Mi svegliai poco dopo le cinque, quando fuori era ancora buio. Infilai un cardigan sopra il pigiama, andai a dare un’occhiata in soggiorno. Sul divano, Menshiki dormiva. Nel camino il fuoco era spento, ma non da molto, presumibilmente, perché nella stanza faceva ancora abbastanza caldo. La catasta di legna che gli avevo lasciato si era alquanto ridotta. Disteso sul fianco, con la trapunta addosso, Menshiki era sprofondato in un sonno tranquillo, non lo si sentiva nemmeno respirare. Tutto, persino il sonno, era elegante in lui. Nella stanza l’aria sembrava trattenere il fiato, per non disturbarlo.
Lo lasciai dormire e andai in cucina a fare il caffè. Tostai delle fette di pane. Poi mi sedetti al tavolo della zona pranzo a mangiare il mio pane imburrato e bere il mio caffè, col libro che stavo leggendo in quei giorni posato davanti. Un libro che parlava dell’Invincibile Armada e delle tremende battaglie tra la flotta di Elisabetta I d’Inghilterra e quella di Filippo II di Spagna. Chissà poi perché dovevo leggere quel vecchio trattato sulle battaglie navali avvenute nella seconda metà del sedicesimo secolo, al largo delle coste britanniche… ma, una volta iniziato, l’avevo trovato interessante, addirittura avvincente. Faceva parte della biblioteca di Amada Tomohiko.
Secondo la teoria generalmente ammessa, il corso della storia aveva subito una svolta perché l’Invincibile Armada aveva sbagliato tattica ed era stata sbaragliata dalla flotta inglese, ma in realtà la maggior parte delle perdite riportate dai soldati spagnoli non erano avvenute durante la battaglia navale (dell’incredibile quantità di palle di cannone sparate dagli inglesi, quasi nessuna era andata a segno), ma in un naufragio. Gli spagnoli, abituati alla relativa tranquillità del Mediterraneo, si trovarono in difficoltà nelle acque insidiose al largo dell’Irlanda, quindi molte delle loro navi erano finite su scogli sommersi e colate a picco.
Seduto al tavolo da pranzo, mentre seguivo il triste destino dei soldati spagnoli, bevvi due tazze di caffè nero, e intanto il cielo a oriente andava lentamente schiarendo. Era sabato mattina.
Mi ripetei mentalmente le parole del Commendatore: «… oggi prima di mezzogiorno, riceverete una telefonata. Qualcuno vi inviterà a fare qualcosa. … non dovrete assolutamente rifiutare». Gettai un’occhiata all’apparecchio. Per il momento taceva. Ma con ogni probabilità una persona mi avrebbe chiamato. Il Commendatore non mentiva mai. Dovevo solo attendere.
Pensai a Marie. Avrei voluto telefonare a sua zia per sapere se c’erano novità, ma era troppo presto. Meglio aspettare almeno fino alle sette. Inoltre, se per caso Marie fosse stata ritrovata, la zia mi avrebbe già avvisato. Sapeva che stavo in pensiero. Se non ricevevo comunicazioni, era perché non c’erano sviluppi. Quindi continuai a leggere il libro sull’Invincibile Armada, e quando mi stufai, mi limitai a restare seduto lí, a guardare il telefono senza fare nulla. Peccato che si ostinasse a tacere.
Chiamai Akikawa Shōko poco dopo le sette. Rispose subito. Probabilmente era seduta di fianco all’apparecchio, nella spasmodica attesa che squillasse.
– Ancora nulla, – fu la prima cosa che mi disse. – Non si trova –. Immaginai che non avesse quasi dormito. Anzi, che non avesse chiuso occhio. Dalla voce sembrava esausta.
– Ma la polizia si sta muovendo? – chiesi.
– Sí. Ieri sera sono venuti due agenti, abbiamo spiegato loro la situazione e fornito una fotografia di Marie, descrivendo i vestiti che indossava… Abbiamo anche precisato che non è il tipo di ragazzina che esce la sera per andare in giro. Le informazioni sono state diramate, le ricerche sono in corso. Con discrezione, naturalmente. Ci hanno assicurato che l’indagine non verrà resa pubblica.
– Risultati però non ce ne sono.
– No, per il momento nemmeno un indizio. Comunque mi sembra che si stiano dando da fare, ce la mettono tutta.
Le dissi due parole di incoraggiamento e la pregai di chiamarmi subito se ci fossero state novità. Mi promise di farlo.
Intanto Menshiki si era svegliato e si stava lavando la faccia in bagno, dove rimase un bel po’ di tempo. Si lavò i denti con uno degli spazzolini nuovi che tenevo a disposizione degli ospiti, poi venne a sedersi di fronte a me in cucina e bevve un caffè nero bollente. Gli chiesi se voleva del pane tostato, rispose di no. Forse perché aveva dormito sul divano, i suoi magnifici capelli bianchi erano un pochino spettinati, in confronto alla perfezione abituale. Un disordine molto relativo, però. Davanti a me c’era il solito Menshiki, controllato ed elegante.
Gli dissi subito che avevo appena telefonato ad Akikawa Shōko.
– È solo una mia sensazione, – fece lui, sentito il mio resoconto, – ma penso che in questa faccenda la polizia non sarà di alcun aiuto.
– Cosa glielo fa dire?
– Marie non è una ragazzina come tante, non siamo davanti al tipico caso della teenager che scappa di casa. E non credo che si tratti di un rapimento. Di conseguenza, con i metodi abituali della polizia, sarà difficile trovarla.
Non feci commenti, ma pensai che probabilmente aveva ragione. Ci trovavamo di fronte a un’equazione in cui c’erano solo incognite, e quasi nessun numero. Ora l’essenziale era scoprire anche solo un numero in piú.
– Non converrebbe andare di nuovo a dare un’occhiata a quella buca? – proposi. – Può darsi che troviamo qualcosa di cambiato.
– Sí, andiamo! – disse Menshiki.
Tanto non potevamo fare nient’altro. Quest’oscura consapevolezza l’avevamo entrambi. Io mi dissi che durante la nostra assenza poteva arrivare una chiamata di Akikawa Shōko, o «l’invito» che mi aveva annunciato il Commendatore. Ma avevo il vago presentimento che fosse ancora presto.
Indossammo le giacche e uscimmo. Era una bella mattina di sole. Il vento che soffiava da nord-ovest aveva portato via le nubi che la sera prima coprivano il cielo. Alzando lo sguardo alla volta celeste, ora sorprendentemente alta e trasparente, si aveva l’impressione di vedere il fondo ribaltato di una limpida fontana. Da lontano arrivò il rumore uniforme di un lungo treno che correva sulla ferrovia. Ci sono giornate cosí, ogni tanto. Giornate in cui, grazie alla trasparenza dell’aria e alla direzione del vento, le nostre orecchie percepiscono con inusuale nitidezza suoni molto distanti.
Percorremmo senza parlare il sentiero nel bosco che portava al tempietto, ci fermammo davanti alla buca. Il coperchio era nella posizione esatta in cui l’avevamo lasciato la sera prima. Le pietre che vi erano posate sopra pure. Togliemmo tutto, constatammo che la scala era sempre al suo posto. E nella buca non c’era nessuno. Menshiki questa volta non ritenne necessario scendere. Alla luce del sole il fondo si vedeva benissimo, e non si notava alcun cambiamento. Di giorno, però, quella cripta non sembrava piú la stessa, non dava l’inquietante sensazione che infondeva la notte, l’effetto era molto diverso.
Rimettemmo a posto le assi, vi posammo sopra le pietre. Di nuovo attraversammo il bosco per tornare a casa. Nello spiazzo davanti al cottage erano parcheggiate, una accanto all’altra, la Jaguar immacolata di Menshiki e la mia Toyota Corolla Wagon sporca di fango.
– Be’, è ora che me ne vada, – disse Menshiki fermandosi davanti alla sua auto. – Restando qui le darei solo fastidio, e per il momento non posso essere di alcuna utilità. Mi perdona, vero?
– Ma certo. Torni a casa e si riposi. Se so qualcosa, la chiamo subito.
– Oggi è sabato, se non sbaglio.
– Sí. Sabato.
Menshiki annuí, tirò fuori dalla tasca della giacca a vento la chiave della macchina e rimase un momento a guardarla. Sembrava riflettere su qualcosa. Come se non riuscisse a prendere una decisione. Io non mi mossi.
– C’è una cosa di cui forse è meglio che le parli, – disse finalmente.
Appoggiato alla portiera della mia Toyota, attesi che continuasse.
– Trattandosi di una faccenda mia personale, ho esitato a lungo se metterla al corrente o meno, ma penso… penso sia piú corretto farlo. Non vorrei mai che si creassero inutili malintesi. Insomma, con Akikawa Shōko ho… come dire? Siamo in termini molto intimi, ecco.
– Cioè siete amanti? – chiesi, andando dritto al sodo.
Menshiki lasciò passare qualche secondo.
– Esatto, – disse poi. Un lieve rossore gli affiorò sulle guance. – Forse penserà che la situazione è evoluta molto rapidamente.
– La velocità, non penso che sia un problema.
– Infatti, – convenne Menshiki. – È proprio come dice lei. Il problema non è la velocità.
– Il problema… – iniziai, ma non proseguii.
– Il problema è la motivazione. È questo che vuole dire?
Non risposi. Lui però capí benissimo che il mio silenzio equivaleva a un sí.
– Senta, vorrei che le fosse ben chiara una cosa, – disse allora. – Non è un piano che ho architettato io fin dall’inizio. Non ho manovrato in modo che le cose prendessero questa piega. È stato uno sviluppo del tutto naturale della situazione. Prima che me ne rendessi conto, i giochi erano fatti. Anche se avrà difficoltà a credermi.
Sospirai.
– Quello che so per certo, – dissi, – è che se lei avesse avuto questo piano in mente fin dall’inizio, realizzarlo le sarebbe stato facilissimo. Non sto facendo dell’ironia.
– Può darsi che lei abbia ragione, – ammise Menshiki. – Lo ammetto. O diciamo piuttosto che non sarebbe stato troppo difficile. In realtà però le cose non sono andate cosí.
– In conclusione, mi sta dicendo che si è innamorato di Akikawa Shōko a prima vista?
Menshiki strinse un po’ le labbra, l’aria perplessa.
– Innamorato… Ad essere del tutto sincero, questo non lo posso affermare. L’ultima volta che mi sono innamorato… sí, forse lo ero… risale a un lontano passato. Adesso non ricordo assolutamente cosa provassi. È certo però che in quanto uomo, sono fortemente attratto da Shōko. Come donna, cioè.
– A prescindere dall’esistenza di Marie?
– Questa è una domanda cui non mi è facile rispondere. Se ci siamo incontrati, è stato a causa di Marie, è vero. Ma penso che avrei trovato Shōko affascinante anche se non ci fosse stata la bambina di mezzo.
Mah, chi lo sa! pensai. Un uomo complesso come Menshiki, dalla mente speculativa, veramente poteva essere attratto da una donna serena e priva di complicazioni come Shōko? Ma naturalmente questo non glielo potevo chiedere. Il cuore umano, d’altronde, è del tutto imprevedibile. Soprattutto quando c’è di mezzo il sesso.
– D’accordo, – gli dissi. – La ringrazio di avermi parlato sinceramente. Gira e rigira, la sincerità è sempre la cosa migliore.
– Lo spero anch’io.
– Sincerità per sincerità, Marie questa cosa l’aveva già capita, sa? Che fra sua zia Shōko e lei c’era una relazione, cioè. E si è confidata con me. Qualche giorno fa.
Alle mie parole Menshiki...