Miti a bassa intensità
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Miti a bassa intensità

Racconti, media, vita quotidiana

  1. 360 pagine
  2. Italian
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Miti a bassa intensità

Racconti, media, vita quotidiana

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C'è ancora spazio, nel nostro tempo, per il mito? Secondo un diffuso senso comune ce ne saremmo liberati o lo avremmo perduto grazie all'imporsi del sapere scientifico e al trionfo di un mondo dominato dalla tecnica. Eppure i miti c'incalzano da ogni parte, servono a tutto, spiegano tutto. Peppino Ortoleva, storico e studioso del comunicare, intraprende una spedizione antropologica nel nostro mondo per scoprire in che modo funzionino i miti in società convinte di non crederci piú. L'autore traccia una mappa delle storie nelle quali cerchiamo una via narrativa all'invisibile, una risposta a enigmi sempre irrisolti: le figure fantastiche del vampiro e dello zombi, il fascino inesauribile del criminale, i miti politici della nazione e della rivoluzione, e ovviamente l'amore romantico. Nuova luce viene così gettata sul ruolo e le trasformazioni di molti generi letterari e cinematografici, sulla dinamica delle leggende urbane e delle storie di cospirazione, sugli stereotipi della cronaca, della pubblicità, della propaganda. Particolare rilievo assumono infine i fenomeni tipici del nostro tempo, quali i culti soggettivi e di gruppo che si formano attorno ad alcune figure e storie. Sono i miti di un'epoca nella quale le narrazioni vengono prodotte industrialmente e ormai in digitale. Racconti che sembrano avere perso parte della loro potenza sacrale ma che sono ancor piú pervasivi di quelli classici: miti a bassa intensità a cui spesso non prestiamo attenzione, mentre condizionano profondamente tutta la nostra vita.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858430507
Parte prima

La macchina delle storie

Capitolo primo

I racconti e l’intensità

Ahi ahi! poscia che vote son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono, per l’atre nubi e le montagne errando, gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro in freddo orror dissolve; e poi ch’estrano il suol nativo, e di sua prole ignaro le meste anime educa; tu le cure infelici e i fati indegni, tu de’ mortali ascolta, vaga natura […].
GIACOMO LEOPARDI, Alla Primavera, o Delle favole antiche.
Molto vicino a noi vi sono soltanto miti moderati, ostacolati da testi non incredibili e da vestigia materiali che moderano un poco la nostra fantasia. Ma tre o quattromila anni prima della nostra nascita siamo completamente liberi.
PAUL VALÉRY, Piccola lettera sui miti.

1. Miti moderati.

Il ruolo dei racconti «a bassa intensità» di cui ci occupiamo può essere compreso solo tenendo conto di un quadro piú ampio: quello dell’insieme di modi di vedere e di credere che si intrecciano, e a volte si scontrano, in una cultura pluralista com’è, per altro non senza contraddizioni, quella dominante nell’Occidente del nostro tempo.
I miti contemporanei e le altre credenze. Questi racconti, infatti, sono certo in prevalenza oggetto di produzione industriale e di consumo, individuale e collettivo, ma convivono e competono con altre visioni del mondo, molte di origine piú antica, e si rischia di non comprenderne le implicazioni piú profonde se li si fa solo oggetto di studi mirati sulla cultura di massa e se non li si colloca nel contesto complessivo delle narrazioni che danno un senso al vivere di cui pullulano le società contemporanee. Alcune hanno la forma organica e il radicamento tuttora solido e diffuso delle religioni rivelate, altre hanno il volto spesso meno strutturato ma a tratti anche la rigidezza settaria delle «nuove fedi» (dalla reviviscenza dei culti orientali a fenomeni come Scientology), altre ancora si presentano con i caratteri otto-novecenteschi, ma tutt’altro che obsoleti, delle ideologie. Nonostante l’esistenza in diverse parti del mondo (dal paese della modernità per eccellenza, gli Usa, ad aree del mondo islamico ma anche di quello induista) di movimenti definiti con qualche imprecisione «fondamentalistici» che si battono per sopprimere una simile pluralità e per restaurare sistemi di religiosità obbligatoria e condivisa, la linea prevalente è ancora la tendenza, opposta, che ha accompagnato gli ultimi due secoli: a fare delle credenze una scelta personale e privata, che può modificarsi anche piú volte nel corso di una vita. È la tendenza a un’offerta sempre piú larga di visioni del mondo possibili, oggetto di scelta individuale, o di gruppi anche piccoli e piccolissimi.
Se è vero che siamo insomma di fronte non a un processo lineare di caduta delle forme religiose e mitiche, come era sembrato alle letture semplificanti della cosiddetta «secolarizzazione» diffuse soprattutto nella seconda metà del Novecento, ma a un complesso e ininterrotto processo di frantumazione (e parziale ricomposizione)1 di rappresentazioni dell’universo delle piú varie origini, i miti diffusi dall’industria culturale e da alcune istituzioni, narrazioni onnipresenti quanto «moderate» per riprendere l’aggettivo di Paul Valéry, occupano un posto insieme defilato e decisivo. Sono i miti a bassa intensità di cui parla questo libro: racconti radicati nel mondo detto della fiction ma anche nella costruzione giornalistica, giorno dopo giorno, del mondo; leggende urbane e storie d’amore; narrazioni politiche istituzionali (come quelle alla base degli stati nazionali) o insurrezionali, come il sogno bisecolare della rivoluzione; sono le storie degli «eroi del nostro tempo», i genî dell’invenzione e dell’arte, i divi, i campioni sportivi.
Storie condivise. A differenza delle forme di credenza a carattere religioso, e anche delle mitologie piú antiche, questi miti non richiedono in generale, non diciamo una fede, ma neppure un vero e proprio impegno della persona, sono veicolati soprattutto dall’industria culturale e dal mercato, si collocano prevalentemente nel tempo libero e non nel tempo del rito, si presentano come oggetto di scelta personale, anzi in primo luogo di consumo. Quello che queste narrazioni sembrano perdere in solennità lo acquisiscono in un altro aspetto: proprio in un mondo dove domina il pluralismo delle credenze e delle visioni del mondo, i miti «moderati» della fiction, della cronaca, dei sentimenti sono i piú universalmente accolti. Lo sono perché proprio la natura industriale della loro diffusione fa sí che non escludano nessuno, anzi che mirino ai pubblici i piú larghi possibile; e perché per diventarne seguaci, casuali o appassionati o perfino fan non occorre apprendere particolari dottrine, bastano competenze diffuse largamente e che comunque si acquisiscono in modo rapido e perfino inconsapevole, per mezzo di semplici atti di consumo. Come si diventa «esperti» di un genere cinematografico o televisivo, dal gangster alle storie di vampiri, assistendo a uno spettacolo dopo l’altro, o come si apprende a riconoscere le storie di cospirazione o le vicende di amore e morte che sono oggetto di tanta cronaca giornalistica a furia di sentirle raccontare e di raccontarle a propria volta.
In ogni caso, al di là di tutte le specificità che li distinguono da forme di credenza diverse e piú antiche, pur sempre di miti si tratta: di narrazioni a cui ci rivolgiamo per affrontare alcuni dei grandi temi e dei grandi enigmi, dal mondo iperuranio ai misteri della morte e del dopo-morte: possono essere pienamente compresi solo tenendo conto dell’insieme delle credenze anche di antichissima origine che circolano nel nostro mondo, perché ne sono in parte la continuazione, in parte i sostituti. Possono essere studiati in chiave semiotico-critica, secondo l’esempio di Roland Barthes2, per estrarre per cosí dire il succo di ciascuno di essi attraverso un’osservazione attenta e insieme di ironico distacco; o in chiave sociologica, secondo l’esempio di Edgar Morin3, per far emergere alcuni dei valori e delle contraddizioni propri delle società «di massa». Ma è possibile, riscoprendo questo tema oggi, andare anche oltre: studiare i miti contemporanei come la componente piú recente, solo apparentemente piú «leggera», del sistema delle narrazioni e delle credenze a cui l’umanità si affida per dar senso al proprio vivere; e insieme come la proiezione appunto mitica della sua rappresentazione di sé.
È possibile leggerli come fenomeno storico, nel senso piú pieno del termine, che ha attraversato molte generazioni modificandosi con le loro esperienze (culturali, politiche, sociali, tecnologiche) e contribuendo a modificarne le visioni del mondo spesso in modo inconscio o solo parzialmente consapevole. Per farlo, sarà bene occuparci non solo delle caratteristiche distintive di questi miti ma di quelle che possiamo chiamare le loro condizioni di esistenza: le grandi trasformazioni sociali e culturali che, nel corso in particolare degli ultimi due secoli, hanno permesso a miti i quali potrebbero apparire «deboli» rispetto a quelli propri di epoche precedenti di insediarsi nella vita di miliardi di persone, e di assumere nonostante questa apparente debolezza o forse anche grazie a essa un ruolo di comprensione del mondo e di risposta a misteri del vivere e dell’universo.

2. Tempo pieno e tempo vuoto.

Prima di tutto, per sintetizzare con una formula, possiamo dire che il tempo in cui vivono i miti contemporanei (oggetto di consumo e non soggetti a obblighi) è quello vuoto del tempo libero, piú che il tempo festivo delle cerimonie. L’avvento della bassa intensità è in stretta connessione con un importante, anche se spesso trascurato, processo che pure ha accompagnato la storia contemporanea, in particolare dalla fine dell’Ottocento: la nuova organizzazione e divisione delle giornate, delle settimane, degli anni.
Nella tradizione classica e, in altra forma, in quella giudaico-cristiana il tempo della festa è un tempo pieno, anzi piú pieno degli altri momenti della vita, in quanto carico della presenza divina. Nel tempo della festa i racconti mitici erano (e sono tuttora, per i credenti) strettamente connessi ai riti che demarcavano i giorni appartenenti alla divinità da tutti gli altri. Nelle culture in cui credenze e miti ad alta intensità erano condivisi e la loro presenza generalizzata il calendario degli spettacoli manteneva una stretta connessione con il calendario cerimoniale: le festività ateniesi che erano occasione delle rappresentazioni teatrali, la complessa programmazione dell’Ippodromo di Bisanzio4, i ludi carnevaleschi. In questi giorni anche l’ozio è un dovere, non un diritto o tanto meno una scelta: «Non farai alcun lavoro» è l’obbligo biblico. I giorni festivi sono prima di tutto celebrativi; ancora nella tradizione giudaico-cristiana sono «in onore del Signore».
Storie del tempo vuoto. Con la riorganizzazione dei tempi di vita prodotta prima dalla rivoluzione industriale poi dalle vittorie del movimento operaio internazionale di fine Ottocento, il ciclo festivo/feriale è stato progressivamente sostituito da un altro ritmo, che ne è l’apparente continuazione, ma ha un significato profondamente diverso: quello che alterna il tempo di lavoro e il tempo «libero», ovvero vuoto, come ci ricorda la parola «vacanza». L’opposto del tempo del lavoro è ora un tempo di riposo ma non vincolato, un tempo caratterizzato soprattutto dalla libera scelta: «Otto ore per lavorare, otto ore per dormire, otto ore per quello che ci pare» per tornare allo slogan del movimento per le otto ore negli Stati Uniti di fine Ottocento5. For what we will. Nel tempo libero delle società contemporanee, la «santificazione delle feste», quando ancora persiste, è praticata dal credente per scelta, sempre piú personale e tendenzialmente privata, come è tendenzialmente privata tutta la vita religiosa.
Il tempo libero è il tempo del loisir in generale, ed è il tempo del progressivo moltiplicarsi dello spettacolo, anche sportivo, e/o della fiction, che assumono essi stessi le caratteristiche proprie del consumo. È appunto questo tempo libero che, soprattutto nel Novecento, è diventato l’habitat privilegiato dei miti a bassa intensità. Man mano che il lavoro è venuto assumendo, con l’industrializzazione, una ripetitività estremizzata dalla logica tecnico-economica della macchina, il tempo del riposo e della vacanza si è dato come obiettivo essenziale e massimamente desiderabile la varietà. La domenica è stata per tutto il Novecento il giorno degli sport di massa, in Europa soprattutto del calcio, ma anche uno dei giorni privilegiati per quell’«andare al cinema» che è stato a lungo un rito sociale oltre che un’occasione per seguire sullo schermo storie poliziesche e western, vicende amorose e criminali. Man mano che il tempo libero si è venuto segmentando, e ampliando dai giorni di festa di tradizione religiosa a quella giornata libera ma non festiva che è (in società cristiane) il sabato, alle settimane di ferie annuali, fino alle parti «vuote» delle stesse giornate lavorative, il consumo di fiction lo ha accompagnato, continuando a moltiplicarsi. E a partire dalla seconda metà del Novecento, con la televisione poi con la digitalizzazione, il tempo libero si è esteso fino ai piú minuscoli frammenti del tempo di vita.
Un duplice nesso. Il rapporto tra l’imporsi dei miti a bassa intensità e questa trasformazione nell’organizzazione del tempo è in realtà duplice. L’aspetto piú evidente, ed essenziale, sta nella rottura della cornice, di credenze e di riti, propria tradizionalmente del festivo, nell’aprirsi di tutto il tempo al mito nella sua versione lieve e individualizzata, nei suoi modelli di consumo; sta per cosí dire nel dilagare delle storie a tutti i momenti della vita, in una fase in cui la forza delle storie stesse sta anche nella quantità del consumo. Ma c’è tra il tempo libero e i miti un nesso piú sottile: il racconto letteralmente «riempie» del tempo che altrimenti resterebbe vacante, dà un senso a ore e giornate che un senso non lo hanno in sé ma lo debbono acquistare.
Che si presentino sotto forma di spettacolo filmico o televisivo, o di conversazione orale, molte delle narrazioni contemporanee si offrono come alternative al rischio della noia, o dell’insensatezza; ma anche come frutto di un tempo che la persona può dedicare a se stessa, e a occupazioni non strettamente finalizzate. È significativo che nel suo testo sull’Amore Stendhal ricollegasse quell’aspetto decisivo della vita amorosa che chiamava «cristallizzazione», cioè il far coincidere l’amore vissuto con quello immaginato e idealizzato, alla disponibilità appunto di «tempo libero», alla possibilità di cui la persona dispone di dialogare con se stessa, alla possibilità (e al bisogno) di abbandonarsi alla fantasia. «Mi sono innamorato di te | perché non avevo niente da fare» sono versi di Luigi Tenco rimasti nella memoria per la loro apparentemente scandalosa plausibilità.
I miti a bassa intensità non appartengono a nessun giorno in particolare perché appartengono potenzialmente a tutti; e possono essere fatti propri da ciascuno anche perché possono essere parte di un tempo che sente come suo.
«Chronos» e «aion». A queste riflessioni si collega anche un altro aspetto, che attraverserà tutto questo volume. Nella cultura greca classica si opponevano come si sa due rappresentazioni del tempo: il chronos che è il tempo che scorre giorno dopo giorno, si consuma e ci porta ineluttabilmente verso la morte, non casualmente il dio che porta il nome Chronos è colui che divorava i suoi figli; l’aion è invece un tempo che non ha realmente durata, che trascende la quotidianità. L’aion è l’altrove in cui si colloca il mondo iperuranio, l’immortalità degli dèi, e uno dei compiti del rito nella sua regolare ripetitività è appunto proiettare chi lo pratica in quel tempo altro. Se il tempo «pieno» delle festività è quello delle celebrazioni e dei rituali è anche perché vi è una differenza netta, qualitativa, rispetto a quello quotidiano del lavoro e del consumo. Perché da una parte con l’aion si raggiunge un mondo diverso, che trascende il nostro, dall’altra si rimane, con il chronos, nel ciclo ininterrotto del vivere e del morire. In termini differenti questo vale anche per il «giorno del Signore» di altre tradizioni culturali e religiose: l’ozio oltre che sosta è appunto momento in cui il normale scorrere del tempo, che è fatto di una serie di attività, si ferma. Anche per questo è un obbligo prima ancora che un riposo.
Secondo un’interpretazione tuttora suggestiva6 il mito classico era proprio un punto d’incontro tra chronos e aion, sia nei contenuti (con la sua convivenza di umani e dèi) sia nel suo significato profondo, in quanto si trattava di un racconto attraverso il quale gli umani potevano accostarsi a un altrove anche temporale altrimenti irraggiungibile, quello dell’Olimpo o dell’Ade, quello dell’immortalità. Uno dei segnali del passaggio alla bassa intensità sta proprio nel suo avvicinarsi, nello spazio e nel tempo, a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Ringraziamenti e ricordi
  5. Miti a bassa intensità
  6. Parte prima. La macchina delle storie
  7. Parte seconda. Per capire il mito
  8. Parte terza. Le forze in gioco
  9. Parte quarta. Esplorazioni e racconti
  10. Parte quinta. Una fase nuova?
  11. Commiato
  12. Bibliografia
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Copyright