The Game
eBook - ePub

The Game

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Prima scena.
Calciobalilla, flipper, videogioco. Prendetevi mezz'ora e passate dall'uno all'altro, in quest'ordine. Pensavate di giocare, invece avete attraversato lo spazio che separa una civiltà, quella analogica, da un'altra, quella digitale. Siete migrati in un mondo nuovo: leggero, veloce, immateriale. Seconda scena.
Prendete l'icona che per secoli ha racchiuso in sé il senso della nostra civiltà: uomo-spada-cavallo. Confrontatela con questa: uomo-tastiera-schermo. E avrete di fronte agli occhi la mutazione in atto. Un sisma che ha ridisegnato la postura di noi umani in modo spettacolare. «Qualsiasi cosa si pensi del Game, è un pensiero inutile se non parte dalla premessa che il Game è la nostra assicurazione contro l'incubo del Novecento. La sua strategia ha funzionato, oggi le condizioni perché una tragedia come quella si ripeta sono state smantellate. Ormai ci siamo abituati, ma non va mai dimenticato che c'è stato un tempo in cui, per un risultato del genere, avremmo dato qualsiasi cosa. Oggi, se ci chiedono in cambio di lasciare la nostra mail ci innervosiamo».

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a The Game di Alessandro Baricco in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Social Sciences e Sociology. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
ISBN
9788858429778
Categoria
Sociology
Username
Password
▶ Play 1978 La vertebra zero
1981-1998
Dal Commodore 64 a Google
L’epoca classica
Commentari all’epoca classica
1999-2007
Da Napster all’iPhone
La colonizzazione
Commentari all’epoca della colonizzazione
2008-2016
Dalle App ad AlphaGo
The Game
Commentari all’epoca del Game
Maps
Level Up

1978. La vertebra zero

In effetti, benché la rivoluzione digitale sia una costellazione di fenomeni ed eventi piuttosto articolata, una sua certa spina dorsale si può provare a disegnarla: l’allinearsi di cime piú alte di altre, di formazioni geologiche spinte piú in alto dal movimento sismico che stiamo cercando di capire. Proviamo. Isolando una sorta di simbolica VERTEBRA ZERO. Non vorrei che vi aspettaste qualcosa di particolarmente solenne: avrei in mente un videogioco.
Si chiamava Space Invaders. I millennials probabilmente non sanno nemmeno cos’è. Io sí, perché ci giocavo: avevo vent’anni e, inspiegabilmente, del tempo da perdere. L’aveva inventato un ingegnere giapponese che si chiamava Nishikado Tomohiro. Si trattava di sparare a degli alieni che piombavano giú dal cielo in maniera piuttosto idiota, ripetitiva, prevedibile, ma micidiale. Man mano che scendevano la loro velocità aumentava: quando iniziavi ad averli addosso non capivi piú niente.
La grafica era, vista adesso, penitenziale: gli alieni (che in Italia chiamavamo marzianini) sembravano dei ragni disegnati da un deficiente. Era tutto rigidamente bidimensionale e in bianco e nero. I necrologi sul giornale erano piú spiritosi.
Non c’erano computer, in casa, quindi a Space Invaders si giocava andando in appositi locali pubblici (poteva anche essere un bar) dove c’era una specie di mobiletto di dimensioni che adesso mi sembrano inspiegabili: incassati nel mobiletto c’erano uno schermo grande come una piccola televisione e una sobria consolle in cui figuravano tre tasti o, nelle versioni piú sofisticate, un joystick e un paio di tasti.
Ti dovevi chinare un po’, infilavi una moneta in un’apposita feritoia, schiacciavi play e poi iniziavi a pestare sui tasti sparando come un matto. In Giappone la moneta era da 100 Yen: c’era cosí tanta gente che giocava a Space Invaders che la moneta divenne introvabile e la zecca di Stato dovette affrettarsi a produrne un bel po’.
Tutto questo successo ha qualcosa da insegnarci, ma lo può fare solo se si recupera il ricordo di due giochi che popolavano i bar prima che arrivasse il funereo mobiletto di Space Invaders: i calciobalilla e i flipper.
E qui siamo al punto.
Se fate un passo indietro, anzi due, vi ritrovate con una sequenza di giochi che piú di ogni altra al mondo vi può far SENTIRE, piú ancora che capire, l’essenza della rivoluzione digitale.
La sequenza è: calciobalilla, flipper, Space Invaders.
Non fate quella faccia, fidatevi.
E studiate bene quella sequenza: cercate di sentirla fisicamente, tornate a giocare a quei tre giochi, nella vostra mente, uno dopo l’altro. Sentirete che, a ogni passaggio, qualcosa si scioglie, che tutto diventa piú astratto, leggero, liquido, artificiale, veloce, sintetico. Una mutazione. Molto simile a quella che ci ha portato dall’analogico al digitale.
Niente di particolarmente cervellotico: è una cosa soprattutto fisica. Nel calciobalilla tu senti i colpi nel palmo della mano, i rumori sono naturali, provengono dalla meccanica delle cose, tutto è molto reale, la pallina esiste davvero, tu fisicamente fatichi, ti muovi, sudi; nel flipper qualcosa cambia, il gioco è messo sotto vetro, i suoni sono per lo piú riprodotti, elettrici, la distanza tra te e la pallina aumenta, tutto viene concentrato in due tasti, che della pallina ti danno un lontano sentore, qualcosa come una semipercezione. Il gesto delle mani, che nel calciobalilla poteva scegliere tra infinite velocità e sfumature di accosto, qui si riassume nel lavoro di due dita che conservano ancora un certo numero di opzioni, ma piuttosto limitato, e in fondo riservato ai giocatori piú esperti. Quanto al corpo, quasi assiste alla scena, pressoché espulso dal cuore della faccenda: sopravvive un certo movimento del bacino che si usava per deviare la corsa della pallina e staccare qualche penosa allusione sessuale: per entrambe le ragioni, ne era vietato l’uso troppo accentuato.
E adesso mettetevi a giocare a Space Invaders.
Corpo? Sparito. Non c’è quasi piú nulla di fisico in senso stretto, la pallina (i marzianini) non è reale, non lo sono i suoni. Uno schermo, che nel calciobalilla non c’era e nel flipper stava lí a contare i punti, adesso si è divorato tutto, DIVENTANDO il campo da gioco. È tutto immateriale, grafico, indiretto. Se c’è una realtà, è offerta in una rappresentazione sotto vetro che non posso modificare se non attraverso dei comandi che le sono esterni e che in maniera impersonale le comunicano degli ordini. Sulla carta sembra tutto molto freddo, costrittivo, asfittico, in fondo triste: ma adesso mettetevi a giocare e cercate di sentire l’improvvisa mancanza di attrito, la levigatezza del piano da gioco, la leggerezza del gesto, il flusso quasi liquido di ordini e decisioni, la riduzione di qualsiasi situazione di gioco alla sua essenza, la pulizia del sistema, la possibilità di concentrazione quasi assoluta, la velocità dell’accadere. Scommetto che iniziate a capire perché rimasero senza monetine, quelli là.
Adesso tornate in un nanosecondo alle manopole del calciobalilla. Avete come un sussulto, vero? Come se vi avessero portato via da una seduta di meditazione per mettervi nel bel mezzo di una discussione al bar: è tutto improvvisamente cosí spesso, macchinoso, impreciso e fastidiosamente vero… Non che una cosa sia migliore dell’altra, non si potrebbe dire, ma certo sono diverse, proprio diverse. In quale potreste dire di essere piú presenti, piú vivi, piú voi stessi?
Sfarfallate un po’ al calciobalilla e poi tornate in un amen alla consolle di Space Invaders.
Fate qualche avanti e indietro, magari fermandovi, ogni tanto, alla stazione intermedia del flipper.
Fatelo sul serio.
La sentite la migrazione?
Voglio proprio dire la MIGRAZIONE: lo spostarsi del baricentro intorno a cui si organizza la faccenda, lo scivolare di tanti dettagli da una parte all’altra del paesaggio, e perfino lo scambiarsi di posto delle vostre capacità, delle vostre potenzialità, delle vostre sensazioni, delle vostre emozioni. IL MUTARE DI CONSISTENZA DELLESPERIENZA.
Non sono che tre giochi, ma quante cose migrano nel cammino dal piú vecchio al piú nuovo.
Non state a perdere tempo cercando di giudicare cosa è meglio e cosa peggio: concentratevi e cercate di cogliere quella migrazione in uno sguardo sintetico, in un’unica sensazione. Soprattutto in una sensazione.
Fatto? Bene. Quello che state sentendo è il tipo di flusso che caratterizza il passaggio dall’analogico al digitale. State stringendo il nervo centrale della rivoluzione che stiamo facendo. Il suo movimento base. Volendo, il suo segreto.
Space Invaders, nella sua modestia di giochetto per sfaccendati, è una delle prime tracce geologiche di un sisma. Il suo cuore, d’altronde, era già completamente digitale – un software contenuto in una scheda. Se la rivoluzione digitale ha una spina dorsale, quella può essere assunta come la prima vertebra. Spinge di poco, sotto la pelle del mondo, ma le dita la sentono, gli occhi la vedono. Esiste. È un inizio.
Space Invaders, nella sua modestia di giochetto per sfaccendati, è una delle prime tracce geologiche di un sisma
POSTILLA Per darvi un’idea del lavoro che ci aspetta mi fermo un attimo su questa vertebra e la tratto come dovremo trattare tutta la spina dorsale della rivoluzione digitale: come delle rovine archeologiche in cui possiamo leggere le tracce di una civiltà nascosta. C’è da cercare tracce fossili di una qualche vita precedente. I codici della rivoluzione mentale che ha generato tutto quello.
Si fa prima a farlo che a spiegarlo. Per cui, ecco che raschio la prima vertebra e mi porto a casa un po’ di indizi.
PRIMO Paragonato ai soliti calciobalilla e flipper, Space Invaders era un gioco che stabiliva una rivoluzionaria postura fisica e mentale, incredibilmente sintetica e brutalmente riassuntiva: uomo, consolle, schermo. Uomo, tasti, schermo. Dita sui tasti, occhi sullo schermo. Comandi dati con le dita, risultati verificabili con gli occhi sullo schermo. Aggiungete uno spruzzo di audio, per rendere il sistema piú funzionale. Vi ricorda qualcosa? È, attualmente, una delle posture fisiche e mentali in cui passiamo piú tempo. La usiamo per eseguire operazioni di ogni tipo, dal prenotare un albergo, a dire a qualcuno che lo amiamo. Se vogliamo è la postura per eccellenza che definisce l’era digitale. Nemmeno l’avvento della tecnologia touch è riuscito a destabilizzarla piú di tanto. Non che l’abbia inventata Space Invaders, intendiamoci bene, ma è probabile che, in quel gioco, quella postura sia per la prima volta uscita allo scoperto, risalita sulla superficie della vita di un numero davvero significativo di persone. Tanto per capirci, il primo personal computer di una certa popolarità (ma non si sfiorano nemmeno i numeri di Space Invaders e dei cosiddetti Arcade games) è del 1982, si chiamava Commodore 64. Il primo Mac – che sta a Space Invaders come una cattedrale sta a una cappelletta votiva – è del 1984. Per il primo smartphone di cui la gente si sia accorta bisogna aspettare altri ventuno anni: 2003.
Quindi, se riavvolgete il nastro e cercate la prima volta in cui quella postura – uomo, tasti e schermo riuniti in un unico animale – è entrata a far parte della vita di un fracasso di gente, cosa trovate? Space Invaders, credo. E i giochi di quel tipo lí.
COSA IMPARIAMO Che, guarda caso, nella vertebra numero zero, nel suo DNA, c’è un tipo di postura che avrebbe avuto un grande futuro e che riconosceremo in gran parte delle formazioni geologiche che chiamiamo rivoluzione digitale: uomo-tasti-schermo in un unico animale. È la postura in cui sto scrivendo questo libro. [Non quella in cui, probabilmente, lo state leggendo: onore al libro cartaceo, che ancora resiste a qualsiasi mutazione].
SECONDO Il calciobalilla era un mobile con una sua dignità, il flipper una sua bellezza l’aveva: il mobiletto di Space Invaders faceva vomitare. In compenso però, un calciobalilla non poteva essere molto altro che un calciobalilla, potevi giusto cambiare il colore delle maglie agli omini; il flipper si poteva vestire in molti modi diversi [si andava da ambientazioni fantasy a cosette con donnine seminude], poteva anche complicare un po’ i giri della pallina, creare delle fermate, delle piccole sopraelevate, ma insomma, sempre quella cosa lí era, la palla rimbalzava e poi andava giú, fine. L’orrendo mobiletto di Space Invaders, invece, AVEVA DENTRO LINFINITO: una volta fissata la postura uomo-tasti-schermo, il resto non aveva confini: c’erano tutti i giochi del mondo, là dentro, bastava cambiare la scheda. A chi fosse stato capace di vederli, c’erano anche Fifa 2018 e Call of Duty. Bastava darci dentro con la grafica, aggiungere qualche funzione e usare una tecnologia audio e video piú avanzata: una cosetta che una quindicina d’anni dopo saremmo riusciti a fare con maestria spettacolare: la Play Station è del 1994.
COSA IMPARIAMO Che nella vertebra numero zero, nel suo DNA, c’è un tipo di movimento che avrebbe avuto un grande futuro e che riconosceremo in gran parte delle formazioni geologiche che chiamiamo rivoluzione digitale: invece che generare molti mondi belli e diversi, investi il tuo tempo a inventare un unico ambiente in cui si possano versare tutti i mondi che ci sono. Lo dico in altri termini: non perdere tempo a mettere a punto cose che non possono avere un grande sviluppo; piuttosto cerca di inventare cose il cui sviluppo è infinito perché sono state pensate per contenere TUTTO.
TERZO Space Invaders era un GIOCO. Non so se intuite le deliziose implicazioni che la cosa suggerisce. Praticamente, un qualche sisma sotterraneo spacca la crosta delle abitudini dei terrestri e il primo punto in cui lo fa, o almeno uno dei primi, è quell’istante della loro vita in cui si mettono in pantofole, mandano tutto in mona e si mettono a giocare. Io la trovo una circostanza struggente. Mi chiedo se sia casuale. Certo mi piace pensare che il giorno in cui abbiamo deciso di dare il giro al tavolo, lanciandoci in una rivoluzione epocale, fosse un giorno di vacanza. Eravamo a piedi nudi e scolavamo una lattina di birra.
COSA IMPARIAMO Che nella vertebra numero zero, nel suo DNA, c’è un’attitudine che avrebbe avuto un grande futuro e che riconosceremo in gran parte delle formazioni geologiche che chiamiamo rivoluzione digitale: generare cambiamento sfornando strumenti che se non sono giochi almeno gli assomigliano. Siamo divinità festive, che creano nel settimo giorno, quello in cui il dio vero riposa.
Space Invaders
Bene, per ora mi fermo qui. Capite che se da una sola, piccola, prima costola già si possono dedurre cose del genere, l’idea di poter studiare la parte sostanziosa della spina dorsale finisce per suonare irresistibile.
Quindi vale la pena continuare. Prossimo capitolo, prossimo pezzo della spina dorsale, nuove rovine da studiare. Inizio a divertirmi davvero.
Mappa di rilievi geologici
1981-1998. Dal Commodore 64 a Google

L’epoca classica

Quasi vent’anni per mettere a posto il tavolo da gioco
Premessa inevitabile, ma molto importante. Se vogliamo riportare la galassia di eventi che chiamiamo RIVOLUZIONE DIGITALE a una spina dorsale leggibile, a una catena montuosa che ci aiuti a capire, dobbiamo forzatamente sintetizzare e rinunciare ad alcune sfumature. Ci serve registrare dei picchi, anche sacrificando il dettaglio di processi che magari sono durati decenni. In queste pagine si è scelto per lo piú di rilevare gli eventi solo quando in effetti sono saliti sulla superficie del consumo collettivo, diventando scenari abitati da molti e non solo da élite particolari. Lo so, è un metodo arbitrario. Ma alla fine abbiamo troppo bisogno di una sintesi leggibile per attardarci troppo nel culto della precisione. Quel che suggerisco è che vi godiate la possibilità di vedere tutto dall’alto, come in una fotografia aerea, e che per qualche capitolo accettiate l’inevitabile inesattezza di uno sguardo sintetico. Ogni volta che potremo, planeremo giú a guardare da vicino. Promesso.
Allora. Lasciamoci Space Invaders alle spalle e guardiamo venire su le prime montagne vere e proprie. Sono gli inizi degli anni ’80.
1981-1984
  • Nel giro di quattro anni escono tre Personal Computer che riassumono lunghissime sperimentazioni e che riescono a sfondare sul mercato, convertendo uno strumento d’élite in un oggetto che potevi immaginare di avere a casa anche se non eri un genio o un professore alla Stanford University: il pc Ibm, il Commodore 64, e il Mac della Apple. A vederli adesso sono di una mestizia desolante, ma ai tempi dovevano sembrare perfino graziosi, e comunque passabilmente amichevoli. Dei tre, quello che ebbe meno successo commerciale fu il Mac: era però il piú geniale. Fu il primo a usare un’impostazione grafica e un’organizzazione del ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. The Game
  4. The Game
  5. Username
  6. Password
  7. Play
  8. Maps
  9. Level Up
  10. Ringraziamenti
  11. Il libro
  12. L’autore
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright