Per mano mia
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Il Natale del commissario Ricciardi

  1. 320 pagine
  2. Italian
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Per mano mia

Il Natale del commissario Ricciardi

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Informazioni sul libro

Natale 1931. Mentre la città si prepara alla prima di Natale in casa Cupiello, dietro l'immagine di ordine e felicità imposta dal regime fascista infieriscono povertà e disperazione. In un ricco appartamento vicino la spiaggia di Mergellina sono rinvenuti i cadaveri di un funzionario della Milizia, Emanuele Garofalo, e di sua moglie Costanza.
La donna è stata sgozzata con un solo colpo di lama, quasi sull'ingresso, mentre l'uomo è stato trafitto nel letto con oltre 60 coltellate.
Colpi inferti con forza diversa: gli assassini potrebbero essere piú d'uno. La figlia piccola si è salvata perché era a scuola. La statuina di san Giuseppe, patrono dei lavoratori, giace infranta a terra. Sulla scena del delitto, Ricciardi, che ha l'amaro dono di vedere e sentire i morti ammazzati, ascolta le oscure ultime frasi della coppia, che non gli dicono granché. Il commissario dovrà girare a lungo, e sempre piú in corsa contro il tempo, per le strade di Napoli per arrivare alla verità.
In compagnia del fidato, ma non privo di ombre, brigadiere Raffaele Maione, che in questo romanzo conquista un deciso ruolo di comprimario. E insidiato nella sua solitudine da una altrettanto inaspettata rivalità tra due giovani donne che piú diverse non si potrebbe. Tra le casupole dei pescatori immiseriti e gli ambienti all'avanguardia della Milizia fascista, una città sempre piú doppia e in conflitto avvolge Ricciardi e Maione in spire sempre piú strette.
Fino allo scioglimento, in una magnifica lunga sequenza ricolma di voci, sapori, odori.
E sangue.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2011
ISBN
9788858405031

XXXVII.

Naturalmente si erano accorti di essere stati avvistati, come accadeva sempre. Già quando avevano svoltato la curva di via Partenope si erano resi conto che, dal gruppo di ragazzini che stazionava davanti agli alberghi alla ricerca di elemosine dai turisti stranieri, si era staccata una staffetta che era andata a immergersi di corsa nel borgo.
Maione era preoccupato: era come muoversi preceduti da una fanfara.
Non che avessero la necessità dell’anonimato: non stavano facendo un’irruzione, né avevano in mente di arrestare qualcuno, a meno che non fosse necessario. Ma poter fruire della reazione istintiva alla loro vista sarebbe stato un seppur minimo vantaggio. Al quale ormai erano abituati a rinunciare.
Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi li colpí. Al centro di una piazzetta deserta, battuta dal vento, c’era solo una donna avvolta in uno scialle nero. Dietro di lei due bambini, un maschio piú grandicello e una femmina che si teneva alla gonna di quella che presumibilmente era la madre.
Le figure non si muovevano: se non fosse stato per l’ondeggiare della veste avrebbero potuto essere un gruppo scultoreo, una statua alla moderna maternità. Stavano immobili, i volti nella loro direzione. Ricciardi girò lo sguardo attorno, intuendo gli occhi fissi su di sé da dietro le imposte chiuse delle palazzine attorno.
Maione sospirò e si fece avanti:
– Buonasera, signo’. Siamo il brigadiere Maione e il commissario Ricciardi della squadra mobile. Vorremmo parlare col signor Boccia Aristide. Lo conoscete?
La donna rimase ferma, in silenzio. Maione guardò Ricciardi, in cerca di indicazioni: lo aveva sentito? Capiva quello che diceva? Mentre si accingeva a ripetere, la donna disse:
– È mio marito. È in mare, adesso. Venite con me.
E si avviò verso la porta di un basso, seguita dai due bambini, da Maione e Ricciardi e da tanti occhi dietro le imposte.
La stanza nella quale entrarono fece pensare a entrambi a Lomunno e alla sua baracca. Questi forse erano ancora piú miserabili, ma si capiva che lí almeno c’era una donna: sul tavolo un logoro pezzo di stoffa ricamato; all’unica finestra una tenda rammendata ma pulita; una fotografia di inizio secolo colorata a mano di una coppia, lei seduta e lui in piedi, con un lumino acceso davanti; l’odore di una zuppa di pesce aleggiante nell’aria.
Il ragazzino andò di corsa a una culla, nel punto dell’ambiente piú riparato dalle correnti d’aria:
– Questo è mio fratello, Vincenzino: sta morendo!
Lo disse con orgoglio, come se il bambino nella culla si accingesse a un’impresa memorabile. Maione si concentrò sulle proprie unghie.
La madre disse al ragazzo:
– Alfo’, vai a vedere quando arriva papà e fallo venire subito. Mi raccomando, non ti avvicinare all’acqua, ché ci sta mare stasera.
Poi si rivolse a Maione:
– Mi dispiace, non tengo niente da offrirvi.
– Non vi preoccupate, signo’. Dobbiamo fare solo qualche domanda, aspettiamo magari a vostro marito.
La donna accennò di sí col capo. Ricciardi pensò che, a guardarla da vicino, sembrava molto piú giovane di quanto gli fosse parso in un primo momento.
– Signora, una domanda: come sapevate che venivamo a cercare vostro marito?
La donna sostenne lo sguardo di quegli strani occhi trasparenti:
– Commissa’, le cose si sanno. Le sapete voi, che siete venuti a cercare a mio marito, le sappiamo noi.
Logico, pensò Ricciardi. Logico, ma non mi ha detto niente.
La porta si aprí ed entrarono Alfonso, il figlio piú grande, e un uomo che disse:
– Io sono Boccia Aristide. Cercavate a me?
Lo guardarono: la tenuta era quella tipica dei pescatori, una tela cerata a palandrana, un cappellaccio fatto dello stesso materiale. In mano aveva una lanterna spenta, ed era zuppo d’acqua.
– Sí, siamo qui per parlare con voi. Io mi chiamo Maione e lui è il commissario Ricciardi, della questura. Vi dobbiamo fare qualche domanda.
Boccia fece una smorfia che poteva essere anche un ghigno stanco. Aveva una faccia squadrata, nera di sole, dall’età indefinibile.
– E noi stiamo qua, come vedete. Non siamo scappati da nessuna parte.
Ricciardi insistette:
– Perché ci aspettavate? Come facevate a sapere che saremmo venuti?
Boccia lo fissò, senza espressione:
– Perché siamo andati dai Garofalo, io e mia moglie. Ci siamo andati due giorni prima che li ammazzavano.
Dalla culla venne come un fischio, e la madre si appressò manovrando qualcosa all’interno. L’uomo riprese, quasi con tono di scusa:
– Il mio figlio piú piccolo, Vincenzino. Tiene qualcosa in petto, da qualche mese non respira bene, ma mo’ è peggiorato, tiene sempre la febbre. Ha quattro anni. Il presepe lo sto intagliando per lui, chissà se fa in tempo a vederlo finito.
Il mare, da qualche parte là fuori, sottolineò drammaticamente la frase dell’uomo con un boato.
Nella voce di Boccia non c’era nessun tono drammatico, nessuna autocommiserazione. Cosí, come se avesse parlato delle condizioni del mare. Continuò:
– È per lui, che la settimana scorsa siamo andati dal centurione Garofalo. Se Vincenzino fosse stato bene, saremmo stati zitti e avremmo tirato avanti.
Maione chiese:
– Non capisco, che volete dire?
Boccia si era tolto la palandrana di tela cerata e l’aveva riposta col cappello su uno sgabello vicino alla porta. Il ragazzo si mosse subito, prendendola e portandola in uno stipo vicino al focolare. Gesti consolidati di una famiglia qualsiasi.
– Lo conoscete voi, il mestiere nostro? Conoscete qualche pescatore, voi?
Maione fece cenno di no col capo, Ricciardi non parlò.
– Non si guadagna niente. Uno pensa che in un golfo come questo ci sta un sacco di pesce, e invece no. Ci stanno volte che stai tutto il giorno a mare e non prendi niente. Ci muoviamo, ci spostiamo, ci uniamo fra di noi: ma qualsiasi cosa facciamo, a stento riusciamo a campare.
La moglie accostò una sedia al tavolo vicino al marito, che vi si lasciò cadere esausto.
– Sono fuori dalle quattro. Sono piú di dodici ore. Col mare grosso è ancora piú difficile, uno non dovrebbe manco uscire: ma poi, che ci dò da mangiare ai figli miei? E allora corriamo il rischio che il mare si porta via la rete, la vela non la mettiamo proprio, andiamo a remi. Siamo quattro, con una barca.
Ricciardi ascoltava attento:
– Non ci avete detto perché siete andato da Garofalo, l’altro giorno.
L’uomo si passò una mano sulla faccia. Maione notò che aveva delle ferite, con sottili strisce insanguinate. Boccia seguí il suo sguardo e disse:
– Queste sono sciocchezze, brigadie’. Piccoli segni che lasciano le reti, le cime, i remi. Le ferite piú profonde stanno in quella culla.
La donna prese posto in piedi, di fianco al marito, gli occhi fissi sui due poliziotti. L’uomo continuò:
– Voi lo sapete, ci stanno le leggi sulla pesca. Sono leggi strane, che non si capiscono bene: ma noi ci viviamo lo stesso. Nelle buone giornate arriviamo a due, tre quintali con la barca nostra. Nelle giornate cattive, pure niente. Non possiamo pescare il novellame, e questo significa che in certe parti del mare dove i pesci fanno le uova non ci possiamo andare. Non possiamo andare nelle acque private, come se il mare tenesse i recinti e i cancelli. Non possiamo usare gli esplosivi, è giusto, questo lo capisco. Dobbiamo tenere patenti e licenze, e tutte le ricevute delle tasse che paghiamo.
L’uomo era esausto, e parlava con un filo di voce. La luce veniva da due lanterne che ondeggiavano nelle correnti d’aria e riempiva la stanza dagli infissi vecchi e mezzi rotti.
– Il controllo spetta alla milizia. Pure se uno ci ha tutto in regola, qualche altra cosa si deve pagare; abbiamo sempre fatto cosí, nessuno di noi si lamenta. Come se fosse un’altra tassa. E poi è arrivato Garofalo.
Maione annuí, l’informazione quadrava con quanto saputo da Bambinella.
– E che cosa è cambiato?
– All’inizio pareva meglio degli altri, meglio assai. Si è chiamato a tutti noi proprietari delle barche, tutti insieme, e ci ha detto: da ora in poi, non dovete dare niente a nessuno. A nessuno. Vi lascio immaginare la nostra contentezza, ci eravamo levati una spesa dal groppone. È durata cosí quasi per un anno.
– E poi?
– E poi un giorno viene qua, al borgo. Era estate, stavamo fuori in piazza, facevamo un poco di musica, ballavamo. Certe volte lo facciamo quando la giornata è stata buona, ci sentono perfino dagli alberghi, si affacciano e sbattono le mani. E comunque si presenta qua, da solo, in uniforme. Chiama a un paio di noi da parte, e ci dice: ma lo sapete che avete pescato nelle acque del duca Tal dei Tali, a Posillipo? Noi ci guardiamo in faccia, diciamo: centurio’, ma quando mai? Noi curiamo dove andiamo, là sotto nemmeno si piglia niente. E lui: vedete? Come lo sapete che non si piglia niente, se non ci andate? E ci fece una multa.
Maione e Ricciardi si guardarono.
– Una multa? Ed è cosí grave?
Boccia fece una risata sardonica:
– La multa non è niente. La cosa grave è un’altra: se si piglia una seconda sanzione dello stesso genere entro un anno, ci sta la sospensione della licenza pure per sei mesi. Recidiva, si chiama.
Maione annuí:
– E cosí, stavate in mano a lui.
– Precisamente, brigadie’. Se si ritira la licenza a uno come me, allora tanto vale pigliare tutta la famiglia, metterla in barca, andare in mezzo al mare e affondarla. Meglio una morte veloce che morire di fame.
– E che cosa voleva, Garofalo?
– Si era scelto bene le vittime, commissa’. Quelli che uscivano piú spesso, quelli che tenevano i figli piccoli. Quelli che non si potevano fermare m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Per mano mia
  4. I.
  5. II.
  6. III.
  7. IV.
  8. V.
  9. VI.
  10. VII.
  11. VIII.
  12. IX.
  13. X.
  14. XI.
  15. XII.
  16. XIII.
  17. XIV.
  18. XV.
  19. XVI.
  20. XVII.
  21. XVIII.
  22. XIX.
  23. XX.
  24. XXI.
  25. XXII.
  26. XXIII.
  27. XXIV.
  28. XXV.
  29. XXVI.
  30. XXVII.
  31. XXVIII.
  32. XXIX.
  33. XXX.
  34. XXXI.
  35. XXXII.
  36. XXXIII.
  37. XXXIV.
  38. XXXV.
  39. XXXVI.
  40. XXXVII.
  41. XXXVIII.
  42. XXXIX.
  43. XL.
  44. XLI.
  45. XLII.
  46. XLIII.
  47. XLIV.
  48. XLV.
  49. XLVI.
  50. XLVII.
  51. XLVIII.
  52. XLIX.
  53. L.
  54. LI.
  55. LII.
  56. LIII.
  57. LIV.
  58. LV.
  59. LVI.
  60. Ringraziamenti
  61. Il libro
  62. L’autore
  63. Dello stesso autore
  64. Copyright