Madre Dignità
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Madre Dignità

  1. 120 pagine
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Madre Dignità

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Provocatorio, appassionato, inattuale. Un pamphlet sugli ultimi della Terra, i diseredati, i poveri, tutti coloro che sono fuori dal mercato e dai diritti, i non-inclusi. Hanno un solo bene da difendere: la dignità. Giustizia, libertà, diritti delle persone sono ideali cui Moni Ovadia ha dedicato tante delle sue battaglie. Ma la dignità li precede tutti, ne è il fondamento, senza il quale gli uomini, nella loro concreta vita di ogni giorno, sono in balia della sopraffazione, della schiavitú, del nichilismo. Il merito di questo breve libro è proprio quello di sbatterci davanti agli occhi il rischio che corre la dignità nel discorso comune quando viene banalizzata e data per ovvia. La dignità prescinde dalle nostre origini, dalla condizione sociale, dal censo, dall'etnia. È un attributo etico universale. Essa è un dono dell'assoluto. Stranieri, ribelli, reietti, fuorilegge, la «schiuma della terra», tutti partecipano di questo dono, che è prima di tutto «onore verso sé stessi». Passando dal commento dei testi sacri delle grandi religioni monoteistiche, alle storie di ogni giorno, ai conflitti etici, alle parole dei poeti, fino al bellissimo La dignità del carnefice, Ovadia ci consegna un breve prontuario contro l'abisso spalancato sotto di noi. Non solo nei grandi eventi della Storia, ma nel compiersi quotidiano della propria missione di esseri umani.

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Informazioni

L’umorismo yiddish come grimaldello

L’umorismo ebraico è in sé una rivendicazione di dignità da parte dell’uomo fragile e indifeso di fronte all’arroganza e alla violenza del potere, anche nelle forme capziose che si annidano nelle pretese morali o di fede.
Il testo che segue è un’e-mail inviata alla redazione di un programma radiofonico religioso condotto negli Stati Uniti dalla dottoressa Laura Schlessinger, che io ho ricevuto tramite la rete. È un esempio particolarmente divertente di come, per mezzo del paradosso umoristico, si possano disarmare certe letture pedisseque dei testi sacri che, a dispetto della loro abissale stupidità, trovano folle di esaltati accoliti la cui influenza su politiche repressive, antidemocratiche e discriminatorie riesce ancora a essere decisiva. Nel corso di una delle trasmissioni del suo programma, la succitata dottoressa Schlessinger, un’ebrea ortodossa, basandosi sull’assioma secondo cui la Bibbia nella sua letteralità è la verità ultima che decide in merito a ogni controversia nei nostri tempi, in accordo con Levitico, 18, 22 ha affermato perentoriamente che l’omosessualità è un’abominazione non condonabile.
Ed ecco l’e-mail inviata alla dottoressa Schlessinger in forma di lettera aperta.
Cara dottoressa Laura,
grazie per tutto ciò che fa per educare le persone sulle leggi di D-o. Ho imparato tanto dalle sue trasmissioni e voglio condividere queste conoscenze con il maggior numero di persone possibile. Quando qualcuno tenta di difendere lo stile di vita omosessuale, per esempio, io gli ricordo semplicemente che Levitico, 18, 22 dichiara che l’omosessualità è un’abominazione e… fine del dibattito.
Avrei comunque bisogno di qualche suo consiglio su altri aspetti delle leggi di D-o e su come metterli in pratica.
1. Levitico, 25, 44 dice che io ho la facoltà di possedere schiavi di entrambi i sessi, purché provengano dalle nazioni circonvicine. Un mio amico sostiene che questa legge si applica ai messicani ma non ai canadesi. Potrebbe chiarirmi questo punto? Perché non mi è consentito di possedere canadesi?
2. Vorrei vendere mia figlia come schiava, come scritto in Esodo, 21, 7. Qual è, secondo lei, un prezzo conveniente e onesto che potrei chiedere?
3. So che non mi è permesso alcun contatto con una donna nel suo periodo di impurità mestruale (Levitico, 15, 19-24). Il problema è: come faccio a dirlo? Ci ho provato, ma la maggior parte delle donne si offende.
4. Quando brucio un toro sull’altare del sacrificio, so che ciò crea un odore piacevole per il Signore. Il problema sono i vicini: affermano che l’odore non è gradevole per loro. Dovrei punirli?
5. Ho un vicino che insiste a lavorare di sabato. Esodo, 35, 2 dichiara senza equivoci che dovrebbe essere messo a morte. Sono moralmente obbligato a ucciderlo io stesso o dovrei chiedere alla polizia di farlo?
6. Un mio amico ritiene che, anche se mangiare crostacei è un abominio (Levitico, 11,10), è comunque un abominio minore rispetto all’omosessualità. Io non sono d’accordo. Potrebbe dirimere questa controversia? Ci sono vari gradi di abominio?
7. Levitico, 21, 20 proclama che non ho il permesso di avvicinarmi all’altare di D-o se ho un difetto alla vista. Purtroppo porto occhiali per leggere. Devo avere proprio una vista di dieci decimi o c’è qualche margine di approssimazione?
8. La maggioranza dei miei amici maschi si taglia i capelli, compresi quelli intorno alle tempie, anche se è espressamente vietato da Levitico, 19, 27. In che modo devono essere messi a morte?
9. So da Levitico, 11, 6-8 che toccare la pelle di un maiale morto mi rende impuro, ma mi è ancora consentito di giocare a football se indosso dei guanti?
10. Mio zio ha una fattoria. Non fa che violare Levitico, 19, 19 piantando due differenti raccolti nello stesso campo, come fa sua moglie indossando abiti confezionati con fibre diverse (cotone misto a poliestere). Inoltre ha la tendenza a maledire e a bestemmiare in grande misura. È davvero necessario prendersi la briga di riunire l’intera città per lapidarli (Levitico, 24, 10-16)? Non potremmo limitarci a risolvere la cosa in famiglia ardendoli vivi come si fa con quelli che vanno a letto con i propri famigliari (Levitico, 20, 14)?
Lei ha studiato approfonditamente questi temi, di conseguenza è dotata di notevole competenza sulle questioni che le ho sottoposto. Ho dunque fiducia che possa essermi di grande aiuto.
La ringrazio di nuovo per ricordarci che la parola di D-o è eterna e immutabile.
Il suo adorante fan,
James M. Kauffman
Professore emerito
Dept. of Curriculum, Instruction and Special Education
Università della Virginia
P. S. Comunque sarebbe una dannata vergogna se non potessi possedere un canadese.
Al di là dell’acume ironico e sarcastico, questa deliziosa e-mail ha il merito di restituire dignità al testo sacro contro gli abusi provocati dall’ossessione dell’interpretazione letterale. La scrittura biblica chiama i lettori ad assunzioni di responsabilità attraverso un ininterrotto scavo ermeneutico, per farne emergere la luce anche di fronte alle scabrosità e agli scandali, accogliendone le contraddizioni. Ma senza mai pervertire il senso ultimo di chiamata antidolatrica alla libertà, all’amore per il prossimo, per lo straniero, alla giustizia giusta, alla fratellanza universale, all’accoglienza dell’altro. L’umorismo è un grimaldello sofisticato buono per scardinare le casseforti del pensiero, per accedere ai sensi piú celati. Grazie a questa specificità, è in grado di illuminare l’estrema dignità di un uomo che non rinuncia a pensare neppure se ha un’arma puntata contro la nuca.
Art
Ucraina, novembre 1941.
Dopo avere invaso l’Unione Sovietica, l’armata nazista prosegue la sua inarrestabile avanzata travolgendo ogni resistenza e penetrando in tutte le città e cittaduzze. Un’intensa neve precoce ha ammantato i campi e gli abitati. Aggregati alla Wehrmacht, gli assassini degli Einsatzkommandos si applicano con zelo alla loro opera di beccamorti. Rastrellano ogni villaggio per stanare nemici del Reich, ebrei, comunisti e partigiani. In uno dei tanti shtetl, un ufficiale delle SS in divisa da superuomo – cappotto e guanti in pelle nera, stivali lustri, berretto con testa di morto sulla visiera, scudiscio in nerbo di bue – sta supervisionando la caccia all’uomo. D’un tratto scende dall’autoblindo con cui, in piedi di fianco al posto di guida, percorre le strade della cittadina ebraica, e imbocca un vicolo a piedi. Vede venirgli incontro un vecchio ebreo che sembra uno spaventapasseri. La sua condizione tragica non gli risparmia il ridicolo: è avvolto in un lungo pastrano su cui è rimasto piú sudiciume che stoffa, e porta sulle spalle doloranti un lercio scialle di lana tutto tarmato; gli stivali sporchi di fango sono sfondati e aperti sul davanti, simili a due grandi bocche sdentate; la barba è ricoperta di neve e i cernecchi sono due ghiaccioli, mentre da sotto la tesa del cappello calato sugli occhi sporge un enorme naso. Il superuomo nazista riconosce in quelle fattezze la personificazione dell’Untermensch, il sottouomo, il nemico da annientare. Incrociandolo, l’odio di cui si è nutrito per anni si distilla in una sola parola, una parola che esplode come una fucilata.
– Porco!!
Il vecchio ebreo fa un profondo inchino cerimonioso, e quando riassume la posizione eretta risponde: – Onoratissimo, io mi chiamo Rabinovič.
Art
Comunicare la propria identità a chi insulta e manifesta l’annientamento dell’altro già nelle parole, è un’affermazione estrema di dignità e provoca un rovesciamento speculare delle posizioni. Nell’immagine riflessa della dignità del tragico e goffo ebreo, il nazista che dice: «Porco!!» diventa un nazista di nome «Porco».
L’umorismo ebraico si pone al servizio della goffaggine e inadeguatezza dell’intima verità dell’uomo, per smascherare il vano e patetico agitarsi di coloro che pretendono di annullare la precarietà dell’esistenza con gli strumenti del potere, con il ricorso furioso alla violenza e alle menzogne dell’ideologia. La filosofia paradossale dell’umorismo yiddish è affermazione e glorificazione della dignità fragile, è un’appassionata richiesta di resa senza condizioni fatta ai violenti, ai potenti, ai ricchi, agli arroganti, ai protervi, ai presuntuosi, agli idolatri, agli egolatri, ai fanatici, agli invasati di D-o e persino agli assassini e ai carnefici. Il culto per l’umorismo autodelatorio della yiddish-keit è culto per la dignità, e non c’è dignità dove alligna l’arroganza. Lo scoppio di risa che commenta un motto di spirito, un witz, una storiella è l’irruzione imprevista della dignità nell’oscuro cul de sac del contrasto insanabile, della logica cieca della fazione. Le ulteriori opzioni proposte dal pensiero umoristico dell’Ostjude (l’ebreo dell’Europa orientale) rispondono alla logica spietata dell’aut aut con la grazia inclusiva dell’et et, pur di scongiurare la sopraffazione. Ineguagliato nel celebrare l’et et è il personaggio letterario di Tevye der Milkhiker («Tobia il lattivendolo»), uscito dalla penna del grande umorista Sholem Aleichem, il Gogol´ della letteratura yiddish.
Art
Tevye è un povero lattivendolo che aspira a divenire un grande sapiente dell’ebraismo. E ogni volta che ne ha l’occasione, infarcisce le proprie chiacchiere di citazioni dalla Torah e dal Talmud. Purtroppo Tevye non ha avuto modo di studiare come si deve, e le sue citazioni sono sempre sbagliate o fuori luogo.
Un venerdí pomeriggio si piazza con il carretto su cui trasporta latte e latticini nella piazza principale del piccolo shtetl di Anatevka, e gli ebrei accorrono per acquistare le buone cose di Tevye per celebrare degnamente il santo shabbat. Uno di essi tende il recipiente per il latte perché Tevye lo riempia, ma mentre ritrae il braccio rovescia a terra quasi metà del contenuto. Tevye borbotta, riempie nuovamente il mestolo per rabboccare il latte versato e intanto commenta: – Signore è custode del ingenui, come ha deto Moshe Rabenu, nostro maestro Mosè.
Un altro ebreo, in coda per il burro, interloquisce: – Tevye, qvesto non ha deto Moshe Rabenu, qvesto ha deto Shloyme ha-meylekh, re Salomone.
Tevye lo guarda, sorride e risponde: – Ce l’hai ragione.
Il figlio del rabbino, che è lí per ritirare la crema di latte e il formaggio per il padre, lo corregge: – Tevye, qvesto non ha deto né il Mosè né il Salomone! Qvesto ha deto Duvid ha-meylekh, re Davide!
Tevye lo guarda, sorride anche a lui e dice: – Ce l’hai ragione.
A quel punto Mendel lo schnorrer, il mendicante che sta aspettando il suo obolo in natura, indica perplesso i due contendenti e propone l’aut aut: – No, Tevye! Qvesto no pò functionare. O lui ce l’ha ragione, o lui ce l’ha ragione.
Tevye guarda allora il mendicante e sospira: – Lo sai un cosa, Mendel? Anche tu ce l’hai ragione!
Art
Tevye è l’apologeta appassionato dell’inclusione. Concede il diritto alla ragione a ogni interlocutore. Per lui partecipare è piú importante che vincere. Che importa sapere chi abbia davvero ragione? Una ragione giusta esiste. Ma non per questo si deve negare dignità alle ragioni sbagliate. Quella giusta emergerà da un confronto a cui tutti partecipano con pari dignità. Ecco cos’è davvero importante: la discussione. In fondo chi ha ragione non è per ciò stesso migliore degli altri. L’errore ha la sua dignità, e Tevye lo sa meglio di chiunque perché la passione con cui sbaglia le citazioni è ardente come quella dei grandi maestri che si consumano sulle scritture. Dietro la luce della ragione logica e palese si cela la penombra ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Madre dignità
  3. Alzare lo sguardo
  4. Stella d’oro
  5. La dignità della donna
  6. Brevi suggestioni su filosofia, bioetica e dignità
  7. Il volto altrui
  8. Ditemi cos’è la giustizia
  9. La dignità del carnefice
  10. Un fatto umano
  11. L’umorismo yiddish come grimaldello
  12. Lungimiranza rivoluzionaria
  13. Santità del lavoro
  14. Un tè con il nemico
  15. L’abito miracoloso e il mondo
  16. Copyright