Il teatro inglese
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Il teatro inglese

Storia e capolavori

  1. 368 pagine
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Il teatro inglese

Storia e capolavori

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In modo conciso, e tuttavia esauriente, il volume illustra le caratteristiche e il senso dei lavori e delle esperienze che dal tardo Medioevo in poi hanno dato vita e hanno costituito la vita del mondo teatrale inglese, cercando di dar conto degli autori piú importanti e dei loro testi maggiori, di ciò che di quella produzione vastissima costituisce il patrimonio piú duraturo e universale.
La seconda parte del manuale contiene le schede relative a cento testi teatrali inglesi che sarebbe peccato non conoscere. Non necessariamente i maggiori in assoluto, non fosse altro per il fatto che anche i meno riusciti dei testi di Shakespeare - quelli che qui non compaiono - sono pur sempre superiori a buona parte dei testi del Novecento qui inclusi. E tuttavia le cento schede raccolte vanno comunque a formare un attendibile inventario di quanto, all'interno della produzione drammatica inglese, è in grado di superare differenze storiche, linguistiche e culturali per proporsi come repertorio ideale ai teatri di tutto il mondo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858408971
Argomento
Literatur

Parte prima

La storia

Capitolo primo

Il teatro medievale e rinascimentale

1. Nelle chiese e nelle strade.
Le origini del teatro inglese, piú che dalle nebbie medievali, sono avvolte da false certezze, dalle semplificazioni che nascono dall’identificarle con lo sviluppo del teatro religioso. In realtà abbiamo testimonianze sparse di esibizioni di giocolieri e saltimbanchi alle fiere, dell’attività dei mimi di romana memoria, di attori che danzavano e cantavano (come quelli rimproverati da re Edgar in un suo discorso del 969), di occasioni folkloriche in cui il rituale si trasformava in spettacolo, di intrattenimenti di varia natura presso le corti (come, ad esempio, il racconto recitato di epiche gesta), della presenza di menestrelli (jaculatores) tanto alla corte del re e dei nobili che nelle abbazie; e, infine, delle diverse forme di drammatizzazione di occasioni religiose che portarono al dramma liturgico.
Per la verità il ruolo della Chiesa era tutt’altro che lineare, perché se da un lato approvava, o almeno tollerava, lo spettacolo teatrale religioso, dall’altro diffidava fortemente del teatro e spesso lo condannava. Nei primi secoli dell’era cristiana, e ancora nel Medioevo, il teatro è visto come un lascito peccaminoso del mondo pagano, basato sulla finzione (e quindi sull’inganno), che eccita le passioni anziché governarle. La prime forme drammatiche di tipo religioso vengono accettate senza difficoltà perché alla Chiesa medievale quasi sfugge la loro natura «teatrale»: vengono sostanzialmente considerate cerimonie che si affiancano ad altri strumenti, come le prediche e i sermoni, atti a educare i fedeli. Infatti, quando emerge la loro vera caratteristica, non manca chi si erge a giudice spietato delle stesse rappresentazioni di tipo religioso, proprio perché viene riconosciuta (e condannata) la loro natura teatrale. I puritani, i grandi nemici del teatro inglese nel momento della sua strepitosa fioritura in età elisabettiana, riproporranno punto per punto gli argomenti dei Padri della Chiesa e della (da loro) odiata Chiesa di Roma per bandire il teatro dalla vita culturale e dalla vita stessa dell’intera nazione.
Questa, però, è storia già quasi recente. Torniamo al Medioevo e alle prime manifestazioni teatrali che si svilupparono sul suolo britannico. Come si diceva, pochi sono i dati certi su cui si è potuto ricostruire il nascere del teatro inglese. E l’unico dato incontrovertibile, poiché per secoli il teatro è stato l’arte dell’effimero, almeno fino alla comparsa della macchina da presa, ci è fornito dai testi scritti: da quei testi che prevedono espressamente la loro messinscena. Come sappiamo per certo, anche se c’è incertezza sulla data esatta della loro composizione, i primi testi teatrali scritti in inglese sono i mystery plays, drammi religiosi non dissimili dai mystères medievali francesi e da certe sacre rappresentazioni italiane.
In genere si sosteneva (e si sostiene tuttora) che i mystery plays derivassero dalle varie forme di dramma liturgico che si affermarono in tutta Europa a partire dal XIII secolo. Come punto di partenza si cita il tropo pasquale (il tropo è il dialogo che costituisce un’aggiunta e un arricchimento del testo liturgico) in cui le pie donne si recano al sepolcro di Cristo e l’Angelo chiede loro: «Quem quaeritis», chi cercate? «Gesú Nazareno», rispondono le pie donne. A quel punto l’Angelo annunzia loro che Cristo è risorto e le invita a diffondere la buona novella: «Ite, nuntiate quia surrexit de sepulchro». La prima testimonianza inglese del tropo pasquale compare nella Regularis Concordia, il testo che codificava le pratiche religiose monastiche dovuto al vescovo Ethelwold, e risalente all’anno 975. Altri tropi riguardavano il natalizio Officium pastorum, l’adorazione dei Magi e altri momenti ancora della parola evangelica. I tropi, le cui parole erano in latino, venivano interpretati dai monaci, all’interno della chiesa, ed erano cantati. Il dramma liturgico che da essi emerse era in effetti una forma di rappresentazione teatrale con musica, che in Italia ha il suo primo grande esemplare nel Laudario di Cortona, del 1270.
Gli storici del teatro inglesi per lungo tempo hanno ritenuto che a un certo punto il dramma liturgico, che si era andato ampliando notevolmente, fosse «uscito dalla chiesa» per trasferirsi nelle strade e nelle piazze delle città. Quasi sicuramente non fu cosí. Come si è accennato, fuori dalle chiese, in età medievale, diverse erano state le forme embrionalmente teatrali che avevano trovato un loro pubblico, da quelle piú colte (il racconto recitato) a quelle piú popolari (le esibizioni di giocolieri e saltimbanchi). Di particolare rilievo, inoltre, era stata la trasformazione delle basilari ricorrenze religiose (Natale e Pasqua soprattutto) che mescolandosi con gli antichi riti pagani si erano tradotte nelle festività «stagionali» celebrate dalla comunità contadina. Come ha argomentato in modo assai convincente Simon Trussler nella sua storia del teatro inglese, i mystery plays sarebbero nati dall’incontro tra questo tipo di cerimonie religiose e le processioni laiche con cui venivano celebrati i fasti regali, l’incoronazione, i matrimoni, le vittorie militari, quando le vie della città erano attraversate da carri allegorici che ne comunicavano e ne esaltavano l’importanza.
I mystery plays, che tuttavia non potevano non avere presente l’esempio del dramma liturgico, furono la nuova forma di comunicazione (didattica e spettacolare) attraverso la quale ci si proponeva di raggiungere tutti i fedeli, anche i piú incolti, per proporre loro alcuni punti cruciali delle Sacre Scritture e gli insegnamenti della religione in modo interessante, coinvolgente e divertente, agganciandoli per quanto possibile alla realtà quotidiana; e, cosa decisiva, nella lingua di tutti i giorni, non nel latino della Chiesa, ma nelle varianti locali dell’inglese parlato.
L’argomento dei singoli mystery plays era tratto sia dalla Bibbia, sia dai Vangeli, partendo dalla Genesi per giungere fino alla Passione e Resurrezione di Cristo; e i diversi plays erano raccolti in un ciclo, mystery cycle, che tracciava una sorta di percorso tra i vari episodi delle Scritture. Ciascuno di essi era affidato alle guilds della città, le corporazioni artigiane (ricercando un rapporto «ideale» tra tema e mestiere, ad esempio Noè e i vinattieri), e la rappresentazione di ogni episodio era realizzata su piattaforme mobili, carri allegorici (pageant wagons) che si spostavano attraverso le strade della città con soste prestabilite. A ogni sosta la recita veniva ripetuta, di modo che gli spettatori potevano assistere all’intero ciclo.
Questa, almeno, è l’ipotesi piú verosimile. I pageant wagons dovevano venire trainati o spinti da una «stazione» a quella successiva (con «stazioni» si intendono i luoghi di sosta previsti nella processione del Corpus Domini per le letture del Vangelo); erano montati su ruote e, in alcuni casi, potevano essere trasportati da un tiro di cavalli. A ogni stazione venivano rappresentati uno o piú episodi del ciclo; ed è probabile che nel caso in cui i plays erano molto numerosi la «messinscena» completa durasse fino a tre giorni. Si tenga presente che la rappresentazione avveniva in concomitanza con la processione del Corpus Domini e che quest’ultima costituiva da un lato l’occasione, ma dall’altro la legittimazione dello spettacolo, che non doveva quindi interferire negativamente con la cerimonia religiosa. Questo fatto spiega perché, in certi casi, il mystery cycle avesse luogo in occasione di un’altra festività religiosa, magari nel corso di diversi giorni. Come nel caso del ciclo di Londra, andato perduto, che nel 1409 fu rappresentato, cosí racconta uno storico elisabettiano, dalle parti di Smithfield. In quell’occasione gli interpreti erano però dei sacerdoti, non gli artigiani delle corporazioni, e lo spettacolo, durato piú giorni, si era svolto in un solo luogo. È probabile che questo non sia stato affatto un caso isolato; ma che anche in altri casi non si facesse ricorso al sistema «da stazione a stazione», e che invece i pageant wagons fossero trasportati e collocati nella piazza principale o in spazi relativamente ampi, in modo da realizzare una situazione quasi di palcoscenico e platea, con un pubblico di spettatori che assisteva allo spettacolo in modo assai piú simile a quello della canonica rappresentazione teatrale.
Fino a noi sono giunti diversi singoli mystery plays, ma soltanto quattro cicli (quasi) completi, quelli delle città di York, di Chester, di Wakefield, e uno di città non identificata, il cosiddetto N-Town cycle. Il ciclo piú antico è forse quello di York (i manoscritti rivelano modifiche, aggiunte e ampliamenti vari avvenuti in un secondo tempo e non consentono una datazione precisa), che risale alla seconda metà del Trecento. Tuttavia il ciclo di Chester è da alcuni ritenuto databile intorno al 1325: in tal caso questo dovrebbe essere considerato il ciclo piú antico. Esso è costituito da venticinque plays, che vanno dalla caduta di Lucifero al Giudizio Universale, caratterizzati da un tono spesso algido e sempre marcatamente edificante. Sono invece quarantotto i plays del ciclo di York, in genere meno austeri e piú vicini a una coloritura realistica degli episodi biblici (persino con qualche concessione a un popolare sano umorismo). I due cicli sono dovuti a piú autori – o alla collaborazione di piú autori.
Diverso è il caso del ciclo di Wakefield, sicuramente piú tardo, che è formato da trentadue episodi, cinque dai quali derivanti dal ciclo di York, e che vanta cinque (o sei) plays dovuti a una sola mano, quella del cosiddetto «maestro di Wakefield». Lo sconosciuto autore, a cui vengono attribuiti gli episodi dell’Arca di Noè, dei pastori (Prima e Secunda Pastorum), della Strage degli innocenti e il Giudizio Universale, dimostra una grande padronanza linguistica che gli consente di svariare dalla lingua colta al parlato dello Yorkshire assegnato ai pastori. Tra questi plays il capolavoro è quello del Secunda Pastorum, con la formidabile figura del ladro di pecore Mak, che cerca di nascondere in casa la pecora che ha rubato avvolgendola in fasce come un neonato e creando cosí una comica pseudonatività. L’episodio si conclude poi con la natività vera, percorsa da un senso religioso semplice e profondo, che corrisponde al modo in cui l’autore ha umanizzato e attualizzato i pastori. Il play inizia infatti con i monologhi di due pastori, che mescolando toni tragici e toni comici illustrano le difficoltà e le sofferenze della loro condizione. Se il Secondo Pastore si lamenta tanto del freddo quanto (in modo assai buffo e «maschilista») delle mogli e del matrimonio, il Primo Pastore denuncia apertamente l’oppressione dei potenti («siamo tassati e schiacciati, siamo asserviti a questi signori»), che fa vivere pastori e contadini «nel dolore e nel tormento».
Il robusto realismo, la gustosa comicità e il talento poetico del maestro di Wakefield non sono invece presenti nei quarantadue episodi del N-Town cycle (cioè «ciclo della città x»), che tuttavia mostra un indubbio motivo di interesse per il fatto che, come il nome rivela, doveva essere il testo usato da una compagnia itinerante, quindi da una compagnia di professionisti (questo è il dato importante) che, di volta in volta, lo annunciava indicando il nome della città dove il ciclo veniva rappresentato (N sta infatti per nomen).
Altre forme di teatro religioso si affiancavano alle rappresentazioni dei mystery plays e in certi casi persino le precedettero: si tratta della drammatizzazione delle vite dei santi (Saints’ Lives), come quella di santa Caterina, che risale al XII secolo, o quella di san Nicola del secolo successivo, che verosimilmente venivano rappresentate soprattutto in occasione della festa del santo patrono. Pochissimi sono però i testi sopravvissuti, una vita e morte della Maddalena, Mary Magdalene, e una conversione di san Paolo (Conversion of St Paul), entrambi contenuti in uno stesso manoscritto, e una vita di san Meriasek (Beunans Meriasek), scritta nel dialetto della Cornovaglia. In tutti questi casi, in particolare in quest’ultimo, la rappresentazione presupponeva l’esistenza di uno spazio scenico deputato (non l’uso di pageant wagons) e nel caso di Meriasek di una specie di teatro, o meglio, di un anfiteatro di romana memoria, i cosiddetti rounds che sorgevano numerosi in Cornovaglia.
2. Nei palazzi. «Morality plays» e «interludes».
Nel Quattrocento si andò affermando un genere di testi drammatici che presuppongono da un lato l’esistenza di attori, di interpreti professionali, e di uno spazio teatrale; e dall’altro di un linguaggio letterario relativamente elaborato, al servizio dell’allegoria che ne costituiva il fondamento. Sono le moralità, i morality plays, il cui primo esempio pervenutoci in forma completa è The Castle of Perseverance («Il castello della Perseveranza»), del 1429 circa. Il testo, assai lungo (3600 versi), che vede il protagonista Mankind (Umanità) alle prese con il peccato e la tentazione anche all’interno dello stesso castello della Perseveranza e che viene salvato dalla dannazione eterna in punto di morte grazie all’intervento di Misericordia, si trova in un manoscritto corredato da un disegno contenente le indicazioni per la sua rappresentazione. Al centro della scena sorge il castello e intorno a esso sono indicati cinque loci, i luoghi, realizzati grazie ad apposite impalcature, in cui si dovevano collocare i personaggi, Confessione, Virtú, Penitenza, Morte, e i vari peccati. La struttura è simile a quella dei rounds, o comunque non dissimile da quella che doveva essere utilizzata per Mary Magdalene, che prevedeva diverse impalcature che facevano da corona al «castello» di Maddalena. La forma drammatica andava cosí reclamando lo spazio teatrale che ne consentisse la rappresentazione in quanto spettacolo vero e proprio, cosí come è a noi familiare.
Un altro morality play di indubbio interesse è Mankind («Umanità»), che è della seconda metà del Quattrocento. Non tanto per la sua originalità (l’uomo alle prese con malvagi, imbroglioni e con il diavolo stesso), quanto, nella lotta tra le forze del bene e quelle del male, per la compresenza di comico e tragico, con la parte comica affidata a un tipo di figura, il Vice (cioè i Vizi), che anticipa una modalità drammatica e un tipo di figura di decisivo rilievo nel teatro elisabettiano: quella del fool, il giullare, il matto, che dispensa comicità e verità.
L’insegnamento religioso e morale affidato al conflitto allegorico tra le figure del bene e del male, in lotta per conquistare l’anima del personaggio che rappresentava simbolicamente l’intero genere umano, trova il suo esempio piú riuscito in Everyman («Ognuno», ca. 1500), che già nel titolo dichiara che il protagonista è every man, ogni uomo, tutta l’umanità. Il play descrive il viaggio di Everyman verso la morte, che gli compare all’inizio, mandata da Dio «in gran fretta», cogliendolo «impreparato». Nessuno vuole accompagnarlo nel viaggio, non Amicizia e neppure Ricchezze. Solo Opere Buone e Conoscenza lo confortano e lo accompagnano fino alla tomba. Speranze tradite, delusione, solitudine e disperazione illuminano il senso del suo destino di peccatore, facendo di Everyman, seppure limitatamente, un personaggio non privo di sfumature psicologiche, un uomo, e non una pura astrazione dell’umanità tutta. Davanti alla tomba Everyman si affida alla clemenza divina: il viaggio verso la morte gli ha dato consapevolezza dei suoi peccati, della vacuità delle cose terrene, dell’importanza delle buone opere e della necessità del pentimento e della penitenza. Per questo potrà dire «In manus tuas commendo spiritum meum», sperando di potere «apparire tra le schiere beate di coloro che saranno salvati» nel giorno del Giudizio. Everyman, come si legge dopo il titolo, all’inizio della prima pagina, è indubbiamente «A Moral Play», una moralità che ancora appartiene al dramma religioso.
L’insegnamento morale, tuttavia, aveva già trovato un altro veicolo di espressione, di carattere laico, o comunque non strettamente dipendente dagli insegnamenti della Chiesa, e cioè l’interlude, che, per la verità, svariava dalla riflessione etica all’intrattenimento comico. Questo genere ha le sue lontane origini nell’interludium medievale, il cui piú remoto esempio è l’Interludium de clerico et puella, che risale all’inizio del Trecento, di cui è rimasto soltanto un frammento. In seguito, con interlude, venne indicato un prodotto teatrale che veniva proposto tra le portate di un banchetto; o forse come intermezzo all’interno di una recita di argomento piú complesso; o forse ancora come una breve recita all’interno dello spettacolo fatto di diversi «numeri» (magari di giocolieri o di mimi) con cui le prime compagnie itineranti intrattenevano il pubblico. Al di là dell’incertezza non solo etimologica, resta il fatto che nel Quattrocento si diffuse un tipo di spettacolo di breve durata, recitato da un numero limitato di attori, di argomento a volte religioso, a volte laico, che dei teatranti professionisti presentavano al pubblico tanto nelle sale dei palazzi nobiliari quanto, in occasione delle festività religiose o delle fiere, in spazi chiusi o su una piattaforma divisa tra spazio scenico e deposito dei materiali di scena (il cosiddetto booth stage) che veniva allestita nel cortile di una locanda o nella piazza del mercato.
L’interlude come genere teatrale autonomo si afferma con i lavori di Henry Medwall (ca. 1462-1502), Nature, che è degli ultimi anni del Quattrocento, e soprattutto con Fulgens and Lucrece («Fulgenzio e Lucrezia»), rappresentato nel 1497, quindi poco prima di Everyman. Il lavoro di Medwall, la cui rappresentazione poteva richiedere circa un’ora, è un dibattito tra padre e figlia sulla vera essenza della nobiltà: ispirato al trattato Controversia de nobilitate di Buonaccorso da Montemagno, traduce la questione astratta in una discussione concreta sui meriti di due pretendenti, l’aristocratico e il «borghese». Motivo di interesse non secondario del testo, in cui si affiancano argomenti seri e argomenti comici, sta nel fatto che, nonostante l’esilità della trama, trova spazio un intreccio secondario (un’anticipazione di quel subplot che assumerà grande rilievo nel teatro elisabettiano) facente capo alla rivalità tra i due servitori dei pretendenti che corteggiano l’ancella di Lucrezia.
Nel caso di Magnyficence («Magnificenza», ca. 1516) di John Skelton (1460-1529), interlude dedicato a Enrico VIII, di cui Skelton era stato precettore, l’intento era quello di fornire un insegnamento morale e di proporsi, in generale, come strumento di formazione per il principe (il trattato di Machiavelli gli è quasi contemporaneo). L’interlude di Skelton illustra la lotta tra vizi e virtú che si contendono l’animo del principe. Il protagonista, tentato dai Vizi, impara da Avversità e Disperazione a seguire i consigli di Perseveranza; ma il testo, come si diceva, non si limita alle riflessioni proprie delle moralità, bensí si assume un ruolo di riflessione politica proponendo una serie di consigli indiretti al principe; ed entra rischiosamente nell’attualità muovendo un’implicita critica al cardinale Wolsey, potente consigliere del re, colpevole di peccaminosa pomposità (il vocabolo usato nel titolo, che indica la munificenza del principe, indicherebbe al tempo stesso la fastosità del cardinale).
Altri interludes erano invece di tipo comico, come The Play Called the Four PP («Il dramma dei quattro P», ca. 1544) dovuto al letterato John Heywood (ca. 1497 - ca. 1580). Tre personaggi, Palmer, Pardoner e Pothecary (un Pellegrino, un Venditore di indulgenze e un Farmacista), dietro suggerimento di un quarto personaggio, Pedlar (un Ambulante), fanno a gara a chi dice la bugia piú clamorosa. Vince il Pellegrino, che dichiara di non avere mai incontrato una donna che perdesse la pazienza. In questo lavoro ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il teatro inglese
  3. Parte prima - La storia
  4. Parte seconda - Cento capolavori
  5. Indici
  6. Il libro
  7. L’autore
  8. Dello stesso autore
  9. Copyright