Società civile
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Società civile

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Se dapprima la società civile è stata considerata come funzionale alla formazione dello Stato, in seguito essa se n'è sempre più separata, fino a diventare parte dell'attuale dicotomia che nel linguaggio politico la vede contrapposta allo Stato. Le varie accezioni dell'uso del termine (da Hegel a Gramsci, da Rousseau a Marx) dimostrano come società civile e Stato siano connessi come due momenti necessari del sistema sociale nella sua complessità e nella sua interna articolazione.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858407400

1. Nelle sue varie accezioni.
Nel linguaggio politico di oggi l’espressione ‘società civile’ viene adoperata generalmente come uno dei due termini della grande dicotomia società civile / Stato. Il che vuol dire che non se ne può determinare il significato e delimitare l’estensione se non ridefinendo contemporaneamente e delimitando nella sua estensione il termine ‘Stato’. Negativamente, per ‘società civile’ s’intende la sfera dei rapporti sociali non regolati dallo Stato, inteso restrittivamente, e quasi sempre anche polemicamente, come il complesso degli apparati che in un sistema sociale organizzato esercitano il potere coattivo. Risale ad August Ludwig von Schlözer (1794), e viene continuamente richiamata nella letteratura tedesca sull’argomento, la distinzione fra societas civilis sine imperio e societas civilis cum imperio, dove la seconda espressione sta ad indicare ciò che nella grande dicotomia si designa col termine ‘Stato’, in un contesto in cui, come si vedrà oltre, non è ancora nata la contrapposizione fra società e Stato, e basta un solo termine per designare l’uno e l’altra, se pure con una distinzione interna di specie. Alla nozione restrittiva dello Stato come organo del potere coattivo, che permette la formazione e assicura la persistenza della grande dicotomia, concorre l’insieme delle idee che accompagnano la nascita del mondo borghese: l’affermazione di diritti naturali che appartengono all’individuo e ai gruppi sociali indipendentemente dallo Stato e che come tali limitano e restringono la sfera del potere politico; la scoperta di una sfera di rapporti interindividuali, come sono i rapporti economici, per la cui regolamentazione non occorre l’esistenza di un potere coattivo perché si autoregolano; l’idea generale cosí efficacemente espressa da Thomas Paine, autore non a caso di un celebre scritto inneggiante ai diritti dell’uomo, che la società è creata dai nostri bisogni e lo Stato dalla nostra cattiveria [1776, trad. it. p. 69], perché l’uomo è naturalmente buono e ogni società ha bisogno per conservarsi e prosperare di limitare l’impiego delle leggi civili da imporre con la coazione al fine di consentire la massima esplicazione delle leggi naturali che non abbisognano di coazione per essere applicate; insomma la dilatazione del diritto privato mediante il quale gli individui regolano i loro reciproci rapporti guidati dai loro reali interessi, di cui ciascuno è iudex in causa sua, a danno del diritto pubblico o politico dove si esercita l’imperium, inteso come il comando del superiore che come iudex super partes ha il diritto di esercitare il potere coattivo. Non sarà mai sottolineato abbastanza che dell’uso di ‘società civile’ nel significato di sfera dei rapporti sociali distinta dalla sfera dei rapporti politici si è debitori a scrittori tedeschi (in particolare Hegel e Marx, come si vedrà in seguito), di scrittori che scrivono in una lingua dove bürgerliche Gesellschaft significa insieme società civile e borghese; e che nel linguaggio giuridico ormai ampiamente affermatosi alla fine del Settecento il diritto civile distinto dal diritto penale comprende le materie tradizionalmente appartenenti al diritto privato (il Code civil è il codice del diritto privato, in tedesco bürgerliches Recht).
Proprio perché l’espressione ‘società civile’ nel suo significato ottocentesco e odierno è nata dalla contrapposizione ignota alla tradizione fra una sfera politica e una sfera non politica, è piú facile incontrarne una definizione negativa che una positiva, tanto piú che nelle trattazioni di diritto pubblico e di dottrina generale dello Stato (la allgemeine Staatslehre della tradizione accademica tedesca da Georg Jellinek a Felix Ermacora) non manca mai una definizione positiva dello Stato: società civile come insieme di rapporti non regolati dallo Stato, e quindi come tutto ciò che residua, una volta delimitato bene l’ambito in cui si esercita il potere statale. Ma anche in una nozione cosí vaga si possono distinguere diverse accezioni secondoché prevalga l’identificazione del non-statuale col pre-statuale, o con l’anti-statuale, o addirittura con il post-statuale. Quando si parla di società civile nella prima di queste accezioni si vuol dire, in corrispondenza consapevole o non consapevole con la dottrina giusnaturalistica, che prima dello Stato vi sono varie forme di associazione che gli individui formano tra di loro per la soddisfazione dei loro piú diversi interessi e su cui lo Stato si sovrappone per regolarle ma senza mai precluderne l’ulteriore sviluppo e senza mai impedirne il continuo rinnovamento: se pure in un senso non strettamente marxiano si può parlare in questo caso della società civile come di una sottostruttura e dello Stato come di una sovrastruttura. Nella seconda accezione, la società civile acquista una connotazione assiologicamente positiva e sta ad indicare il luogo dove si manifestano tutte le istanze di mutamento dei rapporti di dominio, si formano i gruppi che lottano per l’emancipazione del potere politico, acquistano forza i cosiddetti contropoteri. Di questa accezione peraltro si può dare anche una connotazione assiologicamente negativa, qualora ci si metta dal punto di vista dello Stato e si considerino i fermenti di rinnovamento di cui è portatrice la società civile come dei germi di disgregazione. Nella terza accezione ‘società civile’ ha un significato insieme cronologico, come nella prima, e assiologico, come nella seconda: rappresenta l’ideale di una società senza Stato destinata a sorgere dalla dissoluzione del potere politico. Questa accezione è presente nel pensiero di Gramsci là dove l’ideale caratteristico di tutto il pensiero marxista dell’estinzione dello Stato è descritto come il «riassorbimento della società politica nella società civile» [1930-32a, p. 662], come la società civile dove si esercita l’egemonia distinta dal dominio, liberata dalla società politica. Nelle tre diverse accezioni il non-statuale assume tre diverse figure: la figura della precondizione dello Stato, ovvero di ciò che non è ancora statuale, nella prima, dell’antitesi dello Stato, ovvero di ciò che si pone come alternativa allo Stato, nella seconda, della dissoluzione e fine dello Stato, nella terza.
Piú difficile dare una definizione positiva di ‘società civile’, perché si tratta di fare un repertorio di tutto quello che ci si è messo dentro alla rinfusa nell’esigenza di circoscrivere l’ambito dello Stato. Basti notare che in molti contesti la contrapposizione società civile / istituzioni politiche è una riformulazione della vecchia contrapposizione paese reale / paese legale. Che cosa è il paese reale? Che cosa è la società civile? In una prima approssimazione si può dire che la società civile è il luogo dove sorgono e si svolgono i conflitti economici, sociali, ideologici, religiosi, che le istituzioni statali hanno il compito di risolvere o mediandoli o prevenendoli o reprimendoli. Soggetti di questi conflitti e quindi della società civile proprio in quanto contrapposta allo Stato sono le classi sociali, o piú latamente i gruppi, i movimenti, le associazioni, le organizzazioni che le rappresentano o si dichiarano loro rappresentanti; accanto alle organizzazioni di classe, i gruppi d’interesse, le associazioni di vario genere con fini sociali, e indirettamente politici, i movimenti di emancipazione di gruppi etnici, di difesa dei diritti civili, di liberazione della donna, i movimenti giovanili, ecc. I partiti hanno un piede nella società civile e un piede nelle istituzioni, tanto che è stato proposto di arricchire lo schema concettuale dicotomico e di intercalare fra i due concetti di società civile e di Stato quello di società politica [Farneti 1973, pp. 16 sgg.], destinato a comprendere appunto il fenomeno dei partiti che di fatto non appartengono interamente né alla società civile né allo Stato. Infatti uno dei modi piú frequenti di definire i partiti politici è quello di mostrare che essi esplicano la funzione di selezionare, quindi aggregare e infine trasmettere, le domande che provengono dalla società civile e sono destinate a diventare oggetto di decisione politica. Nelle piú recenti teorie sistemiche della società globale la società civile occupa lo spazio riservato alla formazione delle domande (input) che si dirigono verso il sistema politico e alle quali il sistema politico ha il compito di dare le risposte (output): il contrasto fra società civile e Stato allora si pone come contrasto fra quantità e qualità delle domande e capacità delle istituzioni di dare risposte adeguate e tempestive. Il tema oggi cosí dibattuto della governabilità delle società complesse può essere interpretato anche nei termini della classica dicotomia società civile / Stato: una società diventa tanto piú ingovernabile quanto piú aumentano le domande della società civile e non aumenta corrispondentemente la capacità delle istituzioni di rispondervi, anzi la capacità dello Stato di rispondervi ha raggiunto limiti forse non piú superabili (donde il tema, per esempio, della «crisi fiscale»). Strettamente connesso al tema della governabilità è quello della legittimazione: l’ingovernabilità genera crisi di legittimità. Anche questo tema può essere ritradotto nei termini della stessa dicotomia: le istituzioni rappresentano il potere legittimo nel senso weberiano della parola, cioè il potere le cui decisioni vengono accolte e attuate in quanto considerate come emanate da un’autorità cui si riconosce il diritto di prendere decisioni valide per tutta la collettività; la società civile rappresenta il luogo dove si formano, specie nei periodi di crisi istituzionale, i poteri di fatto che tendono a ottenere una propria legittimazione anche a danno dei poteri legittimi, dove, in altre parole, si svolgono i processi di delegittimazione e di rilegittimazione. Di qua la frequente affermazione che la soluzione di una crisi grave che minaccia la sopravvivenza di un sistema politico deve essere ricercata prima di tutto nella società civile, dove si possono trovare nuove fonti di legittimazione, e quindi nuove aree di consenso. Infine, nella sfera della società civile si fa rientrare abitualmente anche il fenomeno della pubblica opinione, intesa come la pubblica espressione di consenso e di dissenso nei riguardi delle istituzioni, trasmessa attraverso la stampa, la radio, la televisione, ecc. Del resto, pubblica opinione e movimenti sociali procedono di pari passo e si condizionano a vicenda. Senza pubblica opinione, il che significa piú concretamente senza canali di trasmissione della pubblica opinione, che diventa «pubblica» proprio in quanto trasmessa al pubblico, la sfera della società civile è destinata a perdere la propria funzione e alla fine a scomparire. Al limite lo Stato totalitario che è lo Stato in cui la società civile viene interamente assorbita nello Stato, è uno Stato senza pubblica opinione (cioè con un’opinione soltanto ufficiale).
2. L’interpretazione marxiana.
L’uso attuale dell’espressione ‘società civile’ come termine indissolubilmente legato a Stato, o sistema politico, è di derivazione marxiana, e attraverso Marx, hegeliana, anche se, come si vedrà fra poco, l’uso marxiano è riduttivo rispetto a quello hegeliano. Della frequenza con cui viene usata anche nel linguaggio comune l’espressione ‘società civile’ si è debitori all’influenza della letteratura marxistica nel dibattito politico italiano contemporaneo. Prova ne sia che in altri contesti linguistici l’espressione ‘società civile’ viene sostituita nella stessa dicotomia dal termine ‘società’: in Germania, ad esempio, ha avuto corso in questi anni un ampio e dotto dibattito su Staat und Gesellschaft [cfr. Böckenförde 1976], in cui il termine Gesellschaft ‘società’ comprende l’area dei significati del nostro ‘società civile’. Il passo canonico per la nascita del significato di ‘società civile’ diventato abituale è quello in cui Marx, nella prefazione a Per la critica dell’economia politica [1859], scrive che studiando Hegel è arrivato alla convinzione che le istituzioni giuridiche e politiche abbiano le loro radici nei rapporti materiali dell’esistenza «il cui complesso viene abbracciato da Hegel… sotto il termine di “società civile”», e ne deriva la conseguenza che «l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica» (trad. it., pp. 956-57). Non importa che in questo passo Marx abbia dato una interpretazione riduttiva e alla fine deformante del concetto hegeliano di ‘società civile’, come si vedrà fra poco; importa rilevare che nella misura in cui Marx fa della società civile il luogo dei rapporti economici, ovvero dei rapporti che costituiscono «la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica» [ibid., p. 957], ‘società civile’ viene a significare l’insieme dei rapporti interindividuali che stanno al di fuori o prima dello stato, ed esaurisce in certo qual modo la comprensione della sfera prestatuale distinta e separata da quella dello Stato, quella stessa sfera prestatuale che gli scrittori del diritto naturale e in parte sulla loro scia i primi economisti, a cominciare dai fisiocratici, avevano chiamato stato di natura o società naturale. L’avvenuta sostituzione nel linguaggio marxiano dell’espressione ‘società civile’ a ‘società naturale’, attraverso Hegel ma ben al di là di Hegel, è comprovata dal passo di un’opera giovanile come La sacra famiglia [Marx e Engels 1845] dove si legge: «Lo Stato moderno ha come base naturale [si badi: “naturale”] la società civile, l’uomo della società civile, cioè l’uomo indipendente, unito all’altro uomo solo con il legame dell’interesse privato e della necessità naturale incosciente» (trad. it., p. 126). Ancora piú sorprendente è che il carattere specifico della società civile cosí definita coincide in tutto e per tutto con il carattere specifico dello stato di natura hobbesiano che è, com’è ben noto, la guerra di tutti contro tutti: «Tutta la società civile è proprio questa guerra [dell’uomo contro l’uomo], l’uno contro l’altro, di tutti gli individui, isolati l’uno dall’altro ormai solo dalla loro individualità, ed è il movimento generale, sfrenato, delle potenze elementari della vita liberate dalle catene dei privilegi» [ibid., p. 130]. Sorprendente perché nella tradizione giusnaturalistica (cfr. § 4) si chiama ‘società civile’ ciò che oggi viene chiamato ‘Stato’, l’entità antitetica allo stato di natura.
Non si spiegherebbe questa trasposizione del significato tradizionale dell’espressione ‘stato di natura’ nel significato dell’espressione che tradizionalmente è ad esso contrapposta ‘società civile’, se non si tenesse presente ancora una volta che la società civile di Marx è la bürgerliche Gesellschaft che, specie dopo Hegel e l’interpretazione dei testi di Hegel da parte della sinistra hegeliana, ha acquistato il significato di ‘società borghese’ nel senso proprio di società di classe, e che la società borghese in Marx ha per soggetto storico la borghesia, una classe che ha compiuto la sua emancipazione politica liberandosi dai vincoli dello Stato assoluto e contrapponendo allo Stato tradizionale i diritti dell’uomo e del cittadino che sono in realtà i diritti che dovranno d’ora innanzi proteggere i propri interessi di classe. Un passo dello scritto giovanile Il problema ebraico [1843] chiarisce meglio di ogni discorso il trasferimento dell’immagine dello stato di natura ipotetico nella realtà storica della società borghese: «L’emancipazione pol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Società civile
  3. 1. Nelle sue varie accezioni
  4. 2. L’interpretazione marxiana
  5. 3. Nel sistema hegeliano
  6. 4. Nella tradizione giusnaturalistica
  7. 5. Società civile come società civilizzata
  8. 6. Il dibattito attuale
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright