La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni
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La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni

  1. 240 pagine
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La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni

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La sua dicotomia fra libertà degli antichi e libertà dei moderni ha suscitato un dibattito sui rapporti fra libertà politica e civile, cittadino e Stato, diritti dell'individuo e soprusi del potere, che dura tuttora. La presente edizione inquadra il testo del filosofo francese nell'insieme del pensiero constantiano e del momento storico, nonché il suo posto nel quadro dello sviluppo del pensiero liberale: l' Introduzione di Giovanni Paoletti, basata su un'attenta disamina dei manoscritti e delle varianti, ne ricostruisce il contesto e la struttura argomentativa; il Profilo del liberalismo di Pier Paolo Portinaro ne propone un'attualizzazione attraverso un percorso storico-critico sul problema.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2013
ISBN
9788858408520

Profilo del liberalismo

di Pier Paolo Portinaro

Un liberalismo dell’indifferenza?
Dalla «guerra civile delle ideologie» che ha lacerato il Novecento il liberalismo è uscito indubbiamente vincitore. Se a fronte dei combattivi antagonisti della prima metà del secolo, il nazionalismo e il comunismo, esso figurava come un gracile competitore, a cui veniva riservato o politico scherno o intellettuale indulgenza, con il loro tracollo, ora tragico e fragoroso, ora pacifico e attutito dalla consunzione, esso è tornato a essere protagonista. Dei valori iscritti nel «progetto politico della modernità», quello incarnato dall’ideale di libertà è risultato, almeno in occidente, non solo il piú capace di aggregare consenso e durare ma anche il piú sicuro della propria destinazione1. Almeno cosí fino a ieri si ripeteva. Perché nel crepuscolo delle differenze politiche, in cui tutti rivendicano a sé l’autentica interpretazione dell’idea liberale, questa sembra oggi avere, proprio come un secolo prima, ma in un quadro affatto diverso, smarrito la propria identità e deposto le proprie illusioni. Il conclamato vincitore appare a molti un «ismo» senza particolari qualità – un liberalismo dell’indifferenza.
A partire dal 1989 ci si interroga su un liberalismo e su una democrazia forse incapaci di sopravvivere alle loro vittorie senza il sacrificio della loro identità2. Per alcuni il trionfo di un liberismo al servizio della globalizzazione dei mercati non fa che sancire il divorzio dalla democrazia politica e la perdita di contenuti etici custoditi nell’alveo di costituzioni e tradizioni culturali. Ad altri l’appropriazione del liberalismo a opera di chi è piuttosto erede dell’esperimento socialdemocratico del Novecento, lungi dall’accreditare il successo di una sintesi liberal-socialista realizzatasi dopo tante contrastate vicende, appare l’esito di un’operazione trasformistica, sempre piú povera di contenuti; in definitiva, come l’epifania di un fenomeno ben noto ad altre stagioni storiche, il camaleontismo delle ideologie. A giudizio dei nostalgici del bipolarismo ideologico si sta affermando nelle democrazie occidentali «un nuovo centrismo a trazione tecnocratica che fonde sinistra culturale e destra economica; e in politica estera fonde pacifismo morale e interventismo militare attraverso il principio d’ingerenza umanitaria»3.
Il liberalismo, entro un orizzonte nel quale tanto la destra quanto la sinistra non possono fare a meno di proclamarsi liberali, si sta cosí impoverendo nel suo successo. Anche la sua storia sembra oggi venir riscritta alla luce della fortuna che negli ultimi decenni hanno conosciuto le filosofie liberiste e le teoriche dello Stato minimo risalenti alla scuola austriaca dell’economia o alla scuola di Chicago. Autori come Ludwig von Mises, Friedrich August von Hayek, Milton Friedman, Robert Nozick hanno plasmato piú di altri l’immagine che del liberalismo oggi correntemente si ha – ed è alla luce di questo impoverimento di contenuti della tradizione liberale che si comprende la facile polemica dei teorici del repubblicanesimo da un lato e del costituzionalismo dall’altro, che al liberalismo rimproverano d’aver eleborato una versione indebolita e quasi caricaturale della concezione politica della libertà come governo del diritto e delle leggi4.
Su questo fronte è cosí in atto un’offensiva che tende a sottrarre al liberalismo contenuti specifici per avocarli a piú antiche tradizioni politiche, quali il repubblicanesimo e il costituzionalismo. Ma anche in quest’operazione non è difficile ravvisare tentazioni semplificatorie e frettolosi riduzionismi. I teorici di una concezione «neoromana» e machiavelliana della libertà, a partire da Quentin Skinner, inclinano a sottostimare il fatto che quella concezione si è sviluppata all’interno di una piú comprensiva ideologia patrimoniale e imperiale, che legittimava istituzioni come la schiavitú e il diritto di preda5. E i teorici della democrazia costituzionale e della garanzia tendono a espungere dalla teoria dei diritti fondamentali proprio il nucleo dei diritti patrimoniali, che del liberalismo classico costituisce invece l’aspetto qualificante6.
Alla perdita di fuoco del liberalismo politico corrisponde un rimescolamento delle acque anche nella ricerca storiografica e nella riflessione teorica: che cosa sia il liberalismo, quali le sue radici e i suoi confini, quante le sue ramificazioni, sembra oggi piú controverso che mai. La storia delle idee e delle ideologie si è arricchita nel corso degli ultimi anni di una molteplicità di metaracconti, ricchi di ipotesi cospiratorie, colpi di scena e paradossi. Ma sulla definizione di liberalismo come concetto di un’epoca non si può registrare un significativo consenso: analogamente a ciò che è accaduto a «ismi» affini, i tentativi di periodizzare e costruire tipi ideali onnicomprensivi hanno sortito esiti contraddittori. E molti continuano ad avanzare perplessità sulla legittimità stessa del concetto, ammettendo semmai soltanto l’opportunità di una sua declinazione plurale, per una ricerca che indaghi le particolarità dei molti «liberalismi», la loro peculiare geografia e storia7.
In un’epoca segnatamente individualistica e pluralistica è facile sentirsi spontaneamente liberali. Non sempre è però chiaro che cosa questo significhi. Il liberalismo – ci si domanda – è una concezione economica e utilitaristica o una dottrina morale e finalistica? Ha come oggetto il compromesso fra interessi sociali o la forza integratrice degli argomenti? È un’ideologia degli interessi, e in particolare di interessi razionali e ben ponderati, o piuttosto una copertura razionalizzante di una poco altruistica volontà d’appropriazione delle chances di vita? Presuppone una concezione antropologica ottimistica o pessimistica? Scaturisce da un’ideologia particolaristica della proprietà – interna a una forma storicamente determinata di società di mercato – o da un’esigenza universale di tutela di diritti naturali contro le minacce provenienti da posizioni di predominio nello Stato e nella società? È l’approdo secolarizzato della vocazione universalistica dell’Occidente cristiano o piuttosto un’articolazione del progetto politico della Modernità? È una teoria dello Stato di diritto come governo della legge o una dottrina costituzionale dei diritti e dei principî? E ancora: è indirizzato a proteggere le libertà senza garantire risorse oppure ha iscritto nel suo codice genetico anche il nesso tra diritti politici e diritti sociali? Sotto quel denominatore comune si nascondono dunque, non si fa fatica a riconoscerlo, i piú diversi concetti di libertà e le piú diverse dottrine, a cui possono far da supporto le piú diverse filosofie: come è noto, ci sono liberali empiristi e idealisti, storicisti e pragmatisti e ci sono liberali humeani, kantiani, hegeliani. Non «quale liberalismo?» ma piuttosto «quali e quanti liberalismi?» (e correlativamente: non «quale libertà?» ma «quali e quante libertà?») è la domanda che sembrerebbe preliminare a ogni considerazione sul tema8.
L’analisi dei sinonimi e dei contrari, in questo caso, non aiuta molto a fare chiarezza. Tradizionalmente liberalismo si contrappone ad autoritarismo. Ogni autorità che non possa essere giustificata razionalmente e che non sia disposta a legittimarsi pubblicamente con argomenti razionali appare sospetta al teorico liberale. Per Barrington Moore l’essenza del liberalismo consiste nell’«autorità di contestare l’autorità»9. Autocrazia e teocrazia sono i suoi nemici storici. Di conseguenza anche paternalismo e clericalismo vanno annoverati fra i suoi bersagli polemici. Ma l’autentico liberalismo, a detta dei suoi piú eminenti esponenti, non è di per sé antireligioso né antipolitico e non esclude rapporti positivi con le istituzioni statali, le Chiese, le sette religiose. L’abuso di qualsiasi posizione di autorità e di potere gli è inviso, ma in che cosa questo abuso consista e come l’autorità e il potere vadano definiti sembra variare col mutare delle circostanze e degli attori10.
In secondo luogo, nella semantica politica della modernità, liberalismo si contrappone a conservatorismo11. Il conservatore non intende imprimere una direzione alla storia né le sue costruzioni intellettuali alla società. Il liberale, invece, crede nella forza dei principî politici e nella capacità umana di riordinare razionalmente la società e le istituzioni. La diffidenza del conservatore nei confronti del nuovo e dell’ignoto è stata spesso contrapposta alla fede del liberale nell’innovazione e nel progresso: il liberalismo è una dottrina riformista e financo, sia pure eccezionalmente, laddove non vi è altrimenti modo di far avanzare le riforme, rivoluzionaria12. Ma di nuovo risulta, nella grande e litigiosa famiglia delle dottrine liberali, piuttosto controverso fino a che punto sia opportuno e lecito fare «piani» per la libertà, progettare assetti istituzionali artificiali, interrompere la naturale evoluzione degli ordinamenti sociali13.
Ha tenuto poi campo, a partire dal secolo scorso, nel quadro delle trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale, la contrapposizione di liberalismo e socialismo/comunismo14. L’uno postula l’efficienza dell’ordine spontaneo del mercato, l’altro la superiore razionalità della pianificazione. Il liberalismo è individualistico, il socialismo collettivistico e in questi termini massima appare la divaricazione tra le due ideologie: su di essa si è costruito un altro asse della discussione, che conserva ancora oggi la sua rilevanza15. Ma nella misura in cui coincide con il governo delle leggi ed è libertà regolata da leggi, la libertà dei liberali è esposta alla ridefinizione a opera della legge; e nella misura in cui è assunta nella sua accezione positiva di autonomia, essa non può prescindere dal riconoscimento del legame sociale e dell’integrazione comunitaria, onde di nuovo i confini fra individuo e società si fanno incerti e sfuggenti.
Si è consolidata infine nel corso degli ultimi anni, a partire da dibattiti condotti soprattutto negli Stati Uniti, un’ulteriore contrapposizione: quella di liberalismo e comunitarismo. Liberale è in questo contesto la posizione di chi, perseguendo l’obiettivo della realizzazione dei diritti universali dell’individuo, ne promuove l’emancipazi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni
  3. Introduzione di Giovanni Paoletti
  4. Bibliografia
  5. Nota alla traduzione.
  6. La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni
  7. Discorso pronunciato all’Athénée royal di Parigi nel 1819
  8. Profilo del liberalismo di Pier Paolo Portinaro
  9. Indice dei nomi
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright