Marrani
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Marrani

L'altro dell'altro Giulio Einaudi

  1. 120 pagine
  2. Italian
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Marrani

L'altro dell'altro Giulio Einaudi

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Vittime di violenza politica e intolleranza religiosa, inassimilabili malgrado il battesimo forzato, perseguitati dalle prime leggi razziste, costretti a un'emigrazione interiore, non piú ebrei, ma neppure cristiani, i marrani sono «l'altro dell'altro». La scissione lacerante, la doppiezza esistenziale conducono alla scoperta del sé, all'esplorazione dell'interiorità. Gli esiti sono disparati: vanno dalla mistica di Teresa d'Ávila al concetto di libertà di Baruch Spinoza. Pur iscritto nella storia, il marrano ne eccede i limiti rivelandosi il paradigma indispensabile per sondare la modernità politica. Sopravvissuti grazie alla clandestinità, alla resistenza della memoria, al segreto del ricordo, divenuto con il tempo ricordo del segreto, i marrani non possono essere consegnati all'archivio. Il marranismo non si è mai concluso.

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Informazioni

Gli ultimi ebrei. Per cominciare.

Quando si parla di marrani, in un’accezione storica, si intendono quegli ebrei costretti, nella penisola iberica e nei domini spagnoli, a convertirsi al cristianesimo per sottrarsi all’esilio o alla morte. Esito della violenza politica e dell’intolleranza religiosa, il cui simbolo iperbolico è l’Inquisizione, il marranismo provoca un’identità lacerata, tragicamente scissa fra due appartenenze inconciliabili: una esteriore e ufficiale, l’altra intima e nascosta. Coloro che, una volta battezzati, sono chiamati «nuovi cristiani», restano separati dai «vecchi cristiani», che li sospettano di ebraizzare in segreto. E non c’è autodafé che tenga. I sospetti verso i marrani, che appaiono nonostante tutto estranei e inassimilabili, si amplificano al punto che vengono promulgate le prime leggi razziste dell’età moderna: il sangue diventa il criterio per proteggere una presunta purezza. Si chiudono cosí le porte della fratellanza universale.
Perseguitati, torturati, braccati, i marrani vengono respinti in una cripta che ne pregiudica la vita, ne mina la condizione. Rimangono cosí intrappolati in uno spazio ibrido, banditi in una terra di nessuno dove, accusati di essere infidi, spergiuri, traditori, mantengono nei secoli il loro segreto inaccessibile. Ma quella fedeltà immemoriale ha risultati paradossali. Il cripto-ebraismo, cosí faticosamente conservato, finisce per non avere quasi piú nulla della fede antica. Lontani dagli altri ebrei, con i quali i rapporti si diradano o vengono meno, i marrani elaborano una religione e una forma di vita che, come la loro identità, poggiano instabilmente sull’ambivalenza e sul dissenso. A chi guarda da fuori non è piú chiaro se siano cristiani eretici o ebrei nascosti. Una fervente attesa messianica, sostenuta dal ricordo dell’avvenire, illumina tuttavia la notte oscura del loro esilio. Isolati, esclusi, segregati, persistono nel segreto convinti di essere gli ultimi ebrei sulla terra.
Nei luoghi piú lontani e reconditi dell’oppressione restano a lungo nella clandestinità e, com’è avvenuto in alcuni casi eclatanti, riemergono solo nel Novecento. Molti altri tornano ben prima all’ebraismo ricongiungendosi alle comunità antiche o fondando nuove comunità. L’effetto è dirompente. I marrani portano con sé il seme del dubbio, il fermento dell’opposizione. Dissidenti per necessità, danno avvio a un pensiero radicale. Estremi ed eccentrici, per aver vissuto a lungo sul limite, sul confine, contribuiscono al sorgere di movimenti messianici che scuotono la religione istituzionale. Il loro ritorno segna nella tradizione una rottura profonda e insanabile da cui nasce la modernità ebraica.
Una volta allo scoperto, quelli che si consideravano gli ultimi ebrei si rivelano i primi moderni. Il sé scisso, l’impossibilità di un’appartenenza piena, l’estraneità costitutiva sono il lascito indelebile dei marrani. Con loro implode e si frantuma il mito dell’identità.
Occorre perciò andare al di là della ristretta accezione storica per indagare un fenomeno che non si è ancora concluso, cosí come non si è esaurita la modernità. Tanto piú che, rifiutando di divulgare il loro segreto, i marrani hanno reso invisibile la loro storia e irrealizzabile ogni storiografia. Che cosa resta dunque dei marrani fuori dall’archivio del ricordo?
Riflettere senza condanna, ma anche senza apologia, sul marranismo, nel suo senso complesso e articolato, ripercorrerne le vie singolari, significa sondare al fondo la modernità.

Anarchiviabili.

La loro storia non è terminata. Imporre il sigillo della fine sarebbe un’ulteriore violenza – come decretarne la scomparsa irrevocabile. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i casi di coloro che, talvolta in circostanze drammatiche, hanno rinvenuto tracce nascoste di un passato ignoto, hanno intuito, indovinato, grazie a qualche flebile indizio, hanno lasciato che riaffiorassero lacerati ricordi che andavano svanendo: la lettera di un lontano parente, una confessione mormorata in punto di morte, una foto trovata per caso, un oggetto spuntato da un cassetto, la rievocazione di una ritualità antica e di un gesto singolare, un nome soprattutto, quello di famiglia, che cela in sé, impenetrabile e tuttavia eloquente, le vicissitudini di intere generazioni. I marrani di ieri e di oggi tornano allo scoperto.
Sparsi ovunque, dal Sudovest degli Stati Uniti al Nordest del Brasile, dal Portogallo all’Italia, appellandosi a quella pratica di resistenza e di memoria che, al di là di ogni cancellazione traumatica, ne ha consentito la sopravvivenza, chiedono di non essere archiviati. Lo chiedono per responsabilità verso il segreto di cui portano il ricordo.
Anarchiviabili per vocazione, dopo aver contrastato l’oblio, contestano dal fondo l’arché, il principio dell’archivio, l’ordine dell’archiviazione, si sottraggono anarchicamente al passato remoto dell’antichità, per reclamare un futuro anteriore. È il futuro che sarebbe affidato a una controstoria di quei dimenticati dalla storia, già quasi vinti, perché costretti a trovare rifugio nella clandestinità. Come recuperarne la testimonianza, come farli riemergere dalla cripta, come riscattarne il nome?
Le domande si affastellano e, nella loro paradossalità, rivelano la figura affascinante ed enigmatica del marrano, che evade ingegnosamente ogni cattura. Il che irrita piú di uno storico, che sarebbe piuttosto incline a sbrigare la faccenda, definendo il marrano, imponendogli di dichiarare una volta per tutte l’identità, confinandolo a un capitolo chiuso. Basta, dunque, con i marrani! E con coloro che pretenderebbero di estenderne abusivamente la presenza.
Negli ultimi anni, però, il marranismo è uscito dal dominio della storia ufficiale – i marrani, si sa, sono navigati frontalieri – suscitando enorme interesse tra filosofi e antropologi, romanzieri e psicanalisti. È stato proprio uno storico, Jacques Revel, a sollevare l’interrogativo sui diversi modi di essere marrano che, se da un canto ne ampliano la semantica orizzontale, dall’altro ne scandiscono la verticalità cronologica e, alla fin fine, la durevolezza. Esiste una «condizione marrana»? Quali tratti la caratterizzano?
Piú che come figura terminale, il marrano va visto come figura iniziale che, oltre a una nuova era della storia ebraica, dà avvio alla modernità. Non però una modernità conciliata e armoniosa, bensí attraversata da una irrimediabile dissonanza. Scaturisce da qui la tradizione di una lunga rivolta che non si è conclusa.
Ecco perché nella figura inquietante e spettrale del marrano si può scorgere quello che Giorgio Agamben ha chiamato un «paradigma esemplare». Come l’homo sacer o il Muselmann, anche il marrano, pur inscritto nella storia, ne eccede i limiti, e rende comprensibili, con la sua esemplarità, fenomeni attuali, gettando luce su nessi, legami di parentela, che potrebbero cadere nell’oblio.

Eroi romantici o vili transfughi?

Non c’è forse figura che abbia dato adito a interpretazioni cosí diverse. I marrani, con la loro singolare sorte e la loro inconsueta doppiezza, hanno sempre diviso provocando giudizi contrastanti. Anche il loro posto non è del tutto chiaro. Appartengono alla storia spagnola, a quella portoghese? Oppure alla storia italiana, a quella olandese? In fondo, però, sono stati i primi cosmopoliti. Che dire poi della storia ebraica? I marrani non dovrebbero esserne, almeno in parte, protagonisti?
Nei vecchi ghetti, dove consumavano l’esistenza nello studio, nel timore, nell’attesa, gli ebrei orientali avevano mantenuto un vago e tenace ricordo del leggendario splendore, del prestigio e della sontuosità dei sefarditi, gli ebrei spagnoli e portoghesi. Non si doveva forse a loro l’esplorazione dei recessi piú reconditi della Kabbalà, la mistica ebraica? E come dimenticare poi il nome di Baruch Spinoza? Colti e audaci, raffinati e alteri, i marrani erano circondati da un’aura di avvincente esotismo. Cosí li ha dipinti Rembrandt. Cosí li ha immortalati Heine nella sua poesia. Che qualcuno di loro, per qualche tempo, fosse stato persino cristiano, non nuoceva al ritratto romantico. Erano anussîm, costretti, avevano cioè subito il battesimo forzato, per non parlare delle sevizie dell’Inquisizione. Erano stati torturati, afflitti, dileggiati. Gli spagnoli li avevano chiamati con sprezzo «marrani». Proprio per questo meritavano di essere annoverati nella lunga serie dei martiri ebrei.
Nascosti nella clandestinità, i marrani avevano conservato l’ebraismo nell’intimo dei loro cuori, assumendo solo esteriormente quella fede che veniva loro imposta, il cristianesimo. In segreto avevano continuato a osservare i riti ebraici. Intatta e autentica si era mantenuta la loro identità. Tolta la maschera cristiana, erano tornati a essere ebrei.
Questa visione romantica e romanzata è stata a lungo quella piú diffusa. Basta sfogliare il popolare libro di Cecil Roth che, già nelle prime pagine, parla del «prorompente eroismo», del «fascino drammatico» dei marrani, quegli ebrei che, al di là di ogni mistificazione, «dentro di sé rimanevano sempre gli stessi». Come se l’esistenza potesse essere divisa in due parti, esterna e interna, di cui l’una non inciderebbe sull’altra. Ma proprio chi divulga un’idea cosí consolatoria non si fa scrupolo di reiterare un’antica condanna: perché i marrani non si sono sacrificati? Perché non hanno scelto di morire per il Kiddúsh haShem, la santificazione del Nome? E non hanno seguito il nobile esempio degli ebrei della Renania, andati risolutamente incontro al martirio?
La risposta viene cercata nella «differenza morale» fra ebrei tedeschi e spagnoli. Dopo secoli di benessere questi ultimi si sarebbero assuefatti al mondo circostante, senza perciò poter piú reagire. Si accomunano cosí ebrei sefarditi e marrani, tutti egualmente colpiti da una condanna intransigente e moralistica. Il biasimo ricorda quello che risuona nell’abietta domanda rivolta agli ebrei europei dopo il nazismo: «perché sono andati come pecore al macello?»
Apologia e condanna hanno inseguito i marrani finendo per riproporne in modo paradossale la doppiezza. Sono stati coraggiosi o codardi, temerari o vili, inflessibili o pronti al compromesso?
La saga romantica, in voga fino all’inizio del Novecento, ha lasciato via via il posto a studi piú puntuali. L’immagine evanescente dei marrani, consegnata a un remoto passato, è mutata grazie a una sensazionale scoperta. Nel 1917 Samuel Schwarz, un ebreo polacco che lavorava come ingegnere a Belmonte, in una zona impervia e isolata nel nord del Portogallo, s’imbatté per caso in marrani in carne e ossa che praticavano ancora in segreto riti ebraici e che, dopo averlo accolto con sospetto, resistendo alle sue domande, avevano infine rivelato di essere judeos. Le ricerche si sono andate allora moltiplicando. Fu Yitzhak Baer a raccogliere e pubblicare, tra il 1929 e il 1936, i documenti custoditi negli archivi dell’Inquisizione. Proprio i persecutori avevano contribuito a conservare la memoria dei marrani. Il suo verdetto fu chiaro: seppure molto assimilati, corrotti dalla filosofia razionalista, nonché vittime di un violento antisemitismo, i conversos dovevano essere ritenuti parte integrante della storia ebraica.
Che ne era però di quei marrani divenuti ferventi cattolici? Tra loro anche personaggi di rilievo, persino rabbini, convertiti sinceramente e promossi alla piú alte cariche ecclesiastiche? Per non parlare poi di Tomás de Torquemada, il grande inquisitore? Forse quei marrani dovevano essere inseriti nella storia della Spagna che, dopo averne cancellato la presenza, dopo aver negato loro una cittadinanza nella «patria» pura e integra, tornava a rivendicarli. Ciò che aveva reso unica la Spagna non era stata la crociata permanente, bensí la convivencia tra musulmani, ebrei e cristiani. Con questa tesi rivoluzionaria Américo Castro, potente voce antifranchista, nel suo libro uscito nel 1948 riconosceva a chiare lettere l’importanza dei conversos che, per lo piú eretici, avevano introdotto il seme del dissenso.
Mentre l’enigma dei marrani, anziché chiarirsi, si faceva piú fitto, e intricata appariva la loro identità, controversa la loro appartenenza, la Shoah gettò un’ombra fosca su quella storia tormentata che non sembrava avere piú nulla di romantico. Lo ammetteva anche Roth nella nuova edizione del suo libro, pubblicato per la prima volta nel 1932. Troppe erano le sconvolgenti affinità tra i marrani e gli ebrei vissuti sotto il regime hitleriano. I marrani potevano offrire un esempio negativo, da non seguire. Perché fedeli, certo, non erano stati.
Quella storia andava radicalmente rivista. No, i marrani non erano né eroi né martiri. Al contrario, transfughi e spergiuri, attestavano con la loro vita la minaccia insita nella diaspora, il rischio dell’assimilazione. Soprattutto non potevano essere ritenuti ebrei. Cosí dichiarò Benzion Netanyahu in un libro uscito nel 1966 che innescò una revisione critica. La sua condanna postuma si fondava infatti sui responsi dei rabbini. Il marranismo non era stato che un modo, attardato e inefficace, di reagire all’Inquisizione.
Questa revisione, che insinuava di nuovo il sospetto, ha imposto tuttavia maggiore cautela. Alcuni storici, come Henry Méchoulan, per salvare il salvabile, hanno segnato una cesura fra i criptoebrei, rimasti «veri ebrei», e i marrani che avrebbero invece scelto l’idolatria diventando nuovi cristiani. Ma come distinguere? Secondo quali criteri? In che modo valutare il caso di Yitzhak Cardoso, che a Madrid non era ritenuto ebreo, mentre a Verona diventò uno dei personaggi piú rappresentativi dell’ebraismo europeo?
È stato in particolare Yosef H. Yerushalmi ad aprire nuove prospettive, da un canto inserendo i marrani nella storia ebraica, dall’altro varcandone i confini per interpretare il fenomeno nella sua trama complessa. A leggere bene i responsi, anche i rabbini non erano concordi: alcuni esprimevano riprovazione, altri mostravano indulgenza. Certo i marrani non seguivano piú la halakhà, la legge ebraica, non osservavano i numerosi precetti; ma era questo un buon motivo per rinnegarli? I rabbini erano chiamati a prendere decisioni di carattere pratico, che riguardavano la vita, e spesso la sopravvivenza, di quelli che erano rimasti in cattività come di quelli che erano riusciti a fuggire. Solo in parte avrebbero potuto contribuire a far luce sulla condizione dei marrani.
Resta l’interrogativo sulla «ebraicità», il termine usato da Yerushalmi e ripreso piú tardi da Jacques Derrida. I marrani possono dirsi ebrei? In che cosa consisterebbe l’ebraicità? E che vuol dire allora essere ebrei? La definizione di marrano mette in questione quella di ebreo.
I giudizi perentori e le definizioni unilaterali, che pretenderebbero di catturare il marrano, questo fuggiasco, profugo e transfuga, finiscono per occultarne l’ambivalenza, per coprire l’insita dualità che rende la sua figura cosí affascinante e cosí inquietante.

Ester e un’altra sovranità.

L’evento narrato non è certo gioioso. Sul popolo ebraico incombe di nuovo una minaccia. Per la prima volta, però, affiora la parola «annientamento». A pronunciarla, nel grande, immenso Impero persiano, è Hamàn, il consigliere del re Assuero. Quell’oscuro burocrate, prototipo dello sterminatore, indica negli ebrei il nemico numero uno, chiede che la questione venga definitivamente risolta. «E disse Hamàn al re Assuero: “vi è un popolo, sparso e separato fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re; non conviene, quindi, che il re lo tolleri. Se cosí piace al re, si scriva che questo popolo venga distrutto”» (Meghillàt Estèr 3, 8-9). Uno, echàd – mediante l’attributo del Dio di Israele si stigmatizza il popolo contro il quale vengono rivolte gravissime accuse politiche: insubordinazione, disprezzo, inosservanza delle leggi del regno, e forse, chissà, cospirazione. Non è opportuno, né utile, concedere ancora la residenza a stranieri insubordinati, che per di piú seguono leggi diverse. Dispersi come sono, e perciò vulnerabili, non potranno opporre resistenza. Se già si separano, perché non isolarli completamente? Freddo e metodico, Hamàn mette in moto la macchina dello sterminio. Si affida al lancio del dado, tira a sorte – pur, da cui il nome Purím, la festa delle sorti. E viene fuori la data: il 13 del mese di adàr. In un sol giorno tutti gli ebrei dovranno essere annientati. Apposto il sigillo, l’editto viene affidato ai corrieri perché lo consegnino a satrapi e governanti. L’apparato si mobilita per allestire la strage. L’ordine è scritto a chiare lettere: «distruggere, uccidere, cancellare» (Meghillàt Estèr 3, 13).
Ma il racconto termina con un lieto fine. Le sorti vengono rovesciate. Gli ebrei scampano miracolosamente alla strage. Il malvagio Hamàn, quel pericoloso sbruffone, cade nella trappola della sua stessa congiura e finisce sulla forca insieme ai suoi complici. Non sarebbe perciò sbagliato inserire il racconto nel genere moderno della fiction. Tanto piú che non si tratta di eventi realmente accaduti.
La Storia del mondo non sa nulla di una regina ebrea nell’Impero persiano. Con i suoi sfarzosi banchetti, gli intrighi di corte, i colpi di scena, la Meghillàt Estèr, il celebre libro biblico, assomiglia quasi a una novella delle Mille e una notte. Tutto sembra una favola. Frivol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Marrani
  4. Gli ultimi ebrei. Per cominciare
  5. Per saperne di piú
  6. Il libro
  7. L’autrice
  8. Della stessa autrice
  9. Copyright