La prigione della monaca senza volto
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La prigione della monaca senza volto

  1. 392 pagine
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La prigione della monaca senza volto

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Anno del Signore 1625. A Roma governa Urbano VIII, Milano è sotto il dominio spagnolo. Girolamo Svampa, sempre piú deciso a chiudere i conti con il suo nemico mortale, Gabriele da Saluzzo, viene coinvolto nell'indagine piú pericolosa della sua vita. Il rapimento di una benedettina, figlia del fedele bravo Cagnolo Alfieri, lo porta nella città ambrosiana, dove si imbatte in due enigmi. Il primo riguarda il cadavere pietrificato di una religiosa. Il secondo una monaca murata in una cripta per aver commesso crimini innominabili: suor Virginia de Leyva, la celebre Monaca di Monza. Quest'ultima sembra informata su particolari che potrebbero svelare il mistero della pietrificazione, e inizia a esercitare sull'inquisitore un pericoloso ascendente. Vittima dopo vittima, incalzato dal cardinale Federigo Borromeo - e aiutato da Cagnolo, dall'enciclopedico padre Capiferro, ma soprattutto dalla bella e audace Margherita Basile - lo Svampa scoprirà che il segreto della trasmutazione in pietra risale alle avventure occorse a un pellegrino in Egitto. E ritroverà sulla sua strada un rivale abilissimo che potrebbe risultare impossibile da sconfiggere.

«La novizia era rivolta verso una finestrella da cui penetrava una fioca luce solare. Stava con le ginocchia a terra, il busto eretto e le braccia aperte a formare una croce. Non era piú una donna in carne e ossa. Ma una statua di solida pietra».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2019
ISBN
9788858430446
Parte quarta

La sirena del deserto

54.

Sestiere di Porta Romana, palazzo arcivescovile.
Notte tra il 14 e il 15 dicembre.

– L’assassino avrebbe pugnalato don Schinzo per poi fuggire via? – ricapitolò fra’ Girolamo, dubbioso.
– Sí, – mentí Capiferro senza guardarlo in viso. – È andata cosí.
Il cardinal Borromeo recitò un sommesso Requiescat in pace. Si trovavano nel suo studio privato, assisi intorno a un desco su cui campeggiava un’elegante bottiglia di acquavite. Quiete e penombra gravavano su di loro conferendo alla riunione l’aria di un conciliabolo.
– Non ha senso, – proseguí lo Svampa.
– Cosa intendete? – ribatté vago il segretario.
– Ammesso che si tratti della persona a cui stiamo dando la caccia, perché non approfittare di una simile occasione per eliminare anche voi e suor Matilda? Eravate entrambi disarmati, alla sua mercé, lontani da testimoni.
Capiferro si sporse verso uno dei tre calici di vetro sistemati accanto alla bottiglia e, prolungando il piú possibile il suo silenzio, buttò giú un sorso. – Magari la sua priorità non è uccidere.
– Spiegatevi, – lo invitò il confratello.
– Potrei farlo soltanto con un’altra domanda. Ossia, perché trasmutare in pietra suor Prospera e suor Cherubina, mentre suor Matilda è stata rapita e mantenuta in vita?
– Forse quell’infame uccide solo quando ne è costretto, – suggerí Borromeo.
– O quando intende porre l’accento su qualcosa d’importante per lui, – aggiunse lo Svampa.
– Adesso siete voi l’oscuro, – gli diede corda il segretario.
Fra’ Girolamo sollevò i palmi come se reggesse i piatti di una bilancia. – Siamo di fronte a un criminale che dà la morte in due modi diversi: alcune vittime le elimina con metodi ordinari, altre invece le lapidifica.
– Immagino che per il primo caso si possa parlare di vittime accidentali, – propose il cardinale, – per il secondo, invece, di designate.
– Naturalmente stiamo formulando delle congetture, – rammentò a tutti lo Svampa. – Nulla esclude che gli omicidi siano stati commessi da piú persone. E nemmeno, nel caso si tratti di un unico assassino, che l’organaro sia stato «semplicemente» ucciso perché la sua trasmutazione in pietra avrebbe richiesto troppo tempo o magari condizioni particolari. Lo stesso vale per don Schinzo.
– Il discorso non fa una piega, – confermò Capiferro, soffocando il senso di colpa con un robusto sorso di acquavite. Ogni volta che sentiva nominare l’uomo senza gamba avvertiva un crampo alla bocca dello stomaco, ma era inutile commiserarsi, doveva continuare a mentire. Non tanto perché l’aveva promesso a Margherita Basile, quanto per risparmiare allo Svampa la verità sulla donna di cui si era fidato. A tal ragione si era inventato la storia di un individuo nerovestito che era entrato all’improvviso nella bottega, aveva ucciso don Schinzo ed era fuggito via. D’altro canto, perché instillare altre ansie nel già irrequieto inquisitore?
– Se però ipotizziamo, – stava continuando fra’ Girolamo, – che l’assassino abbia deciso di pietrificare solo delle vittime prescelte…
– Significherebbe, – continuò Borromeo, – che egli sta seguendo un disegno ben preciso.
– Una pista, – rettificò l’inquisitore.
– Una pista collegata alle vostre supposizioni sulla musica? – s’inserí con cautela il segretario.
– Non posso ancora affermarlo con certezza, – rispose con rammarico lo Svampa. – Suor Virginia de Leyva si è dileguata prima che potessi interrogarla.
I tre uomini rimasero per un attimo a fissarsi. Tesi, meditabondi. Intorno a loro, piccoli feticci e idoli demoniaci vibravano al baluginare delle candele.
– Mi rincresce, – proferí all’improvviso il cardinale.
L’inquisitore lo fissò di sottecchi. – Lo credo bene, eminenza. Dovrete fornirmi molte spiegazioni.
– Non sono affatto tenuto a farlo, – s’inasprí Borromeo, recuperando il suo piglio autoritario. – Se ho espresso il mio rincrescimento, è soltanto perché provo delusione nei confronti di suor Virginia. In alcun modo mi ritengo responsabile dell’inganno in cui siete caduto. Vi sarebbe bastato consultarmi per scoprire che quella monaca non vive in isolamento forzato. Non piú!
– Allora perché? – replicò lo Svampa. – Perché mi è stato fatto credere di aver parlato con una murata viva?
Il prelato abbozzò una sorriso esacerbato. – In origine lo fu, – disse. – Nell’autunno del 1608 suor Virginia fu riconosciuta complice di un nobiluomo che, per nascondere la loro relazione amorosa, si macchiò dell’omicidio di due religiose e di un notarius. In seguito a un durissimo interrogatorio ella confessò e fu condannata a essere murata viva in perpetuo… Finché, – si massaggiò gli occhi gonfi per la stanchezza, – finché colei che a suo tempo giudicai una femmina diabolica divenne ai miei occhi l’esempio della penitente perfetta, il simbolo della redenzione a cui ogni peccatore aspira. Ora vi è chiaro? – esclamò. – Suor Virginia trascorse piú di tredici anni in quella cella! Isolata da tutti, in condizioni precarie persino per un uomo di tempra. Eppure sopravvisse. Per grazia di Dio, ritenni. E fu cosí che, tre anni or sono, la sollevai da quel castigo.
– Dunque com’è possibile che la Signora continuasse, all’apparenza, a scontare la sua pena?
– Fu per sua scelta, – rispose il cardinale. – Suor Virginia pretese di restare in quella cella, in segno di umiltà, anche dopo essere stata graziata. Onorando la sua decisione, io disposi quindi che il muro che l’aveva separata dalle sue consorelle per tanti anni venisse modificato, cosí da potersi aprire e chiudere come il battente di una porta.
– Perciò sia voi che suor Teresa da Ponte sapevate dell’ingresso segreto che collega la cella di suor Virginia alla cripta di Santa Valeria.
– Naturalmente. Ma non certo del cunicolo che conduce all’esterno del convento attraverso l’antico ossario. Nell’apprendere dell’esistenza di quel passaggio sono rimasto ancor piú sbalordito di voi, credetemi. Fui io a decidere in quali locali la monaca di Monza sarebbe stata murata viva e, giuro su Dio, nel momento in cui quella donna vi fu rinchiusa non era presente alcun pertugio collegato a sotterranei.
– Ammesso che siate stato sincero, – sottolineò fra’ Girolamo, – significa che quel pertugio è stato aperto in tempi recenti.
– Forse da suor Teresa da Ponte, – propose Capiferro con tono d’accusa.
– Ne dubito, – scosse il capo Borromeo. – La priora di Santa Valeria può sembrare una persona arcigna, ma mi è leale.
– Non ne sarei cosí sicuro, – obiettò lo Svampa, – visto che è stata proprio lei a nascondervi la prima monaca pietrificata.
– Per timore delle conseguenze, – la difese il prelato. – E a giudicare da quel che le è successo, come darle torto?
L’inquisitore si strinse nelle spalle. – Il ruolo di suor Teresa è comunque marginale, – dichiarò. – Quel che piú importa è comprendere le motivazioni di suor Virginia de Leyva. È evidente che sia stata lei a far penetrare l’assassino nel ritiro di Santa Valeria. Lei a permettergli di pietrificare suor Prospera e di rapire suor Matilda.
Una ricostruzione degna del rasoio di Occam, fece per complimentarsi Capiferro quando Federigo Borromeo, coprendosi il volto con le mani, si lasciò sfuggire un’esclamazione amareggiata. – Quella donna aveva espiato la sua colpa! Perché rendersi complice di un altro uomo scellerato? Perché prendersi gioco di noi?
– I fatti sono incontrovertibili, – sospirò l’inquisitore con tono quasi consolatorio. – Tanto piú che Cagnolo, il mio bravo, dev’essere incappato proprio in suor Virginia mentre io scoprivo il passaggio segreto. Quella che lui descrive come una vecchia megera era infatti in compagnia di un individuo vestito da Doctor Corvus. È troppo per trattarsi di una coincidenza.
– Se non altro il vostro uomo è stato risparmiato, – mormorò il cardinale.
Fra’ Girolamo annuí pensieroso. – Ed ecco perché non mi quadra l’omicidio di don Schinzo…
Prima che il confratello si spingesse troppo oltre, Capiferro ripose con enfasi il calice sul desco e sfoderò un sorriso fiero. – Converrete con me, – annunciò, – che sia ora di passare al contrattacco.
– Iniziavate a preoccuparmi, – osservò con sarcasmo lo Svampa. – Finora avrete spiccicato sí e no dieci parole. Non è da voi.
Il confratello finse di non aver colto la frecciata. – Mentre mi trovavo nel bugigattolo in cui era tenuta prigioniera suor Matilda, – rivelò, – ho forse reperito un indizio utile.
– Ovvero?
– Il libro mastro di Orlando Pagliarini, l’organaro assassinato. L’ho consultato poc’anzi e, a giudicare da quanto vi è annotato, l’altro ieri il nostro magister instrumentorum avrebbe recato visita al monastero delle angeliche di San Paolo per riparare la tastiera di un organo.
– Quindi? – domandò confuso Borromeo.
– Quindi, – spiegò Capiferro, – l’altro ieri mastro Pagliarini era già morto da un pezzo. A giudicare dallo stato del suo cadavere, dev’essere passato a miglior vita settimane fa.
Lo Svampa lo scrutò serioso. – Intendete dire che l’assassino potrebbe essersi presentato in quel monastero facendosi passare per l’organaro?
– Non solo in quel monastero, anche in altri, – rispose il segretario. – Il mio presentimento è che stia agendo cosí da molto tempo. E che abbia usato la bottega di Pagliarini non solo per tener prigioniera suor Matilda ma anche come nascondiglio in cui riposare ed elaborare le sue macchinazioni.
– Magari è un conoscente di mastro Pagliarini… – disse il cardinale. – Forse è stato attraverso lui che è entrato in contatto con suor Virginia…
– Il monastero di San Paolo, un altro asilo di recluse, – rimuginò lo Svampa, risoluto. – Dunque è in quel luogo che forse troveremo una risposta.
– State trascurando un particolare, – lo mise in guardia una voce femminile. – Un particolare importante…
I tre si voltarono verso l’entrata dello studio e videro emergere dall’ombra la figura di Margherita Basile.
Padre Capiferro si alzò di scatto e, senza dar spiegazioni, marciò ad ampie falcate verso di lei. – Vi devo parlare, – esclamò.
– Lo farò non appena… – fece lei.
Il domenicano la afferrò per un braccio. – Subito! – disse, e nello stupore generale la trascinò fuori dallo st...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La prigione della monaca senza volto
  4. Prologo
  5. Parte prima. L’ombra del corvo
  6. Parte seconda. Murata viva
  7. Parte terza. La lingua di pietra
  8. Parte quarta. La sirena del deserto
  9. Parte quinta. Il Viaggiatore
  10. Epilogo
  11. Nota dell’autore
  12. Ringraziamenti
  13. Il libro
  14. L’autore
  15. Dello stesso autore
  16. Copyright