Quello che ti meriti
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Quello che ti meriti

  1. 432 pagine
  2. Italian
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Quello che ti meriti

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Informazioni sul libro

Una dolente, umanissima coppia di detective: l'investigatore Stubø e la criminologa Vik. Lui, che ha appena perso moglie e figlia in un incidente assurdo, sa che l'unico modo per venire a capo del caso dei bambini scomparsi è convincere Vik a partecipare alle indagini. Lei non ne ha proprio voglia, ma non può restare indifferente di fronte al crescente orrore, e alla fine accetta. Non c'è tempo da perdere, almeno finché c'è una speranza.
Quello che ti meriti è il primo di una serie di thriller investigativi che ha attanagliato i lettori di mezzo mondo per il nitore dei personaggi, la sottigliezza psicologica degna delle «grandi» del giallo inglese, il gusto per la precisione e il respiro romanzesco, che alterna i colpi di scena a una comprensione profonda e pietosa della natura umana. In un'atmosfera rarefatta dove, senza accorgersene, dalla prima all'ultima scena si trattiene il respiro. *** «Non le piaceva camminare da sola.
Però la mamma di Marte era passata a prendere Marte e Silje. Dove andavano non glielo avevano detto.
Le avevano solo fatto ciao con la mano dal lunotto della macchina.
Le farfare avevano bisogno d'acqua. Alcune le erano già appassite sulle dita. Emilie cercò di non stringere troppo il mazzetto. Un fiore cadde a terra e lei si chinò a raccoglierlo.
- Ti chiami Emilie?
L'uomo sorrideva. Emilie lo guardò.
Non c'era nessun altro in vista sul sentiero».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858409381

XXX.

I giornali avevano fatto due edizioni straordinarie dopo l’uscita dei primi tabloid verso le due di notte di sabato 27 maggio. Le prime pagine avevano urlato i loro titoli addosso a Johanne Vik mentre gettava uno sguardo alla stazione di servizio prima di infilarsi nel parcheggio del supermercato Ica, vicino allo stadio di Ullevaal. Era difficile trovare posteggio. Il supermercato era sempre strapieno, soprattutto il sabato mattina, ma quello era un vero e proprio caos. Era come se nessuno volesse stare a casa. Dovevano uscire. Cercavano la compagnia di altre persone ugualmente angosciate, ugualmente infuriate. Le madri tenevano i bambini stretti per mano, i piú piccoli erano legati nelle carrozzine e nei passeggini. I padri si mettevano i piú grandi in spalla, tanto per essere piú sicuri. La gente si raggruppava a parlare, sia con amici sia con sconociuti. Tutti avevano il giornale. Alcuni portavano l’auricolare all’orecchio per ascoltare le notizie, era mezzogiorno in punto. Fissavano concentrati nel vuoto ripetendo lentamente a quelli che li circondavano:
– La polizia non ha ancora una pista.
Al che sospiravano tutti. Un gemito collettivo di rassegnazione si estese sul parcheggio.
Johanne s’infilò tra la gente. Era venuta a fare la spesa. Dopo il viaggio il frigorifero era vuoto. Aveva dormito male, e i passeggini e le carrozzine che bloccavano le grandi porte automatiche la infastidivano. Le cadde per terra la lista della spesa. Si appiccicò alla suola della scarpa di un passante e sparí.
– Permesso, – disse lei cercando di farsi strada verso un carrello libero.
Come minimo aveva bisogno di banane. Cereali per la colazione e banane. Latte, pane e qualcosa da metterci sopra. La cena per quel giorno, che non sarebbe stata un problema visto che era da sola, e anche per l’indomani quando sarebbe arrivato Isak con Kristiane. Polpette. Ma prima le banane.
– Ciao.
Arrossiva di rado. Ma in quel momento si sentí bruciare le guance. Yngvar Stubø era davanti a lei, con in mano una confezione di banane. Sorride sempre, pensò Johanne, ma adesso non dovrebbe sorridere. Non doveva avere molto di che rallegrarsi.
– Non mi hai chiamato, – le disse.
– Come hai fatto a sapere dov’ero? Il nome dell’hotel?
– Sono un poliziotto. Mi ci è voluta un’ora per scoprirlo. Tu hai una figlia. Non puoi andare da nessuna parte senza lasciarti un sacco di tracce alle spalle.
Le mise le banane nel carrello.
– Ne volevi, no?
– Mhm.
– Ho bisogno di parlarti.
– Come facevi a sapere che ero qui?
– Dovevi pur fare la spesa. Sei stata via. E questo è il supermercato piú vicino a casa tua, a quanto ne so.
«Sai dove faccio la spesa, – pensò lei. – Hai scoperto dove faccio la spesa e devi essere qui da un pezzo. O quantomeno hai avuto una gran fortuna. Ci sono migliaia di persone qui. Avremmo potuto non incontrarci. Ma tu sai dove faccio la spesa e sei venuto a cercarmi».
Prese tre arance da una montagna di frutta e le infilò in un sacchetto. Era difficile fare il nodo.
– Aspetta. Ti dò una mano.
Yngvar Stubø prese il sacchetto. Aveva le dita tozze, ma rapide. Veloci.
– Ecco. Devo parlarti, sul serio.
– Qui?
Johanne indicò il supermercato cercando di assumere un’aria sarcastica. Ma era difficile, dal momento che la sua faccia aveva il colore dei pomodori della cassetta accanto a lei.
– No. Possiamo… ti va di passare da me in ufficio? È dall’altra parte della città, se credi che sia piú facile…
Stubø si strinse nelle spalle.
«Vuole venire a casa mia. Santo Dio, quest’uomo vuole venire a casa mia! Kristiane è… Saremo da soli. No. Questo no».
– Potremmo andare da me, – disse casualmente. – Sto qui dietro l’angolo. Ma lo sai già.
– Passami la lista. Cosí facciamo in un momento.
Allungò la mano.
– Non ho nessuna lista, – rispose rapida Johanne. – Perché pensavi che ce l’avessi?
– Perché sei il tipo, – disse lui, lasciando cadere la mano. – Sei, come dire, il tipo da lista della spesa. Sono sicuro.
– Invece ti sbagli, – disse lei girandosi dall’altra parte.
– È proprio carino qui.
Era in mezzo alla sala. Per fortuna aveva messo in ordine. Johanne gli indicò vagamente il sofà mentre lei si sedeva in poltrona. Dopo qualche minuto si rese conto che aveva la schiena rigida e sedeva sul bordo. Lentamente, per evitare che la mossa fosse troppo evidente, si appoggiò allo schienale.
– Nessuna causa di morte dimostrabile, – disse poi a bassa voce. – Sarah è morta e basta.
– Sí. Un taglietto sopra l’occhio. Ma nessuna ferita interna. Una ferita insignificante, almeno quanto alla causa di morte. Una bimba di otto anni sana e forte. Anche stavolta lui… voglio dire l’assassino, in fondo non sappiamo se è un uomo o…
– Penso che tu possa tranquillamente usare il maschile.
– E perché?
Johanne scrollò le spalle.
– In primo luogo perché è piú facile che non dover dire ogni volta «lui o lei». Poi perché sono piuttosto sicura che sia un uomo. Non chiedermi perché. Non sono in grado di argomentarlo. Magari sono solo pregiudizi. È che non riesco a immaginarmi una donna che tratti dei bambini in questo modo.
– E secondo te chi è che può trattare dei bambini in questo modo?
– Cosa stavi per dire?
– Ti domandavo…
– No, ti ho interrotto. Stavi per dire qualcosa sul fatto che anche stavolta…
– Ah, sí. Anche questa bambina ha del diazepam nelle urine. Una minuscola quantità.
– Che senso ha somministrare a dei bambini un tranquillante?
– Per calmarli, direi. Magari li tiene… magari li tiene in un posto dove devono stare zitti. Deve farli dormire.
– Ma se lo scopo è farli dormire, avrebbe potuto dargli un sonnifero.
– Sí. Ma è possibile che non possa procurarselo. Può darsi che abbia solo… del Valium.
– Chi può comprare il Valium?
– Oh, mio Dio…
Stubø soffocò uno sbadiglio e scosse forte il capo.
– Un sacco di gente, – le rispose con un sospiro. – Tutti quelli che hanno una prescrizione medica. Parliamo di migliaia, se non decine di migliaia di persone. Poi ci sono i farmacisti, i medici, gli infermieri. Anche se dovrebbero esserci regole sia negli ospedali sia nelle farmacie, parliamo di dosi talmente minime che praticamente non c’è modo di… Potrebbe essere chiunque. Lo sapevi che oltre il sessanta per cento della gente apre l’armadietto del bagno, a casa di qualcun altro? Rubare due o tre pillole è la cosa piú semplice del mondo. Se prima o poi beccheremo questo tipo, non sarà certo perché è in possesso di Valium o diazepam.
– Se prima o poi, – ripeté Johanne. – Un po’ pessimista.
Yngvar Stubø giocherellava con una macchinina. Se la faceva scorrere sul dorso della mano. Quando le ruote giravano, i fari anteriori s’illuminavano debolmente.
– Le piacciono solo le macchine rosse, – disse Johanne. – A Kristiane, intendo. Né bambole, né treni. Solo le macchine. Macchine rosse. Camion dei pompieri, autobus londinesi. Non sappiamo perché.
– Che cos’ha che non va?
Yngvar Stubø appoggiò piano la macchinina sul tavolino. La gomma di una delle due ruote era stata strappata via e il piccolo asse di trasmissione sfregò sulla superficie di vetro.
– Non lo sappiamo.
– È dolce. Molto dolce.
Sembrava che lo pensasse davvero. Ma l’aveva vista soltanto una volta. A malapena.
– E non avete fatto passi avanti con la consegna del… insomma, dovrà pure esserci stato nello stabile di Urtegata, o aver mandato qualcun altro a… Ne sapete qualcosa?
– Un corriere. Un corriere!
Yngvar Stubø appoggiò l’indice sul tetto della macchinina e la spinse lentamente lungo il tavolo. Sul vetro, dove mancava la ruota, si disegnò man mano un piccolo graffio. Johanne aprí la bocca ma non disse nulla.
– È cosí… cosí spudorato, – disse Yngvar con rabbia soffocata, senza accorgersi di quel che stava facendo. – Ovviamente quel tizio sapeva che non gli avremmo permesso di consegnare il cadavere direttamente alla madre. Avevamo messo dei controlli ovunque. Ma è chiaro che è stato un errore. Con l’assassinio di Sarah entra in gioco anche il distretto di polizia di Oslo, e le relazioni tra la polizia criminale e… Oh, lasciamo stare. Avremmo dovuto essere piú discreti. Spingerlo in trappola. Per lo meno provarci. Invece lui ha capito l’antifona e ha usato… un corriere! Un corriere! E nella via nessuno ha notato niente di speciale, nessuno ha sentito niente, nessuno ha fiutato niente. È probabile che la scatola con dentro Sarah sia stata portata lí in pieno giorno. Un vecchio trucco, se vogliamo…
– È il posto in cui ci si nasconde meglio, in mezzo a tanta gente, – proseguí Johanne. – Furbo. Però è strano, il pacco doveva pur essere…
Esitò, poi aggiunse piano:
– … piuttosto grande.
– Sí. Era grande abbastanza da contenere una bambina di otto anni.
Johanne si conosceva. Era una persona prevedibile. Isak, per esempio, con il tempo aveva cominciato a trovarla alquanto noiosa. Dopo che Kristiane aveva iniziato a migliorare e la vita si era incanalata in un ritmo pesante, lui aveva iniziato a lamentarsi. Johanne era cosí poco impulsiva. Rilassati un po’, dài, le diceva sempre piú spesso. Non è poi male, sospirava rassegnato quando lei guardava scettica la pizza precotta che lui cacciava in bocca alla bambina ogni volta che non aveva voglia di preparare da mangiare. Isak la considerava noiosa. Line e le altre amiche in parte erano d’accordo. Non che le avessero mai detto nulla in faccia, nemmeno loro. Al contrario. La elogiavano. Era cosí affidabile, decantavano. Cosí in gamba e responsabile. Ci si poteva fidare di Johanne, sempre. Noiosa, in altre parole.
Lei doveva essere prevedibile. Aveva la responsabilità di una bambina che non sarebbe mai diventata completamente adulta.
Johanne si conosc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quello che ti meriti
  4. Nota del traduttore
  5. I
  6. II
  7. III
  8. IV
  9. V
  10. VI
  11. VII
  12. VIII
  13. IX
  14. X
  15. XI
  16. XII
  17. XIII
  18. XIV
  19. XV
  20. XVI
  21. XVII
  22. XVIII
  23. XIX
  24. XX
  25. XXI
  26. XXII
  27. XXIII
  28. XXIV
  29. XXV
  30. XXVI
  31. XXVII
  32. XXVIII
  33. XXIX
  34. XXX
  35. XXXI
  36. XXXII
  37. XXXIII
  38. XXXIV
  39. XXXV
  40. XXXVI
  41. XXXVII
  42. XXXVIII
  43. XXXIX
  44. XL
  45. XLI
  46. XLII
  47. XLIII
  48. XLIV
  49. XLV
  50. XLVI
  51. XLVII
  52. XLVIII
  53. XLIX
  54. L
  55. LI
  56. LII
  57. LIII
  58. LIV
  59. LV
  60. LVI
  61. LVII
  62. LVIII
  63. LIX
  64. LX
  65. LXI
  66. LXII
  67. LXIII
  68. LXIV
  69. LXV
  70. LXVI
  71. LXVII
  72. LXVIII
  73. LXIX
  74. Postfazione dell’autrice
  75. Il libro
  76. L’autrice
  77. Della stessa autrice
  78. Copyright