Mondo, romanzo
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Mondo, romanzo

  1. 42 pagine
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Per Claudio Magris il romanzo è il genere letterario che raffigura l'individuo nella «prosa del mondo», è «un paradosso, una lancia d'Achille che ferisce e guarisce; è intessuto delle lacerazioni del moderno e insieme le abbraccia in una nuova totalità». Mario Vargas Llosa vuole invece sottolineare quanto la lettura dei romanzi sia una delle piú stimolanti e feconde occupazioni dell'animo umano: la letteratura è una conoscenza totalizzante che unisce nel dialogo gli esseri umani e leggere romanzi è «un'attività insostituibile per la formazione del cittadino in una società moderna e democratica».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858407424

CLAUDIO MAGRIS
È pensabile il romanzo senza il mondo moderno?

In una pagina di diario, Croce scrive che in quel giorno è venuto a trovarlo «lo scrittore di romanzi Moravia». La nota ha una sua inconfondibile malignità, quell’umorismo brutale, sagace e capace di colpire a fondo, che rimane forse il genio piú grande e duraturo di don Benedetto; la puntigliosa qualifica, «scrittore di romanzi», è anche e soprattutto un rude ridimensionamento di Moravia e un’implicita limitazione della sua importanza e della sua fama, come se il nome «Moravia» non fosse di per sé sufficiente e occorresse, come per qualsiasi altro visitatore anonimo, specificare la sua professione o qualche altro elemento per conferirgli un’identità.
La definizione, inoltre, non suona come un complimento. Di per sé neutra, come il dato di un passaporto, sembra quasi riduttiva, l’indicazione di un’attività onesta e apprezzabile, se non altro per la buona volontà, ma non particolarmente brillante e comunque situata a un livello non elevato della vita dello spirito; piú l’esercizio di una funzione pratica – certo dialetticamente utile – che non una creazione di poesia, di quella che per Croce è la poesia. Croce ha certo amato alcuni romanzi e li ha saputi interpretare, ma il romanzo è rimasto, fondamentalmente, estraneo alla sua estetica e alla sua critica; non a caso, perché il romanzo è espressione di quella radicale modernità, di quel mondo moderno che egli celebrava quale progresso e quale affermazione dello spirito – la storia come storia della libertà, il liberalismo affrancato da dogmatismi politici e religiosi e cosí via – ma di cui la sua piú intima natura gli impediva di comprendere e condividere il modo di essere e di sentire, le trasformazioni della sensibilità e della soggettività stessa nel suo rapporto col mondo, la polverosa, parodistica, talora degradata ma avventurosa e radicalmente nuova odissea.
Il romanzo nasce e cresce quando si sgretolano quella civiltà agraria e quell’ordine feudale, specchio di strutture perenni – o quantomeno di lunghissima durata – dell’essere, che sono e restano le categorie essenziali della fantasia e del gusto di Croce, del suo modo di guardare e vivere il mondo e di recepire la sua evoluzione. Sul piano politico, Croce esalta la borghesia, che ha distrutto la classicità agraria e creato e amato il romanzo, ma sul piano estetico egli rimane completamente estraneo e insensibile a quella moderna «prosa del mondo» che, come avrebbe potuto insegnargli il suo Hegel, costituisce la premessa e l’essenza del romanzo. Croce sa vivere – e con spregiudicata intelligenza – da contemporaneo la politica moderna, ma non la cultura, l’arte, la letteratura, ossia il modo in cui gli uomini vivono la vita e quindi pure la politica moderna; è un agguerrito contemporaneo di Mussolini e di Lenin, ma non di Kafka.
Ci si può immaginare il romanzo senza il mondo moderno? Il romanzo è il mondo moderno; non solo non potrebbe esistere senza di esso, come un’onda senza il mare, ma per taluni aspetti s’identifica con esso, ne è la mutevole espressione, come lo sguardo o la piega di una bocca sono l’espressione di un viso. Certo, il termine «romanzo» risale all’età medievale e ci sono i «romanzi» greci, ma si potrebbe dire che essi, in quanto meritano o giustificano questo nome, presentano già – sia pure in forme embrionali e con tutte le caratteristiche culturali, sociali e stilistiche della loro epoca – quei caratteri di modernizzazione, in bene e in male, e di ambivalenza che contrassegnano il romanzo vero e proprio: la sua connessione con la dissoluzione dell’epica, l’ambivalente simbiosi di crisi epigonale e innovazione tecnica, residui dell’universo epico rimodellati e ricomposti in nuove strutture, tramonto di antichi valori e impetuosa costruzione della realtà; mescolanza di strategie narrative popolari, serial e feuilletons che affascinano il pubblico antico, come piú tardi quello borghese, polifonica contaminazione di generi – e specialmente di registri e temi – alti e bassi. Del resto la fine del mondo antico appare, sempre di piú, uno specchio della fine di quello moderno (anche di quello postmoderno?) e dell’elusiva imminenza di qualcosa d’altro, e radicalmente diverso, che avvertiamo ma non sappiamo definire e nemmeno immaginare.
Il primo romanzo in senso proprio è l’incommensurabile Don Chisciotte della Mancia, che secondo Dostoevskij sarebbe stato sufficiente, da solo, a giustificare l’umanità agli occhi di Dio; sul suo modello, secoli piú tardi il Romanticismo inventa e codifica il romanzo quale espressione per eccellenza della modernità. Nel Don Chisciotte l’epos e la fede nell’epos verificano la propria fine e la propria illusione, senza smettere di avventurarsi per le dissestate strade del mondo come se esse fossero selve incantate, dense di poesia e di significato. Il romanzo nasce con questa disillusione e con questa disincantata e paradossale resistenza; è l’epopea del disincanto e conserva e profonde, almeno agli inizi, nella lucida scoperta e nella narrazione del trionfo della prosa l’eco e il riverbero della poesia dell’epopea.
«Il grande stile epico, – scrive Hegel, – consiste nel fatto che l’opera sembra si canti da sé e si presenta come autonoma senza avere in testa il nome dell’autore»; Omero è uno, nessuno e molti. L’eroe dell’epos – e con lui l’autore – sente di vivere in un mondo poetico ossia sensibile e concreto, ricco di significati e di poesia come le selve del mito antico popolate dagli dèi. È la condizione «originariamente poetica» del mondo, come la chiama Hegel, nella quale i valori, le norme etiche, l’unità della vita non vengono sentiti dall’individuo come qualcosa di imposto dall’esterno, ma come fusi e calati nella sua disposizione d’animo, che ignora ogni scissione.
Il soggetto si sente in armoniosa e innocente unità con se stesso e con la vita, che gli appare tutta piena di senso. La molteplicità delle cose sembra unificata in un ordine superiore, illuminata da un significato che conferisce alle cose un valore insostituibile e trasforma le interscambiabili bacinelle da barbiere, come voleva don Chisciotte, nell’elmo di Mambrino, unico e irripetibile.
Questa condizione originariamente poetica finisce, secondo Hegel, con la moderna età del lavoro, uno stadio adulto che prescrive dei fini oggettivi cui l’individuo deve tendere anche contro la sua individualità, adeguandosi al progresso sociale che esige la sua specializzazione – ossia la riduzione del suo sviluppo personale, la rinuncia alla formazione completa della sua personalità – a favore di un potenziamento unilaterale della sua specializzazione professionale. Quando s’instaura questa scissione, le determinazioni universali che guidano l’agire umano – dice Hegel – non fanno piú parte dell’animo dell’individuo, ma si ergono davanti a lui come una costrizione estranea, come un «ordinamento prosaico» delle cose.
L’astrazione e la meccanicità del lavoro sembrano esautorare il soggetto e contrapporre alla sua poesia del cuore – alla sua esigenza di vivere una vita veramente sua, esperienze irripetibilmente individuali e significative – la «prosa del mondo», l’anonima rete dei rapporti sociali, nella quale egli si trova ad essere soltanto un mezzo, a venire adoperato dal meccanismo sociale per scopi che gli sfuggono. Iperione, l’eroe del romanzo-poema di Hölderlin che sogna la rinascita dell’Ellade ossia la nascita di una nuova civiltà totale ed armoniosa, parla di una vita recisa alle radici, dell’uomo che era – e dovrebbe e dovrà tornare ad essere – tutto e che invece è nulla.
Il romanzo nasce dal trionfo della «prosa del mondo», che si pone – e viene avvertita e affermata filosoficamente – quale svolta epocale della storia, quale sconvolgente mutamento della società e del rapporto tra gli uomini, la loro vita e il racconto della lor...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mario Vargas Llosa Mondo, romanzo
  3. CLAUDIO MAGRIS - È pensabile il romanzo senza il mondo moderno?
  4. MARIO VARGAS LLOSA - È pensabile il mondo moderno senza il romanzo?
  5. Il libro
  6. Gli autori
  7. Degli stessi autori
  8. Copyright