La metamorfosi (Einaudi)
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La metamorfosi (Einaudi)

Introduzione di Luigi Forte. Traduzione di Enrico Ganni

  1. 104 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La metamorfosi (Einaudi)

Introduzione di Luigi Forte. Traduzione di Enrico Ganni

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Gregor Samsa, commesso viaggiatore, si sveglia un mattino dopo sogni inquieti e si ritrova trasformato in un enorme insetto. La speranza di recuperare la condizione perduta, i tentativi di adattarsi al nuovo stato, i comportamenti famigliari e sociali, l'oppressione della situazione, lo svanire del tempo sono gli ingredienti con i quali l'autore elabora la trama dell'uomo contemporaneo, un essere condannato al silenzio, alla solitudine e all'insignificanza. Come scrive Luigi Forte nella sua introduzione: «Dietro l'icona dell'insetto si nasconde l'abnegazione del figlio disposto a sacrificarsi, ma soprattutto la sua implacabile denuncia: essere costretto a denigrarsi, rimpicciolirsi, scomparire di fronte al potere illimitato».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2012
ISBN
9788858401972
Argomento
Literature
Categoria
Classics
La metamorfosi
I.
Quando Gregor Samsa una mattina nel suo letto si svegliò da sogni inquieti, si ritrovò trasformato in un immane insetto. Era steso sul dorso, duro come una corazza, e levando un poco la testa scorgeva, diviso da nervature arcuate, il suo ventre bruno e prominente in cima al quale la coperta, ormai in procinto di scivolare a terra, si reggeva appena. Le numerose zampette, desolatamente esili se paragonate alla sua mole, gli oscillavano impotenti davanti agli occhi.
«Cosa mi è successo?» pensò. Non era un sogno. La sua camera, una vera camera da esseri umani, anche se un po’ troppo piccola, stava silenziosa fra le quattro consuete pareti. Al di sopra del tavolo, sul quale si trovava aperto un campionario di stoffe – Samsa faceva il commesso viaggiatore – era appesa l’immagine che aveva di recente ritagliato da una rivista illustrata e montato in una bella cornice dorata. Raffigurava una signora munita di boa e cappello, entrambi in pelliccia, che stava seduta ben ritta e protendeva verso l’osservatore un pesante manicotto, anch’esso in pelliccia, in cui scompariva quasi del tutto il suo avambraccio.
Lo sguardo di Gregor si volse poi verso la finestra e la giornata grigia – gocce di pioggia picchiettavano sul davanzale di lamiera – lo rese profondamente melanconico. «E se dormissi ancora un po’ e dimenticassi tutte queste sciocchezze?» pensò; si trattava però di un proposito del tutto irrealizzabile perché era abituato a dormire sul fianco destro e nel suo stato attuale in quella posizione non riusciva a sistemarsi. Per quanto si sforzasse di girarsi, ogni volta oscillava e ricadeva sul dorso. Ci provò forse un centinaio di volte, chiudendo gli occhi per non vedere le zampette dimenarsi, e smise solo quando iniziò ad avvertire a un fianco un dolore leggero, sordo, mai provato prima.
«Mio dio, – pensò, – che mestiere faticoso mi sono scelto. Sempre in viaggio, giorno dopo giorno. Le inquietudini professionali sono molto maggiori che non in sede, in piú devo sopportare questa piaga dei viaggi, le apprensioni per le coincidenze, i pasti cattivi e irregolari, i rapporti umani mutevoli, che non hanno continuità e non diventano mai cordiali. Al diavolo tutto!» Avvertí un leggero prurito in alto sul ventre; per poter sollevare meglio il capo, sul dorso si spinse cauto verso la colonna del letto, trovò il punto che prudeva cosparso di pustoline bianche alle quali non seppe dare un significato; pensò di toccarlo con una gamba, ma la ritrasse subito perché al contatto lo investirono brividi di freddo.
Scivolò di nuovo nella posizione precedente. «Queste levatacce – si disse – ti instupidiscono. Una persona ha bisogno di dormire. Ci sono commessi viaggiatori che vivono come le donne degli harem. Quando nel corso della mattinata torno all’albergo per trasmettere gli ordini concordati, costoro si sono appena seduti a fare colazione. Se ci provassi io, il principale mi caccerebbe all’istante! Magari per me sarebbe una fortuna, chi può dirlo. Se non fosse per via dei miei genitori mi sarei licenziato ormai da tempo, avrei affrontato il principale e gli avrei detto la mia, dal profondo del cuore. Da farlo cascare dalla scrivania! Del resto è curioso che sieda sulla scrivania e all’impiegato – che oltrettutto deve avvicinarsi molto visto che il principale è duro d’orecchi – parli da una posizione elevata. Tuttavia non ho ancora perso del tutto la speranza; appena metto insieme la somma necessaria per pagare il debito che i miei genitori hanno con lui – ci vorranno cinque, sei anni, credo – lo faccio di certo. Sarà il grande passo, allora. Per il momento però devo alzarmi giacché il treno parte alle cinque».
Diede un’occhiata alla sveglia che ticchettava sul comò. «Dio del cielo!» pensò: erano le sei e mezza e le lancette avanzavano senza sosta anzi, avevano già superato la mezza, si avvicinavano ai tre quarti. Che la sveglia non avesse suonato? Dal letto si vedeva che era puntata proprio sulle quattro, e senza dubbio aveva suonato. Del resto era proprio impossibile continuare a dormire con quella suoneria da far tremare i mobili. Beh, non che il sonno fosse stato tranquillo, ma probabilmente molto profondo. E adesso cosa doveva fare? Il prossimo treno era alle sette, per raggiungerlo avrebbe dovuto scapicollarsi, ma non aveva ancora messo via il campionario, e lui poi non si sentiva proprio fresco e in forma. E se anche avesse raggiunto il treno, non avrebbe comunque potuto evitare la sfuriata del principale perché il fattorino della ditta, che lo aveva atteso a quello delle cinque, ormai aveva riportato la notizia della sua assenza: era una creatura del principale, privo di spina dorsale e intelligenza. E se si fosse dato malato? Sarebbe stato molto seccante e anche sospetto, perché durante i cinque anni di servizio Gregor non si era ammalato neanche una volta. Il principale sarebbe senza dubbio arrivato con il medico della Cassa malattie, avrebbe rinfacciato ai genitori la pigrizia del figlio e tagliato corto con tutte le obiezioni, rimandando all’opinione del medico, secondo il quale non esistevano che persone del tutto sane ma infingarde. Nel caso specifico, poi, gli si poteva dare torto? A parte una sonnolenza davvero strana dopo quel lungo sonno, Gregor in effetti si sentiva abbastanza bene e aveva anzi una gran fame. Mentre rifletteva in tutta fretta su queste cose senza decidersi a lasciare il letto – la sveglia batté in quel momento le sei e tre quarti – bussarono piano alla porta accanto alla testata del letto.
«Gregor» dissero – era sua madre – «sono le sette meno un quarto. Non volevi partire?» Oh voce soave! Sentendosi rispondere Gregor trasalí: era inequivocabilmente la sua voce di un tempo, ma mescolata a un irreprimibile, lamentoso pigolio che sembrava provenire dal basso e che lasciava alle parole la loro chiarezza solo nei primissimi istanti, per distruggerla poi a tal punto nella risonanza da far dubitare, a chi ascoltava, di avere sentito bene. Gregor avrebbe desiderato rispondere dettagliatamente e spiegare ogni cosa, ma in quelle circostanze non riuscí che a dire: «Sí, sí, mamma, grazie, adesso mi alzo». Era evidente che attraverso la porta di legno, fuori non ci si accorse che la voce di Gregor era mutata, perché la madre parve tranquillizzata dalla risposta e si allontanò ciabattando. In seguito a quel breve dialogo, tuttavia, gli altri componenti della famiglia avevano notato che contro ogni aspettativa Gregor era ancora a casa e poco dopo infatti, fu il padre a bussare a una delle porte laterali, leggermente, ma con il pugno. «Gregor, Gregor, – disse, – cos’hai?» E dopo un momento, con voce piú profonda, sollecitò: «Gregor! Gregor!» All’altra porta laterale, era invece la sorella a lagnarsi sommessamente: «Gregor? Non stai bene? Ti serve qualcosa?» «Sono quasi pronto» rispose Gregor in entrambe le direzioni, sforzandosi di togliere alla voce ogni anomalia, con una pronuncia accuratissima e intercalando lunghi intervalli fra le singole parole. Il padre infatti tornò alla colazione, mentre la sorella sussurrò: «Gregor apri, ti scongiuro». Ma Gregor si guardò bene dall’aprire e anzi si rallegrò di avere conservato anche a casa l’abitudine presa in viaggio di chiudere a chiave tutte le porte quando andava a dormire.
Per prima cosa voleva alzarsi con calma e senza essere disturbato, vestirsi e soprattutto fare colazione, e solo in seguito pensare al resto, perché, se ne rendeva ben conto, a letto le sue riflessioni non avrebbero avuto alcun esito ragionevole. Ricordò di avere piú di una volta avvertito, da sdraiato, un lieve dolore, forse provocato da una postura sbagliata, che poi una volta alzato si era rivelato di pura immaginazione, ed era curioso di vedere come si sarebbero dissolte le sue attuali fantasticherie. Che il cambiamento della voce non fosse altro che il prodromo di una bella infreddatura, una malattia professionale dei commessi viaggiatori, di questo non dubitava affatto.
Liberarsi della coperta fu semplicissimo; gli bastò gonfiarsi un po’ e cadde da sola. Poi però la situazione si complicò, soprattutto a causa della sua estrema larghezza. Avrebbe avuto bisogno di braccia e mani per sollevarsi; invece aveva solo tutte quelle zampette che facevano incessantemente i piú diversi movimenti e che, perdipiú, non era in grado di governare. Quando cercava di piegarne una, quella per prima cosa si tendeva; e quando infine con una gamba riusciva a eseguire il movimento desiderato, allora erano tutte le altre a entrare in funzione, prive di controllo e in preda a una estrema, dolorosa agitazione. «La cosa piú importante è non restare a letto a oziare», si disse Gregor.
Inizialmente cercò di scendere con la parte inferiore del corpo – che peraltro non aveva ancora visto e della quale non riusciva a farsi un’idea precisa – ma si rivelò troppo rigida; ci metteva moltissimo; e quando infine, ormai quasi rabbioso, senza curarsi di niente si scagliò in avanti con tutte le sue forze, calcolò male la direzione, andò a sbattere violentemente contro le colonne ai piedi del letto, e il lancinante dolore provato gli fece capire che proprio la sezione inferiore del corpo al momento era forse la piú sensibile.
Provò allora a far uscire dal letto la parte superiore e girò cauto la testa verso la sponda. Non fu difficile e, nonostante le dimensioni e il peso, alla fine tutta la massa corporea piano piano seguí il movimento. Quando però riuscí a tenere il capo sospeso al di fuori del letto non osò avanzare oltre, perché se si fosse lasciato cadere solo con un miracolo avrebbe potuto evitare di ferirsi alla testa. Per nessun motivo in quel momento poteva perdere i sensi; allora meglio restare a letto.
Ma quando, dopo un altro grande sforzo, tornò con un sospiro nella posizione precedente e vide le zampette azzuffarsi con intensità se possibile ancora maggiore, senza che egli potesse in alcun modo mettere ordine e ristabilire la calma in quell’arbitrio, tornò a dirsi che non poteva assolutamente restare lí sdraiato e la cosa piú ragionevole era rischiare il tutto per tutto, sebbene la speranza di potere cosí lasciare il letto fosse davvero lieve. Allo stesso tempo, però, non trascurava di ricordare a se stesso che una riflessione ponderata, molto ponderata, era sempre preferibile a una decisione precipitosa. In questi momenti concentrava lo sguardo sulla finestra, ma la vista della nebbia mattutina che celava persino l’altro lato della viuzza, non riusciva purtroppo a infondere molta fiducia e allegria. «Già le sette – pensò a un nuovo rintocco della sveglia, – già le sette e ancora tanta nebbia». E per un po’ rimase sdraiato tranquillo respirando appena, come se da quella quiete assoluta si aspettasse forse il ristabilirsi delle condizioni reali e consuete.
Poi però si disse: «Devo alzarmi assolutamente prima delle sette e un quarto. Del resto entro quell’ora arriverà qualcuno della ditta a chiedere notizie, giacché aprono prima delle sette». Dondolandosi in modo uniforme si accinse a spingere tutto il corpo fuori dal letto. Procedendo cosí, la testa, che intendeva tenere ben sollevata, sarebbe probabilmente rimasta illesa. Il dorso sembrava duro: era prevedibile che cadendo sul tappeto non avrebbe subito danni. Piú che altro lo preoccupava il forte rumore che avrebbe provocato e che oltre le porte avrebbe suscitato, se non sgomento, quanto meno apprensione. Ma era un rischio che doveva correre.
Quando già sporgeva a metà – il nuovo modo di procedere era piú un gioco che una fatica, gli bastava dondolarsi a strappi reiterati – a Gregor venne in mente come sarebbe stato facile se qualcuno lo avesse aiutato. Due persone robuste – pensava a suo padre e alla domestica – sarebbero state del tutto sufficienti; avrebbero dovuto solo infilare le braccia sotto il dorso arcuato, sfilarlo dal letto, chinarsi con quel carico e poi consentire cautamente che eseguisse la giravolta sul pavimento dove Gregor sperava che le zampette avrebbero infine avuto un senso. Ma a prescindere dal fatto che le porte erano chiuse a chiave, era proprio il caso di chiedere aiuto? Nonostante la difficile situazione in cui si trovava, all’idea non poté trattenere un sorriso.
Era ormai al punto che oscillando piú forte faticava a mantenere l’equilibrio, e doveva prendere una decisione definitiva giacché alle sette e un quarto mancavano cinque minuti – quando suonarono alla porta di casa. «È qualcuno della ditta» si disse, e quasi impietrí mentre le sue zampette danzavano con nuovo slancio. Per un istante tutto restò quieto. «Non aprono», pensò Gregor, prigioniero di una qualche insensata speranza. Ma poi come sempre la domestica andò alla porta con passo fermo e aprí. A Gregor bastò sentire la prima parola di saluto dell’ospite per sapere chi fosse: il procuratore in persona. Perché mai Gregor era condannato a servire in un’azienda dove anche la piú piccola mancanza suscitava subito i peggiori sospetti? Gli impiegati erano proprio tutti, nessuno escluso, dei mascalzoni? Fra loro non c’era nessun’altra persona fedele e devota che, avendo sottratto al lavoro appena un paio d’ore della mattinata, fosse devastata dai sensi di colpa e addirittura non riuscisse piú a scendere dal letto? Davvero non bastava mandare un apprendista a chiedere informazioni – ammesso che fosse proprio necessario mandare qualcuno –, doveva proprio venire il procuratore in persona, mostrando cosí a tutta l’incolpevole famiglia che per indagare in questa vicenda sospetta era necessario il suo acume? Piú per l’inquietudine che questi pensieri suscitarono in lui che in seguito a un’autentica decisione, Gregor si gettò fuori dal letto. Vi fu un forte tonfo, ma non uno schianto vero e proprio. Il tappeto attutí in parte la caduta, il dorso si rivelò piú elastico di quanto Gregor avesse immaginato, e il rumore fu sordo e tutt’altro che eclatante. Solo per la testa non era stato abbastanza prudente e l’aveva battuta; dopo averla girata, la fregò contro il tappeto per la rabbia e il dolore.
«Là dentro è caduto qualcosa», disse il procuratore nella stanza attigua sulla sinistra. Gregor cercò di immaginare se al procuratore non potesse capitare qualcosa di analogo a quello che era successo a lui oggi; bisognava quanto meno ammettere che la possibilità c’era. Ma come brutale risposta a questo interrogativo, nell’altra stanza il procuratore mosse alcuni passi decisi facendo scricchiolare le scarpe di vernice. «Gregor, c’è il procuratore» lo avvertí sottovoce la sorella dalla stanza a destra. «Lo so», disse Gregor fra sé; ma non osò alzare la voce tanto da farsi sentire dalla sorella.
«Gregor, – disse ora il padre dalla stanza a sinistra, – è venuto il signor procuratore a informarsi perché non sei partito con il primo treno. Non sappiamo cosa dirgli. E in ogni caso vuole parlare anche con te personalmente. Quindi apri la porta, per favore. Sarà tanto gentile da scusare il disordine della camera». «Buon giorno signor Samsa», si intromise con affabilità il procuratore. «Non sta bene», gli disse la madre, mentre il padre continuava a parlare davanti alla porta, «non sta bene, credetemi signor procuratore. Perché mai altrimenti Gregor dovrebbe perdere il treno! Il ragazzo per la testa ha soltanto la ditta. Quasi quasi mi arrabbio perché non esce mai; adesso è stato otto giorni in città, ma è rimasto a casa ogni sera. Se ne sta a tavola con noi e legge tranquillo il giornale o studia gli orari dei treni. Per distrarsi gl...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Introduzione di Luigi Forte
  5. Bibliografia
  6. Nota
  7. La metamorfosi