimborso per le spese via PayPal.
Cara Hannah,
Ci siamo «incontrati» la prima volta in una chat room di quelle dove si facevano quiz tipo Trivial pursuit, su Yahoo!, nella primavera del 2001. Vorrei potermi ricordare del tuo nick perché era particolarmente brillante. Non ho idea di quale fosse il mio, forse era Oprah, perché era quello che usavo allora per giocare a Scarabeo su isc.ro e in altri posti in rete. All’inizio, non ci siamo parlati. Mi scrivevi di tanto in tanto «lol» quando insultavo brutalmente le persone che stavo stracciando. A quei tempi ero un coglione irritante su internet. Tu non eri un granché coi quiz, ma non me ne fregava un cazzo della faccenda. Troppo tempo passato nei bar e sui libri, l’abilità di digitare in maniera ridicolmente veloce, ecco perché io ero un campione. Mi divertivo molto di piú a ricoprire gli altri di insulti di quanto non mi divertissi a dare le risposte giuste. Poi un giorno sei apparsa come pop up. [Vuoto] mi sta invitando a una chat privata, voglio accettare?
Avevo sempre accettato di parlare con donne strane, e non è andata diversamente quella volta. La mia ragazza insegnava in delle scuole private, dodici ore al giorno, e avevo da poco iniziato a fare abbastanza soldi con l’arte da non aver bisogno di un lavoro, cosí me ne stavo perlopiú seduto in casa, a sballarmi e a masturbarmi. Giocavo anche a Trivial pursuit con degli estranei, riversando l’intensa rabbia per la mia vita che pareva un pantano contro delle persone, probabilmente molto simpatiche, che si divertivano a rispondere a domande su internet. Quando abbiamo iniziato a chattare insieme, ho smesso di giocarci.
Mi hai chiesto una foto, e mi hai dato il tuo indirizzo mail. Internet era ancora nella sua fase adolescenziale; non si poteva inviarle nelle chat. Ti ho mandato una foto in cui avevo un meritato occhio nero, la testa rasata e la barba fatta crescere da poco per coprire dodici punti di cicatrice sulla guancia, cicatrice e modo in cui me l’ero procurata entrambi altrettanto meritati. Ai tempi le persone facevano cosí: si scambiavano foto per foto. Onestamente, non lo avevo mai fatto prima. A quel punto anche tu mi hai mandato una tua immagine, ed è stato lí che ho capito di essere nei guai. Avevi i capelli naturali piú neri che mi fosse mai capitato di vedere, a caschetto, lunghi piú o meno fino al mento, con la frangia tagliata di netto sopra le tue sopracciglia marcate. Il tutto a incorniciare due occhi blu che ti stendevano. Avevi un che di inquietante, per la tua somiglianza con Marina Oswald (nata Prusakova) ai tempi del suo matrimonio con Lee Harvey Oswald. Allora ero ossessionato da Marina, essendomi intrippato coi libri sull’omicidio di Jfk e tutte le varie cospirazioni a riguardo.
Cosí abbiamo cominciato a fare quel che adesso so essere piuttosto comune: parlare costantemente e dirci tutto delle nostre vite, io ero a pezzi, ventisette anni, sul punto di sposarmi con la mia compagna, con cui stavo da che ne avevo ventiquattro. Volevo chiudere, lo volevo da anni, ma per qualche ragione la migliore idea che mi era venuta in mente per raggiungere l’obbiettivo era stata di chiederle di sposarmi.
A te le cose andavano peggio, sebbene fossimo entrambi rimasti incastrati in situazioni che non avevamo previsto. Vivevi in Australia con uno stronzo violento, che non si era rivelato tale finché non eri stata d’accordo a trasferirti per stare piú vicino ai suoi genitori. Senza la cittadinanza lasciare Paul avrebbe significato perdere la custodia dei tuoi figli, e non potevi proprio permetterlo.
I diversi fusi orari erano perfetti per parlare. Stavi dall’altra parte del mondo. Mi svegliavo al mattino e rimanevo nel letto finché la mia futura moglie Anna non usciva per andare a scuola, a quel punto mi collegavo alla chat room di Yahoo!, proprio quando tu mettevi a letto i tuoi figli. Paul di solito era già uscito a ubriacarsi. Parlavamo di quella tendenza a denigrare gli australiani che sembrava tanto universale: per il loro accento, per la strana incapacità di produrre artefatti culturali rilevanti, per la concezione assai primitiva del gioco del rugby. Delle volte Paul rientrava e coricava il suo culo sbronzo sul divano alle tue spalle, e cominciava a russare, non curante della sua inappagata e super intrigante moglie seduta al computer. Spesso chattavamo con lui lí dietro a ronfare.
Pensavi di essere troppo vecchia per me. Avevo ventisette anni, tu quaranta. Ti ho scritto che non eri troppo vecchia, perché non lo eri. Credo che tu ci abbia impiegato qualche tempo a capire che intendevo sul serio.
Non avevo ancora mai sentito la tua voce, e lo volevo. Mi infastidivano i ristagni della comunicazione su internet, i c6? e gli improvvisi cvedxoxo, ma tu ti vergognavi del tuo accento. Dopo avrei amato le porcate dette con quell’accento. Non te l’ho mai confessato, ma capivo forse il novanta percento di quel che dicevi. Il resto cercavo di intuirlo, faceva tutto parte dell’immagine di te: tu che mi parlavi dal bagno, i tuoi figli ancora in piedi nella stanza accanto, tuo marito e persino i suoceri in casa. Tu che bisbigliavi «Bradley», facendomi sapere cosa combinavi con quel piccolo dildo ghiacciato che tenevi nascosto in freezer, e cercavi ancora di parlarmi mentre infilandolo nel culo sentivi quanto era freddo. Non avevo, e non avrei, mai incontrato una donna che per venire avesse bisogno di penetrarsi con strumenti ghiacciati.
Eri un’insegnante, mi dicevi che ti arrapavano i diciassettenni calciatori della tua classe, tutti sudati, e che a pranzo, o durante l’intervallo, t’infilavi nei bagni, accovacciata sulla tavoletta, faccia al muro, e strisciavi il clitoride contro i tubi d’acciaio gelati che scaricavano l’acqua del cesso.
Anche adesso, i ricordi legati al sesso che ho di te a volte mi fanno andare fuori di testa.
La nostra prima conversazione al telefono mi hai parlato dei tuoi genitori. Tuo padre era andato volontario a combattere in Vietnam, anche se era molto piú vecchio dei ragazzini che l’America mandava al massacro. Mi hai detto che era un personaggio temuto dalle parti di Glasgow dove sei cresciuta; il suo volto era inespressivo, o meglio, sembrava sempre bloccato in un’espressione minacciosamente indefinita. La maggior parte delle persone avrebbe detto che il suo era il tipico «sorriso di Glasgow». Ma lo mostrava soltanto agli altri, non lo indossava sempre. Aveva combattuto in Corea e coi sudafricani in Angola, durante la guerra per procura della Cia contro Cuba. Aveva addestrato paramilitari uruguaiani per eseguire le piú avanzate tecniche di interrogatorio mentre tu volevi diventare una principessa: una principessa scozzese. Era un mercenario, deluso di non aver preso parte alla Seconda guerra mondiale. Mi hai detto di quando da bambina, a nove o dieci anni, seduta in braccio a lui gli avevi chiesto se sapesse quante persone aveva ucciso. Ti aveva detto di saperlo, il numero, ma quel numero non sarebbe stato la risposta alla domanda. Certe vite valevano piú di altre. Qualcuno contava per tre, anche per dieci, altri non contavano nulla. Diceva alla sua bimba di essere un po’ come un palloncino che si gonfiava con la morte, e che ogni volta che uccideva qualcuno si sentiva riempito dalla sua forza. Si sentiva enorme, pieno fino a scoppiare delle anime di innumerevoli morti.
Cosí ti eri pisciata addosso in braccio a lui. Lo avrei fatto anche io. E lui ti aveva scaraventata dall’altra parte...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quanti Einaudi
  4. Credo solo nelle intenzioni
  5. Niente di personale
  6. Annuncio su Craigslist senza censure
  7. Gli altri Quanti. Reti
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Copyright