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Le parole di Walter Benjamin

  1. 224 pagine
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Le parole di Walter Benjamin

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Informazioni sul libro

Fra i patrimoni che il Novecento ci ha lasciato in eredità, il pensiero e l'opera di Walter Benjamin sono fra i piú produttivi e fecondi. La sua scrittura, fulminea e penetrante, ha spaziato dalla critica letteraria alla teologia, dalla teoria dei media alla filosofia della storia, dall'estetica delle arti visive alla teoria dell'architettura e della città. Collocandosi al punto di convergenza di tradizioni eterogenee (messianismo ebraico e marxismo eterodosso, pensiero romantico e morfologia), la riflessione di Benjamin ha trovato espressione in una molteplicità di generi e di stili, la cui natura ibrida ha sempre affascinato, ma spesso disorientato i suoi lettori, che si sono accostati e continuano ad accostarsi alle sue opere provenendo da percorsi e ambiti disciplinari differenti.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
ISBN
9788858429709
1.

Allegoria

Quella di allegoria è la categoria fondamentale dell’estetica di Benjamin, e trova applicazione nell’interpretazione di tutti e tre gli ambiti d’indagine della sua critica*: il Barocco tedesco, il Moderno di Baudelaire e l’Avanguardia del primo Novecento, che entrano in costellazione proprio nel segno dell’allegoria (cfr. Gurisatti 2010). Alla trattazione dell’allegoria è dedicata la seconda parte del Dramma barocco tedesco, intitolata Allegoria e dramma barocco (1928; OC II, 196-268), ma è nel saggio del 1916 Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo (OC I, 281-95) che essa trova i suoi presupposti teorici. In quel caso, al «nome» adamitico, che mantiene con le cose un rapporto simbiotico, tale da poterne essere definito il simbolo (da syn, «con», «insieme», e ballo, «pongo», «metto» = «metto insieme», «unisco», «congiungo», «sposo»), Benjamin contrappone il «segno» post-adamitico, derivante dal peccato originale avvenuto nel nome di Satana, e avente con le cose un rapporto di iper-denominazione astraente, arbitraria, convenzionale, perciò distruttivo e mortificante, tanto da poterne essere definito l’allegoria (da allo, «altro», e agoreuo, «dico», «parlo», «esprimo» = «parlo d’altro»). L’allegoria – figurativa o poetica – non si unisce in sintonia traduttiva con le cose, ma, tradendole, tramite esse parla d’altro, per esprimere un significato loro estraneo le manda in pezzi, le smonta e rimonta, esibendo il suo statuto emblematico (da en, «in», e ballo, «getto», «pongo», «incastro» = «inserisco, incastro dentro, monto»). Questa la definizione di Benjamin nel Dramma barocco: nell’allegoria
l’oggetto è oramai del tutto incapace di irradiare un significato, un senso; il suo significato sarà quello che l’allegorista gli assegna. Egli lo inserisce e lo cala profondamente nell’oggetto: e la situazione non è psicologica ma ontologica. Nelle sue mani la cosa diventa qualcos’altro, per mezzo di essa egli parla d’altro (OC II, 219).
Come nel saggio Sulla lingua il segno si contrappone al nome, cosí nel Dramma barocco l’allegoria si contrappone al simbolo: mentre il simbolo richiama classicamente l’idea della bellezza, pienezza, chiarezza, totalità, plasticità, organicità, l’allegoria esibisce baroccamente il suo statuto anticlassico, e perciò stesso brutto, enigmatico, frammentario, rovinoso, disorganico:
Non è possibile pensare qualcosa di piú lontano dal simbolo artistico, dal simbolo plastico, dall’immagine della totalità organica, di questo frammento amorfo che è l’ideogramma allegorico. In esso il Barocco si dimostra un pendant perfetto del Classicismo. […] Nel campo dell’intuizione allegorica l’immagine è frammento, runa. La sua bellezza simbolica si volatilizza […], la falsa apparenza della totalità si spegne (211-12).
L’impegno critico di Benjamin nel Dramma barocco consiste nel contrastare il «pregiudizio classicistico» che, identificando tout court l’arte* bella – cioè la grande arte, l’arte con aura* – con il simbolico, svaluta l’allegorico ad arte brutta, minore, anzi a non-arte, arte priva di aura. Benjamin, invece, vede nell’allegorico non solo «un correttivo dell’arte come tale» (211), ma l’imporsi di «una sensibilità stilistica affatto nuova» (213), dotata di un’autonoma valenza estetica, che presuppone una diversa figura di artista: non piú creatore alato di un novum illuminato dalla luce eterna dell’idea*, ma sperimentatore profano dedito a un’ars inveniendi e a un’attività combinatoria che scompone, smonta e rimonta le rovine e i frammenti di un mondo inteso come in sé rovinoso e frammentato. L’allegoria, anche in ciò contrapposta alla trascendenza del simbolo, è per Benjamin la forma artistica maggiormente vera ed espressiva delle epoche in cui la storia* stessa appare come catastrofe:
Mentre nel simbolo […] si manifesta fugacemente il volto trasfigurato della natura nella luce della redenzione, l’allegoria mostra agli occhi dell’osservatore la facies hippocratica della storia come irrigidito paesaggio originario. […] È questo il nucleo della visione allegorica, della esposizione barocca, profana della storia come via crucis mondana: essa ha significato solo nelle stazioni del suo decadere (202-3).
È per questo che Benjamin, negli studi sulla lirica di Baudelaire, ne sottolinea lo statuto barocco e allegorico (si pensi al ciclo dello Spleen nelle Fleurs du mal), che assume in sé «la distruzione dell’aura [simbolica] nell’esperienza vissuta dello choc [allegorico]» (CB 893), ed è per questo che egli coglie una riattualizzazione dell’allegorico nelle sperimentazioni e nei montaggi* dell’avanguardia sia letteraria e figurativa (Dadaismo e Surrealismo), sia tecnologica (il cinema sovietico e la fotografia di Heartfield). Si tratta qui di un’anti-arte che, abbandonata ogni nostalgia per l’aura* del simbolico, introietta lo choc* allegorico come arma, anche politica, con cui partecipare, nel segno del nichilismo messianico* a una positiva catastrofizzazione apocalittica-rivoluzionaria della storia.
L’allegoria rivela cosí il suo spessore non solo estetico-artistico, ma anche teologico-politico. È vero infatti che il segno allegorico, tradendo il simbolo paradisiaco e sprofondando nell’abisso della storia, è frutto del peccato, ed è altrettanto vero che nelle ultime pagine del Dramma barocco – esplicitamente richiamantisi al saggio Sulla lingua – l’allegoria è identificata come figlia dia-bolica dello «sguardo ribelle e penetrante di Satana» (OC II, 262), o di Lucifero, «figura protoallegorica», principe delle tenebre e re dell’abisso (cfr. 261), ma è anche vero che – con un paradosso tipico del messianismo apocalittico (cfr. Scholem 1957; 1959) che impregna ogni pagina del suo testo sul Barocco – Benjamin proprio nello sprofondamento, nella distruttività e nella catastrofe dell’allegorico individua motivi profondi di redenzione:
Come chi precipita corre il rischio di rovesciarsi, allo stesso modo l’intenzione allegorica si perderebbe di immagine in immagine nella vertigine del suo abisso senza fondo se proprio nelle sue immagini estreme non dovesse apparire che, in realtà, tutta la sua tenebra, la sua superbia, la sua lontananza da Dio sono mero autoinganno. […] La caducità è in essa […] offerta come allegoria, a sua volta significante. Come l’allegoria della resurrezione (OC II, 265).
Benjamin individua lo statuto nichilistico-messianico dell’allegoria barocca, cioè quella potenza distruttiva della redenzione e redentiva della distruzione che – come già nel Frammento teologico-politico (1921; OC I, 512-13) e, in seguito, nelle tesi Sul concetto di storia (1940; OC VII, 483-93) – egli intende come essenza, appunto, teologico-politica ribelle, anarchica e sovversiva implicita tanto nella lirica di Baudelaire che nelle poetiche d’avanguardia, vero motore ermeneutico del Dramma barocco (cfr. Bürger 1974). Benjamin stesso, nella Premessa gnoseologica al testo, rileva le «analogie sorprendenti», nel segno dell’allegorico, tra poetiche «barocche» e poetiche «espressioniste» (cfr. OC II, 94).
In definitiva, l’allegoria, per Benjamin, significa qualcos’altro da ciò che è; è, a ben vedere, allegoria di se stessa: è bruttezza che può ribaltarsi in nuova bellezza, frammento in nuova totalità, distruzione in redenzione, mortificazione delle cose in salvezza delle stesse – è insomma la forma critica di un’anti-arte che, mandando in rovina antiche aure e sprofondando nel profano della storia, della politica e della tecnica*, può, «come un angelo caduto nell’abisso» (OC II, 268), ribaltarsi nella nuova arte della Rivoluzione: un’intima affinità lega, per Benjamin, l’allegorista barocco e l’intellettuale-artista-tecnico rivoluzionario de L’autore come produttore (1934; AC 145-62).
Per approfondire:
BOFFI 1988; BUCI-GLUCKSMANN 1984; CAMPI 2008; GURISATTI 2003 e 2012a; LINDNER 2000; LUPERINI 1989; MASINI 1977a; MENNINGHAUS 1980; NAEHER 1977; PINOTTI 2010.
G. G.
2.

Arti e media

Per l’intera parabola del suo percorso intellettuale Benjamin si è intensamente confrontato con la sfera delle arti e dei media. Il suo pensiero ha trovato nei problemi artistici e mediali non un campo di applicazione di un apparato teorico sviluppato precedentemente e indipendentemente da essi, bensí un autentico catalizzatore di idee e concettualizzazioni: tale sfera ha operato dunque essa stessa come un vero e proprio medium*, consentendo a Benjamin di elaborare una categorizzazione che non si sarebbe potuta configurare altrimenti.
La sua riflessione è stata estetica nel duplice significato che questo termine ha assunto storicamente: come interrogazione filosofica del mondo dell’arte e come indagine intorno all’esperienza sensibile (aisthesis) nel quadro dell’ipotesi della storicità della percezione*. La correlazione fra queste due facce dell’estetico si è ulteriormente intrecciata ad altre dimensioni (linguistica, teologica, sociale, politica, tecnica…): uno spettro ampio e complesso, che spiega l’attenzione che il pensiero benjaminiano ha suscitato e continua a suscitare presso gli studiosi del campo artistico e mediale.
«Accanto alla teoria dell’arte, l’interesse per la filosofia del linguaggio ha per me da sempre avuto un ruolo predominante» (Curriculum vitae, 1940; OC VII, 518). Nell’anno della sua morte Benjamin richiama retrospettivamente l’attenzione sul ruolo cruciale giocato dal medium della lingua* nel proprio lavoro: dalle numerosissime recensioni di libri di poesia e di prosa, di letteratura alta e popolare, di studi di teoria e storia della letteratura (si veda la raccolta in WuN XIII, nonché i testi riuniti in Benjamin 1979) all’indagine sul ruolo dello scrittore nella modernità (L’autore come produttore, 1934; AC 147-62).
Benjamin ha dedicato importanti lavori a specifiche epoche o generi letterari: ricordiamo la dissertazione dottorale Il concetto di critica nel romanticismo tedesco (1920; OC I, 353-451), lo scritto di abilitazione sul Dramma barocco tedesco (1928; OC II, 69-268), il saggio Il Surrealismo (1929; AC 320-33). Numerosi sono stati gli studi incentrati su singoli autori e opere: Due poesie di Friedrich Hölderlin (1915; OC I, 217-39); Le «Affinità elettive» di Goethe (1924-25; OC I, 523-89); Per un ritratto di Proust (1929; OC III, 285-97); Karl Kraus (1931; OC IV, 329-58); Franz Kafka (1934; OC VI, 128-52); Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov (1936; OC VI, 320-42); Su alcuni motivi in Baudelaire (1939; AC 163-202). Al poeta francese come epitome e simbolo della modernità Benjamin aveva progettato di dedicare un volume, al quale lavorò tra il 1937 e il 1939, e che restò incompiuto: Charles Baudelaire, un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato (CB).
Al compito del critico Benjamin avrebbe voluto consacrare una raccolta di saggi (cfr. i frammenti risalenti al 1929-31; OC VIII, 157-77). Sempre in campo letterario, un altro compito specifico è quello della traduzione*, affrontato da Benjamin in particolare nel saggio Il compito del traduttore (OC I, 500-11). Cospicua è anche la produzione dedicata al teatro, soprattutto a partire dall’incontro con Bertolt Brecht, avvenuto a Berlino nel 1924 (si vedano le riflessioni contenute nelle due versioni di Che cos’è il teatro epico?: 1931; OC IV, 359-71; 1939; AC 285-92, e i testi raccolti in Benjamin 2016).
Al polo della parola fa da controcanto quello dell’immagine, che Benjamin ha considerato tanto come immagine statica (pittura, grafica, fotografia) quanto come immagine dinamica (cinema). Le meditazioni intorno alle arti figurative accompagnano il filosofo per tutto l’arco della sua vita: dal giovanile dialogo L’arcobaleno (1915; AC 87-93), che riflette intorno al colore e alla fantasia nel loro rapporto con l’attività dell’artista, passando per i saggi del 1917 Pittura e grafica e Sulla pittura, ovvero «Zeichen» e «Mal» (AC 94-99) e per la sezione S «Pittura, art nouveau, novità» del progetto sui passages (OC IX, 607-29), fino ad arrivare alle tarde recensioni dedicate a una mostra di Dipinti cinesi alla Bibliothèque Nationale (1938; AC 105-8) e al volume Lo sguardo di Georges Salles, il conservatore per l’arte asiat...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Andrea Pinotti
  4. Elenco delle abbreviazioni delle opere benjaminiane
  5. Costellazioni
  6. 1. Allegoria
  7. 2. Arti e media
  8. 3. Aura
  9. 4. Choc
  10. 5. Citazione
  11. 6. Città
  12. 7. Collezionismo
  13. 8. Conoscibilità e leggibilità
  14. 9. Critica
  15. 10. Ebbrezza e hashish
  16. 11. Esperienza
  17. 12. Estetizzazione della politica, politicizzazione dell’arte
  18. 13. Facoltà mimetica
  19. 14. Fantasmagoria
  20. 15. Flâneur
  21. 16. Gesto
  22. 17. Gioventú
  23. 18. Idea, origine, fenomeno originario, monade
  24. 19. Immagine dialettica
  25. 20. Inconscio ottico
  26. 21. Infanzia
  27. 22. Innervazione e training
  28. 23. Jetztzeit
  29. 24. Lingua
  30. 25. Materialismo antropologico
  31. 26. Medium e Apparat
  32. 27. Melanconia
  33. 28. Memoria, ricordo, rammemorazione
  34. 29. Mito
  35. 30. Montaggio
  36. 31. Narrazione
  37. 32. Nichilismo messianico
  38. 33. Nuda vita
  39. 34. Passage
  40. 35. Raccoglimento e distrazione
  41. 36. Riproducibilità
  42. 37. Sogno e risveglio
  43. 38. Storia
  44. 39. Storicità della percezione
  45. 40. Tecnica
  46. 41. Traduzione
  47. 42. Valore cultuale e valore espositivo
  48. 43. Violenza
  49. Bibliografia
  50. Gli autori
  51. Indice dei nomi
  52. Il libro
  53. L’autore
  54. Dello stesso autore
  55. Copyright