Epigrammi
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Epigrammi

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Informazioni sul libro

Nel 1961 Fenoglio scrisse una serie di epigrammi sul modello di Marziale. Composti come se fossero tradotti dal latino, e utilizzando nomi propri latini, passano in rassegna uomini e donne di Alba nel dopoguerra, satireggiandone i vizi pubblici e privati. In particolare l'ipocrisia e il cinismo che, sotto il fuoco dell'ironia fenogliana, sono sì fenomeni senza tempo, ma diventano tanto peggiori in quanto colti in un'epoca che, dopo la Resistenza, avrebbe dovuto segnare una svolta etica in tutta la nazione.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858409022
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

Epigrammi

[I] A UN CENTURIONE

Di guerra, baldanzoso centurione,
Saperne quanto me non ti piccare.
Ad Ectabàna hai vinto, persi a Canne.

[II] SU FABULLO

Chi vada a Cuma, chieda alla Sibilla
Perché alto di sé pensi Fabullo.

[III] A DECIO

E cosí se la son goduta in molti
La tua Drusa, tuissima Drusa.
Incauto Decio, troppo spesso e male
Affermavi che d’alito puzzava.

[IV] A CALVO, aspirante poeta

Desti a Petronio un libro di tuoi versi
Da trasmettere a me che giudicassi?
Non l’ebbi. È chiaro, giudicò Petronio.

[V] A CLODIA

Le brulle braccia tienimi
Discoste. Di Prosérpina l’aspetto,
Ma non l’autorità, ti riconosco.

[VI] SU CESTIO

Cestio non vede l’ora di morire:
Gli hanno annunziato presso che finito
Il mausoleo che s’è regalato
Vivendo sempre a stecco in un tugurio.

[VII] SU FULVIA

Le femmine sapevo: tredicenne
Toccai la prima ancella, quindicenne
Le circasse importate da Menippo;
Quindi salii, ancora pretestato,
Di piú matrone il talamo rischioso.
Ma Venere scopersi – giuro! – nuova,
Tutta nuova, allorché «Ahi!» Fulvia gemette,
«Un’ape cattivissima m’ha punta!»

[VIII] SU APICIO

Della generazione nostra Apicio
Ognora fu il piú tardo e sprovveduto.
A turno gli davamo, suoi coscritti,
Vane ripetizioni sulla vita.
Ora però che Apicio di tumore
Rapidamente muor, men che trentenne,
Noi tutti lo teniam sommo maestro.

[IX] SU PETO

Se un’ultima taverna è in riva a Stige,
Ei non avrà di che pagar Caronte.

[X] SU LENTULO, ex comandante di coorte

Non fui codardo in guerra né poltrone,
Ma certo riesco meglio nella pace
Se Lentulo, ai cui ordini in Bitinia
Oscuro militai, ora non manca
Di dir di me, quale che sia lo spunto,
«L’ebbi soldato nella mia coorte».

[XI] A FANNIO

Fannio, sia chiaro, comprendesti male.
In Fulvia entrai di men che la cattiva
Ape la punse or son diciassette anni.

[XII] A VITRUVIO

Che ingravidato un maschio si rimanga,
Questo potresti credere, Vitruvio,
Ma non che per codesti epigrammucci
Mi paga, anche se poco, l’editore.

[XIII] A VOLCAZIO, che viaggia in «octophorus»

Un ottoforo di fattura greca,
Crisoelefantino, con cortine
Tirie, cui sottomettono brunite
Spalle ben otto portatori egizii...
S’era mai visto un piú suntuoso attrezzo
Per caricare e trasportare m...?

[XIV] SU PAPIO

Se il Senato un concorso bandisse
Fra le città dell’universo Impero
Pe’l miglior monumento all’imbecille,
Noi ce l’avremmo in tasca: basterebbe
Papio pigliar cosí come si trova
E paludato in lamine di bronzo
Piantarlo su un qualunque piedestallo.

[XV] ALLA VERGINE GALLA

Mormora Galla «L’uomo destinato
A deflorarmi dovrà aver questi occhi,
Cosí le braccia, tanto di coscia e...»
Smetti di delirar, vergine Galla.
Il gioco stringe. Porgi il capo e lascia
Ti si bendino gli occhi. È moscacieca.

[XVI] SU CASSIANO

Matricida Cassiano!? Egli che mai
Alzò la voce o lampeggiò con l’occhio,
Ragionevole sempre e temperato,
Ognora conciliante ed officioso
Anche a sprezzanti, a vili, a sconosciuti...
Attenti, voi di casa, al familiare
Che mai e mai nel foro s’è infiammato.

[XVII] SU LICINIO

Un gladiatore in vena di strafare,
La piú zannuta fiera ricercando,
Anzi che tigre ircana nell’arena
Ha chiamato Licinio leguleio.

[XVIII] SU SERVILIO

Dubito, amici, che Servilio nostro
Con la sposa ricchissima ma laida
Adempia il dover suo questa notte.
«Non dubitar. Son prese le opportune
Misure. A piè del talamo una schiava
Aiuterà paziente, senza tregua
Facendo risonar nummi e sesterzi».

[XIX] A MUCIO, parassita

«Son scimunito?» dici, «Da Melisso
Rimedierei tal quale una cenuzza
Verrebbemi allestita da mogliema.
Offre Corvino dentici e tartufi,
E múggini, fagiani e vin di Coo».
Ma non usa Melisso, mentre rodi,
Le natiche forarti con spilloni.

[XX] SU STRABONE

Il tapin che lo lascia e si dirige
Con grevi ceste verso Porta Nuova
Gli ha certo chiesto per Porta Capena.

[XXI] A ROSCIA

Sostieni che malgrado l’esercizio
Restati stretta e incomoda la .....
Come può esser, poi ch’essa ha inghiottito
La casa di Fabullo e di Vatinio
Gli orti e di Gongilione la bottega?

[XXII] A AURUNCULEIA

Tu invece sei per bene, estremamente:
Di te non si può dire proprio niente,
Salvo che ne patisci, Aurunculeia.

[XXIII] A LABIENO

Labieno, con la vita ti comporti
Tal quale un debitor col creditore.
Fa’ che una volta essa ti trovi in casa.

[XXIV] SU DOMIZIA

Domizia che si diede a cinquecento,
Barbari non esclusi, mimi e schiavi,
A titol d’onestà, di redenzione
L’essersi allega sempre rifiutata
A Claudio che l’amò tutta la vita.

[XXV] SU VEIENTONE

Dall’aurora al tramonto senza tregua
Il gruzzolo ha palpato e numerato.
A notte fonda si risveglia e frigge
Per la necessità di ricontare.
Bussa da me: non gli regalerei
Appena un’oncia d’olio per lucerna?

[XXVI] A PROCULEIO

Per forza, Proculeio, trovi scarsi
Questi miei versi. Sulla man scandisci
Che un infortunio ti scemò d’un dito.

[XXVII]

Passo al bar d’Eliodoro; lo schiavetto
Che mi pareva assunto di recente
Senza sbirciarmi: «Domine, il consueto?»
Ahimè, come la morte s’avvicina!

[XXVIII] SU CEPIONE

Credete a me, Cepione con le donne
Non compisce al momento, ma compisce
L’indoman, quando a noi ne riferisce.

[XXIX] A TULLO, eroe militare

Facciano i numi
Che mai mi trovi in rischio della vita,
Per acqua fuoco od altro, con te solo
Presente. Sei per certo coraggioso,
Ma capace soltanto d’ammazzare.

[XXX] A LETO, con lui invitato a cena da Veientone

C’è, manco male, un’osteria
Lungo la strada. Tu decidi, Leto:
Ceneremo all’andata od al ritorno?

[XXXI] A MARONILLA

La notte che mi avevi fermamente
Promessa ora disdici; sí prevalse
Il sospetto che teco slealmente
Mi giacerei, pensando Fulvia avere.
Che tu rompa o mantenga la promessa
Poco m’importa, ma assai che tu sappia:
A Fulvia mai farei cotanto torto.

[XXXII] A UN AMMIRATORE DI PONTICO

Tu che Pontico ammiri per l’assiduo
Viaggiar, l’appassionato predicare
«Navigare necesse» e similari,
Sappi: la moglie non lo vuol tra i piedi.

[XXXIII] A TIBULLO

Amici fummo per non piú di un mese.
Ora, Tibullo, giurami un’annata
Di nimistà, se vuoi mi rimpannucci.

[XXXIV] SU ENOBARBO

«In settimana
M’ebbi dapprima un’opulenta bruna,
Indi una bionda piú sottil d’un giunco,
Incolta quella, questa intellettuale...»
Il mese avanti si godette un paio
Di nostrane, un’étiope, una greca...
A sentirlo, le amanti di Enobarbo
Son centinaia, un vero assortimento
Di nazioni, di forme e condizione.
Ne ha una, in verità, sempre la stessa,
Ma, come le dee Omero, la trasforma.

[XXXV] A PAPIO

La predica che hai fatto all’accattone
Valeva bei soldoni, per sorbirla.
Gli desti – non travidi – un quattrinello.

[XXXVI] SU SILIO E PLAUTINA

Per evitar le nozze con Plautina
Silio andò volontario contro i Parti.
Non tornò, gli toccò la prima freccia.
Ora, passati quattro lustri, tutti
Plautina riteniam promessa sposa
Orbata dalla guerra. Dico, il tempo!

[XXXVII] A LECA

In mascherar l’invidia fai progressi:
Prima inverdivi come il lauro, adesso
Come l’ulivo.

[XXXVIII] A NUMA, che lavora la terra da oltre
mezzo secolo

A te non madre, bensí figlia, Rea.

[XXXIX] A FESCENNIO, che non restituisce gli
epigrammi prestatigli

Sarà un libercoluccio, non contesto,
Ma se non rendi entr’oggi,
Ti piglierò, Fescennio, casa ed orto,
La toga buona, tutto il numerario,
Lo schiavo, l’asinello, la nipote.
Né lí mi fermerò con l’indennizzo;
Ché, Fescennio, ti lascierò la moglie.

[XL] IN MORTE DI MOPSO, parrucchiere-estetista-
cosmetologo

Le Parche
Gallo rapirô a mezzo il suo poema,
Negarono a Flaminio Iberia tutta.
Te lasciaron compir l’opera somma:
Far di Vinicio la piú: bella donna.

[XLI] A VINIA

Bella sei, Vinia, bella di sagacia,
Vinia, che a brutte sempre t’accompagni.

[XLII] A NASIDIENO

Assai...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Epigrammi
  3. Amor de lonh
  4. Nota ai testi
  5. Epigrammi
  6. Il libro
  7. L’autore
  8. Dello stesso autore
  9. Copyright