Storia
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  1. 180 pagine
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Jacques Le Goff ha segnato con le sue opere la storiografia contemporanea. In questo saggio racconta il lavoro dello storico mettendo in rapporto il concetto stesso di storia, sempre ambiguo e mutevole, con la storia vissuta dalla società umana e con lo sforzo scientifico necessario per descriverla, pensarla e interpretarla. Sono pagine di appassionata ricerca che, dialogando con le altre discipline (filosofia, sociologia, antropologia e biologia), offrono una storia delle rappresentazioni, delle ideologie e delle mentalità, dell'immaginario e del simbolico.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858407417
Argomento
Histoire

Che la storia non sia una scienza come le altre, quasi tutti ne sono persuasi, senza contare coloro i quali ritengono che non sia affatto una scienza. Parlare di storia non è facile, ma queste difficoltà del linguaggio conducono nel centro stesso delle ambiguità della storia.
In questo articolo ci si sforzerà al tempo stesso di ricondurre la riflessione sulla storia nella durata, di situare la scienza storica stessa nelle periodizzazioni della storia, e di non ridurla alla visione europea, occidentale, anche se, per ignoranza di chi scrive e per lo stato – significativo – della documentazione, bisognerà parlare soprattutto della scienza storica europea.
La parola ‘storia’ (in tutte le lingue romanze e in inglese) deriva dal greco antico ἱστορίη, nel dialetto ionico [Keuck 1934]. Questa forma deriva dalla radice indeuropea *wid-, *weid ‘vedere’. Donde il sanscrito vettas ‘testimone’ e il greco ἴστωρ ‘testimone’ nel senso di ‘colui che vede’. Questa concezione della vista come fonte essenziale di conoscenza porta all’idea che ἴστωρ ‘colui che vede’ è anche colui che sa: ἱστωρεῖν, in greco antico, significa ‘cercare di sapere’, ‘informarsi’. Iστορίη significa dunque ‘indagine’. È il senso della parola in Erodoto all’inizio delle sue Storie, che sono delle «ricerche», delle «indagini» [cfr. Benveniste 1969, trad. it. p. 414; Hartog 1980]. Vedere, donde sapere, è un primo problema.
Ma, nelle lingue romanze (e nelle altre) ‘storia’ esprime due, se non tre, concetti differenti. Significa: 1) l’indagine sulle «azioni compiute dagli uomini» (Erodoto) che si è sforzata di costituirsi in scienza, la scienza storica; 2) l’oggetto dell’indagine, quello che gli uomini hanno compiuto. Come dice Paul Veyne, «la storia è sia un susseguirsi di avvenimenti, sia il racconto di questo susseguirsi di avvenimenti» [1968, p. 423]. Ma storia può avere un terzo significato, precisamente quello di «racconto». Una storia è un racconto che può essere vero o falso, con una base di «realtà storica», o puramente immaginario, e questo può essere un racconto «storico» oppure una favola. L’inglese sfugge quest’ultima confusione in quanto distingue history da story, ‘storia’ da ‘racconto’. Le altre lingue europee si sforzano piú o meno di evitare queste ambiguità. L’italiano manifesta la tendenza a designare se non la scienza storica quanto meno i prodotti di questa scienza con la parola ‘storiografia’, il tedesco tenta di stabilire la differenza tra questa attività «scientifica», Geschichtsschreibung, e la scienza storica propriamente detta, Geschichtswissenschaft. Questo gioco di specchi e di equivoci è proseguito nel corso dei secoli. Il secolo XIX, secolo della storia, inventa sia delle dottrine, che privilegiano la storia nel sapere, parlando, come si vedrà, sia di ‘istorismo’, sia di ‘storicismo’, e una funzione, direi piú volentieri una categoria del reale, la ‘storicità’ (la parola appare nel 1872 in francese). Charles Morazé la definisce cosí: «Bisogna… cercare al di là della geopolitica, del commercio, delle arti e della scienza stessa ciò che giustifica l’oscura certezza degli uomini che essi non sono che uno, trasportati come sono dall’enorme flusso di progresso che li specifica opponendoli. Si sente che questa solidarietà è legata all’esistenza implicita, che ciascuno prova in sé, di una certa funzione comune a tutti. Noi chiameremo storicità questa funzione» [1967, p. 59].
Questo concetto di storicità si è staccato dalle sue origini «storiche», legate allo storicismo del XIX secolo, per svolgere una funzione di primo piano nel rinnovamento epistemologico della seconda metà del XX secolo. La storicità permette per esempio di rifiutare sul piano teorico la nozione di «società senza storia», rifiutata d’altra parte dallo studio empirico delle società osservate dall’etnologia [Lefort 1952]. Essa pertanto obbliga a inserire la storia stessa in una prospettiva storica: «C’è una storicità della storia. Essa implica il movimento che lega una pratica interpretativa a una prassi sociale» [Certeau 1970, p. 484]. Un filosofo come Paul Ricœur vede nella soppressione della storicità attraverso la storia della filosofia il paradosso del fondamento epistemologico della storia. In effetti, secondo Ricœur, il discorso filosofia fa scoppiare la storia in due modelli di intelligibilità, un modello événementiel e un modello strutturale, cosa che fa scomparire la storicità: «Il sistema è la fine della storia in quanto essa si annulla nella logica; anche la singolarità è la fine della storia in quanto tutta la storia si nega in essa. Si arriva a questo risultato, assolutamente paradossale, che è sempre alla frontiera della storia, della fine della storia, che si comprendono i tratti generali della storicità» [1961, pp. 224-25].
Infine, Paul Veyne trae una doppia morale dal fondamento del concetto di storicità. La storicità permette l’inclusione nel campo della scienza storica di nuovi oggetti della storia: il non-événementiel; si tratta di avvenimenti non ancora accolti come tali: storia rurale, delle mentalità, della follia o della ricerca della sicurezza attraverso le età. Si chiamerà dunque non-événementielle la storicità della quale non avremo coscienza come tale [1971, trad. it. pp. 35 sgg.]. D’altra parte la storicità esclude l’idealizzazione della storia, l’esistenza della Storia, con una S maiuscola: «Tutto è storico, dunque la storia non esiste».
Ma bisogna pur vivere e pensare con questo doppio o triplo significato di ‘storia’. Lottare, certamente, contro le confusioni troppo grossolane e troppo mistificanti tra i differenti significati, non confondere scienza storica e filosofia della storia. Condivido con la maggior parte degli storici di mestiere la diffidenza nei confronti di questa filosofia della storia, «tenace e insidiosa» [Lefebvre 1945-46, trad. it. p. 12], che ha la tendenza, nelle sue diverse forme, a ricondurre la spiegazione storica alla scoperta, o all’applicazione di una causa unica e prima, a sostituire precisamente lo studio con delle tecniche scientifiche dell’evoluzione delle società, con questa stessa evoluzione concepita in astrazioni fondate sull’apriorismo o su una conoscenza molto sommaria dei lavori scientifici. È per me argomento di grande stupore la risonanza avuta – piú che altro fuori degli ambienti degli storici, è vero – dal pamphlet di Karl Popper The Poverty of Historicism [1960]. Non un solo storico di mestiere vi è citato. Non bisogna pertanto fare di questa diffidenza nei confronti della filosofia della storia la giustificazione di un rifiuto di questo genere di riflessione. La stessa ambiguità del vocabolario rivela che la frontiera tra le due discipline, i due orientamenti di ricerca, non è – in ogni ipotesi – strettamente tracciata né tracciabile. Lo storico non deve concluderne tuttavia di dover allontanarsi da una riflessione teorica necessaria al lavoro storico. È facile scorgere che gli storici piú inclini a non rifarsi che ai fatti non soltanto ignorano che un fatto storico risulta da un montaggio e che lo stabilirlo esige un lavoro sia tecnico sia teorico, ma anche e soprattutto sono accecati da una inconsapevole filosofia della storia, spesso sommaria e incoerente. Certamente, lo ripeto, l’ignoranza dei lavori storici della maggior parte dei filosofi della storia – corrispondente del disprezzo degli storici per la filosofia – non ha facilitato il dialogo. Ma, per esempio, l’esistenza di una rivista di alta qualità come «History and Theory. Studies in the Philosophy of History», edita dal 1960 dalla Wesleyan University a Middletown (Connecticut, Usa), prova la possibilità e l’interesse di una riflessione comune dei filosofi e degli storici e della formazione di specialisti informati nel campo della riflessione teorica sulla storia.
La brillante dimostrazione di Paul Veyne relativa alla filosofia della storia va forse un po’ oltre la realtà. Egli ritiene [1971] che non si tratti che di un genere morto o «che sopravvive soltanto presso epigoni di tono alquanto popolareggiante» e che «era un genere falso». In effetti, «a meno di essere una filosofia rivelata, una filosofia della storia sarà un doppione della spiegazione concreta dei fatti, e rinvierà alle leggi e ai meccanismi che reggono questa spiegazione. Sono vitali soltanto i due casi limite: da una parte il provvidenzialismo della Civitas Dei, e dall’altra l’epistemologia storica. Tutto il resto è spurio» (trad. it. p. 50, nota 8).
Senza spingersi fino ad affermare, con Raymond Aron, che «l’assenza e il bisogno di una filosofia della storia sono elementi ugualmente caratteristici del nostro tempo» [1961a, p. 38], si può dire che è legittimo che ai margini della scienza storica si sviluppi una filosofia della storia come delle altre branche del sapere. È augurabile che essa non ignori la storia degli storici, ma costoro devono ammettere che essa possa avere con l’oggetto della storia altri rapporti di conoscenza che non i loro.
È la dualità della storia come storia-realtà e storia-studio di questa realtà che spesso spiega, almeno mi sembra, le ambiguità di alcune dichiarazioni di Claude Lévi-Strauss sulla storia. Cosí in una discussione con Maurice Godelier, il quale, avendo rilevato che l’omaggio reso, in Du miel aux cendres, alla storia come contingenza, irriducibile, si rivoltava contro la storia e che equivaleva a «dare alla scienza della storia uno statuto… impossibile, riducendola in uno stallo», Lévi-Strauss replicava: «Non so cosa voi chiamiate una scienza della storia. Mi accontenterei di dire la storia tout court; e la storia tout court è qualcosa di cui noi non possiamo fare a meno, precisamente perché questa storia ci mette constantemente di fronte a fenomeni irriducibili» [Lévi-Strauss, Augé e Godelier 1975, pp. 182-83]. Tutta l’ambiguità della parola ‘storia’ è in questa dichiarazione.
S’affronterà dunque la storia mutuando a un filosofo l’idea di base: «La storia non è storia se non nella misura in cui essa non ha avuto accesso né al discorso assoluto, né alla singolarità assoluta, nella misura in cui il senso ne resta confuso, mescolato… la storia è essenzialmente equivoca, nel senso che essa è virtualmente événementielle e virtualmente strutturale. La storia è veramente il regno dell’inesatto. Questa scoperta non è inutile; giustifica lo storico. Lo giustifica di tutte le sue incertezze. Il metodo non può essere che un metodo inesatto… La storia vuole essere obiettiva e non può esserlo. Vuol far rivivere e non può che ricostruire. Vuole rendere le cose contemporanee, ma al tempo stesso le occorre restituire la distanza e la profondità della lontananza storica. Alla fine, questa riflessione tende a giustificare tutte le aporie del mestiere dello storico, quelle che Marc Bloch aveva segnalato nella sua apologia della storia e del mestiere di storico. Queste difficoltà non riguardano vizi di metodo, sono equivoci ben fondati» [Ricœur 1961, p. 226].
Discorso sotto certi aspetti un po’ troppo pessimista, ma che sembra vero.
Verranno qui presentati, quindi, dapprima i paradossi e le ambiguità della storia, ma per meglio definirla come una scienza, scienza originale, ma fondamentale.
Si tratterà poi della storia nei suoi aspetti essenziali, spesso mescolati, ma che bisogna distinguere: la cultura storica, la filosofia della storia, il mestiere di storico.
Lo si farà in una prospettiva storica, in senso cronologico. La critica che sarebbe stata fatta nella prima parte, di una concezione lineare e teleologica della storia, allontanerà il sospetto che chi scrive identifichi la cronologia con il progresso qualitativo, anche se sottolinea gli effetti cumulativi della conoscenza e ciò che Meyerson ha chiamato «la crescita della coscienza storica» [1956, p. 354].
Non si cercherà di essere esaurienti. Ciò che importa è mostrare, in prima prospettiva, con qualche esempio, il tipo di rapporto che le società storiche hanno intrattenuto con il loro passato, il posto della storia nel loro presente. Nell’ottica della filosofia della storia si vorrebbe mostrare, rifacendosi al caso di alcuni grandi spiriti e di alcune correnti importanti di pensiero, come, al di là e al di fuori della pratica disciplinare della storia, la storia sia stata, in certi ambienti e in certe epoche, concettualizzata, ideologizzata.
L’orizzonte professionale della storia darà, paradossalmente, spazio maggiore alla nozione di evoluzione e perfezionamento. Infatti, collocandosi nella prospettiva della tecnologia e della scienza, vi incontrerà l’inevitabile idea del progresso tecnico.
Un’ultima parte consacrata alla situazione attuale della storia ritroverà alcuni dei temi fondamentali di questo articolo e alcuni aspetti nuovi.
La scienza storica ha conosciuto da mezzo secolo uno slancio prodigioso: rinnovamento, arricchimento delle tecniche e dei metodi, degli orizzonti e dei domini. Ma, intrattenendo con le società globali relazioni piú intense che mai, la storia professionale, scientifica, vive una crisi profonda. Il sapere della storia è tanto piú scosso quanto piú il suo potere è aumentato.
1. Paradossi e ambiguità della storia.
1.1. La storia è scienza del passato o «non vi è che storia contemporanea»?
Marc Bloch non amava la definizione «La storia è la scienza del passato», e trovava «assurda l’idea stessa che il passato, in quanto tale, possa essere oggetto di scienza» [1941-42, trad. it. pp. 38-39]. Egli proponeva di definire la storia come «la scienza degli uomini nel tempo» [ibid., p. 42]. Intendeva con ciò sottolineare tre caratteri della storia. Il primo è il suo carattere umano. Sebbene la ricerca storica oggi inglobi volentieri alcuni campi della storia della natura [cfr. Le Roy Ladurie 1967], si ammette generalmente in effetti che la storia è storia umana, e Paul Veyne ha sottolineato che una «differenza enorme» separa la storia umana dalla storia naturale: «L’uomo delibera, la natura no; la storia umana diventerebbe un nonsenso se si trascurasse il fatto che gli uomini hanno degli scopi, dei fini, delle intenzioni» [1968, p. 424].
Tale concezione della storia umana invita del resto molti storici a pensare che la parte centrale, essenziale della storia sia la storia sociale. Charles-Edmond Perrin ha scritto di Marc Bloch: «Alla storia, egli assegna come oggetto lo studio dell’uomo in quanto integrato in un gruppo sociale» [in Labrousse 1967, p. 3]; e Lucien Febvre aggiungeva: «Non l’uomo, ancora una volta, non l’uomo, mai l’uomo. Le società umane, i gruppi organizzati» [ibid.]. Marc Bloch pensava poi alle relazioni che intrattengono, nella storia, passato e presente. Riteneva in effetti che la storia debba non soltanto permettere di «comprendere il presente mediante il passato» – atteggiamento tradizionale – ma anche di «comprendere il passato mediante il presente» [1941-42, trad. it. pp. 50, 54]. Affermando risolutamente il carattere scientifico, astratto, del lavoro storico, Marc Bloch negava che questo lavoro fosse strettamente tributario della cronologia: l’errore grave, in effetti, consisterebbe nel credere che l’ordine adottato dagli storici nelle loro indagini debba necessariamente modellarsi su quello degli avvenimenti. Salvo poi a restituire alla storia il suo movimento vero, essi avranno vantaggio a incominciare col leggerla, come diceva Maitland, «a ritroso». Donde l’interesse per «un metodo prudentemente regressivo» [ibid., p. 55]. «Prudentemente», cioè che non trasporta ingenuamente il presente nel passato e che non percorre a ritroso un tragitto lineare che sarebbe tanto illusorio quanto nel senso contrario. Vi sono delle rotture, delle discontinuità che non si possono saltare, sia in un senso sia nell’altro.
L’idea che la storia sia dominata dal presente riposa in gran parte su una frase celebre di Benedetto Croce, il quale dichiara che «ogni storia» è «storia contemporanea». Croce intende dire con ciò che «remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni» [1938, p. 5]. Infatti, Croce pensa che dal momento che gli avvenimenti storici possono costantemente essere ripensati, essi non sono «nel tempo»; la storia è la «conoscenza dell’eterno presente» [Gardiner 1952]. Cosí questa forma estrema di idealismo è la negazione della storia. Come ha ben visto Carr, Croce ha ispirato la tesi di Collingwood, esposta in The Idea of History [1932], raccolta postuma di articoli nella quale lo storico britannico afferma – mescolando i due significati di storia, l’indagine dello storico e la serie degli avvenimenti passati sui quali indaga – che la «storia non tratta né del “passato in quanto tale” né delle “concezioni dello storico in quanto tali” ma di “entrambi i termini visti nei loro rapporti reciproci”» [Carr 1961, trad. it. p. 26]. Concezione al tempo stesso feconda e pericolosa. Feconda perché è vero che lo storico parte dal suo presente per porre delle domande al passato. Pericolosa perché, se il passato ha nonostante tutto un’esistenza rispetto al presente, è vano credere a un passato indipendente da quello che lo storico costituisce (si veda il supplemento 16 di «History and Theory», The Constitution of the Historical Past, 1977). Questa considerazione condanna tutte le concezioni di un passato «ontologico», come è espresso, per esempio, dalla definizione della storia di Emile Callot: «Una narrazione intelligibile di un passato definitivamente trascorso» [1962, p. 32]. Il passato è una costruzione e una reinterpretazione costante e ha un avvenire che fa parte integrante e significativa della storia. Ciò è vero in un duplice senso. Anzitutto perché il progresso dei metodi e delle tecniche permette di pensare che una parte importante dei documenti del passato sia ancora da scoprire. Parte materiale: l’archeologia scopre incessantemente dei monumenti nascosti del passato, gli archivi del passato continuano senza tregua ad arricchirsi. Ma anche nuove letture di documenti, frutto di un presente che nascerà nel futuro, devono assicurare una sopravvivenza – o meglio, una vita – al passato che non è «definitivamente trascorso». Al rapporto essenziale presente-passato bisogna dunque aggiungere l’orizzonte del futuro. Qui ancora i significati sono molteplici. Le teologie della storia l’hanno subordinata a uno scopo definito come il suo fine, il suo completamento e la sua rivelazione. È vero della storia cristiana, segnata dall’escatologia; lo è anche per il materialismo storico – nella sua versione ideologica – che basa su una scienza del passato un desiderio di avvenire che non dipende soltanto dalla fusione di un’analisi scientifica della storia passata e di una prassi rivoluzionaria chiarita da questa analisi. Uno dei compiti della scienza storica è quello d’introdurre, in modo non ideologico e rispettando l’imprevedibilità dell’avvenire, l’orizzonte del futuro nella sua riflessione [Erdmann 1964; Schulin 1973]. Si pensi semplicemente a questa constatazione banale ma gravida di conseguenze. Un elemento essenziale degli storici dei periodi antichi è che essi sanno quello che è accaduto dopo.
Gli storici del tempo presente lo ignorano. La storia propriamente contemporanea differisce cosí (sono anche altre le ragioni di questa differenza) dalla storia delle epoche precedenti.
Questa dipendenza della storia dal passato rispetto al presente deve indurre lo storico ad alcune precauzioni. Essa è inevitabile e legittima nella misura in cui il passato non cessa di vivere e di farsi pres...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Storia
  3. 1.Paradossi e ambiguità della storia
  4. 2. La mentalità storica: gli uomini e il passato
  5. 3. Filosofi della storia
  6. 4. La storia come scienza: il mestiere di storico
  7. 5. La storia oggi
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright